Colin Spring – How I came to cry these tears of cool (Home Recorded Culture)

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Disco del 2005 espatriato dall’America all’Italia, album importante per lo sconosciuto, in Europa, cantautore americano Colin Spring. Un insieme di canzoni in stato di grazia e capaci, con una poetica viaggiatrice, di dare senso e preponderanza a sogni che diventano realtà, a chiarificatrici esigenze di comprendere, con senso profondo, un bisogno di comunicare che va oltre le aspettative. Odori di sabbia, di canyon desolati, di città fatte di legno, speranze e illusioni, desideri e meraviglie che si sposano con una canzone autentica e necessaria capace di sfiorare il miglior Dylan o lo Springsteen solitario di Nebraska o di The ghost of Tom Joad. Colin Spring ci dona perle di rara intensità. Questo album datato duemilacinque e penultimo di una carriera come stella luminescente disseminata di duro lavoro e forse non contraccambiata dalle giuste attenzioni contiene canzoni come Lover, there’s a light on, Give my regrets to Broadway, Let’s burn the guitars, Chinatown che sono l’esemplificazione di un bisogno costante di ricerca nella tradizione, di bellezza in movimento sulle strade solitarie della vita. Dall’altra parte dell’oceano stanno aspettando che Colin Spring ritorni a raccontare della sua terra e del suo mondo dolce amaro, a noi invece il compito di recuperare o meglio scoprire un’eredità ingiustamente lasciata in disparte tra città abbandonate e modernità che corre alla velocità della luce.