Bifolchi – Diario di un vecchio Porco (Cornia Dischi)

Citano Bukowski e il raccontar quel male di vivere che sbatte addosso all’odierna inutilità del tutto che si concede come effimero sospiro di un sogno che non è di certo il nostro.

I Bifolchi, band toscana, al loro esordio confezionano una forte denuncia ad un mondo che si sta perdendo tra gli abissi e tra gli estremi, un atto di denuncia verso chi o cosa ci rende schiavi di una prigione immaginaria dove l’Italia è la protagonista del vizietto canonico e dove l’essere se stessi molte volte ci porta a fare i conti con l’essere anche pilotati come marionette senza fili.

Un disco dal sapore folk che non disdegna di certo la musica d’autore toccando apici di rock and roll, country e lisciate di jazz per accontentare i palati più esigenti e rinvigorendosi di trovate geniali e assolutamente perfette per lo stile e l’inaspettata capacità di consegnare a chi ascolta uno spaccato della nostra penisola che sa di amaro e di poca speranza.

Tra Conte e Jannacci, Gaber e Capossela i nostri improvvisano scintille dissacranti dal  sapore melodrammatico, un film da vedere di certo per entrare più profondamente dentro a ciò che è intorno a noi, ma che a volte non vediamo o meglio facciamo finta di non vedere.

Canzoni strutturate dalla Rivoluzione del divano dove a vincere è la tv a pagamento, passando per un vecchio porco, il protagonista del disco, insaziabile guardone di fugaci amori e poi via via con Il farmacista portatore di cure invisibili, La banda della gallina tra slot machine tarate e il finale assegnato a La bella del Paese canzone d’amore e di emigrazione.

Un disco per lo spirito, il nostro, un album che deve arricchirci e deve farci catturare l’attenzione su ciò che nella vita è magari così vicino a Noi, ma nello stesso tempo lo sentiamo lontano e invivibile; un pretesto quindi per sbatterci con forza, ma anche con ilarità, davanti agli occhi, una società che deve essere cambiata, partendo prima di tutto da noi stessi alla ricerca di una nuova etica.