Diplomatics – I lost my soul in this town (Shyrec/GDrecords)

Copertina di Diplomatics I LOST MY SOUL IN THIS TOWN

Band vicentina che completa il disegno di sputare in faccia alla realtà precostituita al suono di un rock ‘n’ roll pieno di sostanza e rifacimenti super taglienti in grado di delineare alla perfezione una scena costituita perlopiù da forze in campo che se ne fregano principalmente del pensiero comune, ma che attraverso questo disco danno valore ad una comunione d’intenti che ben si affaccia al grigiore plumbeo di un nordest che non da la possibilità di emergere oltre la coltre industriale dell’abbandono e dove sempre più si avverte l’esigenza di compiere un passo ulteriore per scaraventare a terra vecchie usanze per dare spazio a originalità e indipendenza. I Diplomatics conoscono gran bene la formula in questione e in questo disco regalano emozioni in blues che ben si sposano con le esigenze di questi anni, una formula non del tutto originale, ma capace di dare grandi soddisfazioni in fatto di feste collettive e rabbia repressa pronta ad esplodere, in nome di un divertimento e di un rumore che fa riflettere oltre ogni maniera possibile.

Alice Tambourine Lover – Like a Rose (GDRecords)

Cantautorato d’altri tempi che si fa respiro internazionale tra gli anfratti dell’isola di Wight, tra la terra dei fiori umani che lanciavano messaggi di pace e comprensioni sonore che si accontentano di rimembranze acustiche, stilisticamente convogliate in un leggiadro passare di petalo in petalo.

Una foto d’altri tempi, una foto in bianco e nero, una cornice e la semplicità nella bellezza, la bellezza nella semplicità, che ha segnato un’epoca, che ha segnato il cammino lungo scoscese opere di misericordia e naturalezza conclamata, ma non esibita, un essere naturale che si fa scovare come perla oceanica là, nei profondi abissi.

Alice tambourine lover è tutto questo e Like a rose ne è l’esemplificazione più facile e intuitiva per entrare nell’universo del duo bolognese, capace di prodezze leggere tra sognanti melodie anni ’70 che non disprezzano acustici più moderni, Kings of Convenience su tutti.

E’ un disco che si fa ascoltare, un album di racconti segnati sulla carta indelebile, pieno di ricordi e personificazioni, parti inevitabili di noi che vanno a ricadere sul futuro che verrà.

Otto tracce delicate che parlano di introspezione malinconica e di forte coraggio, quel coraggio di presentarsi ad un pubblico con uno strumento acustico, senza far troppo rumore e facendo della scoperta collettiva un ponte tra passato e futuro, che non rinnega le proprie origini, ma che distoglie lo sguardo verso il troppo inutile che ci coinvolge, per ritornare all’essenza delle cose.