Alessio Lega – Marenero (Autoproduzione)

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Il nuovo disco di Alessio Lega è un disco che trasuda storie e intenzioni, capacità analitica e spirito d’avventura che si può sentire e percepire lungo questo bellissimo spaccato umano raccolto per l’occasione per rendere omaggio a quel viaggio chiamato vita che ci tocca da vicino proprio attraverso una quotidianità che fa storia. Una storia per i semplici, una storia popolare, una storia per tutti coloro che si sentono emarginati e soli, racconti di vita quindi che aiutano a riflettere sull’importanza della vita stessa in un incedere che racconta di personaggi grotteschi, di freaks, di pure e semplici persone che magari non hanno avuto la fortuna propriamente dalla loro parte. Il disco di Alessio Lega è un disco sociale che tratta con raffinatezza e con ottimi arrangiamenti da classico chansonnier argomenti scomodi, lasciati in un angolo. Dentro alle tredici canzoni che lo compongono ci troviamo le melodie di un De Andrè o di un Pierangelo Bertoli ad infarcire filastrocche dai contenuti contagiosi, reali e tangibili, sembra quasi di tuffarsi in un passato vicinissimo a noi tanta è l’attualità che si respira in pezzi come Stazione centrale, l’interpretazione di Fiore di Gaza di Paolo Pietrangeli, Mare Nero o Petizione per l’affidamento dei figli delle coppie omosessuali. Testi questi per un album di canzoni vere che riescono, con la vivacità della musica d’insieme, ad entrare dentro di noi e a scavare nel profondo per renderci forse anche solo un po’ migliori.

Frida Neri – Alma (Acanto)

In punta di piedi sulla terra vibrante ad assaporare ogni istante perpetuo mai lasciato al caso e intriso di significati profondi tra una commistione di generi e linguaggi e il volere andare oltre, abbracciando culture lontane, culture diverse, ma che nel profondo ci contaminano e ci rendono unici e capaci di guardare oltre i confini imposti di ogni giorno. La cantautrice Frida Neri confeziona un album pieno di significati, mescolando sapientemente stili e risultati che abbracciano il folk, l’etnico e la world music incentrando il proprio vivere su un disegno da completare per comprendere appieno il mondo che ci circonda, raccontando di bellezza, raccontando di onirica realtà. La cantantessa molisana, ma marchigiana d’adozione, condivide questa intensa esperienza con nomi illustri del panorama culturale italiano come Massimo Zamboni e il poeta Loris Ferri per un un disco fatto di tredici perle da conservare e che viaggiano con la mente dal Portogallo, fino alla Grecia passando per il Mediterraneo in un saliscendi di emozioni che mette, senza ombra di dubbio, la qualità e l’ispirazione in primo piano.

Sat – Life on Saturday at 1 p.m.(Riserva Indiana)

Folk tascabile e lo-fi che infila emozioni su emozioni e intasca una prova da bosco ancestrale che si immedesima con una natura assopita in grado di entrare in comunione con lo sperato esigendo ambizioni e traguardi che non sono espressi, ma piuttosto il tutto ha il sapore di un loop in evoluzione capace di dare un senso alle malinconie di fondo che caratterizzano questa bellissima prova. Un’autoproduzione genuina e solitaria che ricorda i primi lavori di Bon Iver in un’esigenza di fondo di far quadrare amore e solitudini nascoste allo scorrere del tempo che ben si amalgamano con una stesura profonda dei testi che lasciano alle sensazioni il pieno diritto di entrare a gran voce in un folk d’oltreoceano che conquista già nella traccia d’apertura Coupon e via via trova la propria strada fino a convergere con Roadtrip in un finale lasciato alla meditazione e alla bellezza da contemplare, proprio come l’essenza del disco stesso fatto di sogni e speranze, di vuoti da colmare e colori da riempire.

Modena City Ramblers – Mani come rami, ai piedi radici (Modena City Records)

Li senti provenire da lontano con quel suono di flauto che accompagna una produzione dopo quattro anni di silenzio, una musica composita d’insieme che spazi tra i generi e abbandona spesso le strade del folk per intersecarsi con un suono più moderno e generazionale dove la canzone si sposa con immagini, riflessioni di vita, sostanza e sudore del tempo che verrà. Mani come rami, ai piedi radici è il nuovo disco dei Modena City Ramblers, un album che parla di orizzonti indefiniti e di un errare che ingloba l’intero mondo che ci accomuna, dimenticando i fatti di cronaca che caratterizzavano il precedente lavoro e tornando sui passi di musiche contaminate dove il dialetto, l’inglese e lo spagnolo sono lingue necessarie di comunicazione e dove l’atmosfera desertica che si respira nella bellissima My ghost town assieme ai Calexico ridefinisce una sostanza che va a recuperarsi nella terra, da quelle radici che sono i nostri punti d’appoggio, ma anche il nostro bisogno di arrivare in alto, non per prevalere, ma piuttosto per respirare un cielo condiviso. Notevole la concessione del diritto musicale sul retro di copertina: “Riproducetelo, prestatelo, fatelo suonare in pubblico e trasmettetelo. La musica è come il vento, fa ondeggiare i rami, nutre le radici” e come, dico io, dargli torto?

Folkamiseria – Follia (Onairish)

Quarto album per la band da super pub irlandese capace di creare melodie tipicamente folk incrociate però da una forte componente rock che non permette di classificare in modo immediato questo suono, ma piuttosto permette di navigare lungo confini poco battuti e carichi di quella potenza musicale che solo incrociatori generosi di balli notturni inoltrati possono evidenziare. Tra la follia del paese, della gente comune, di chi lotta ogni giorno i nostri creano un disco che ha il sapore del folk rock, ma anche del reggae, del blues e dello swing, un album multisfaccettato in continuo divenire che abbraccia il passato, la tradizione, ma anche il moderno il nostro sentito vivere tramite un amore collettivo che attraverso Il viaggio, non a caso è il pezzo che apre il disco, ci porta a scoprire vizi e virtù della nostra Italia, passando per Caffeina, Fernet Blues, My country, Il valzer del telefonino e senza dimenticare le preziose collaborazioni con Cisco, Lorenzo Monguzzi dei Mercanti di liquore e con i torinesi Bandakadabra per un album che riunisce la vivacità del folk senza dimenticare la potenza impattante di un rock d’autore davvero riuscito.

El Matador Alegre – Dreamland (Cabezon Records)

Quello che El Matador Alegre, dopo cinque anni di silenzio vuole farci comprendere attraverso questo disco è la bellezza sostanziale nel sogno, un sogno di vita che si esprime attraverso acquarelli folk che colpiscono per immediatezza e naturalità d’intenti quasi a soffermarsi sulla dimensione onirica per poi, inesorabilmente, approcciarsi ad una soluzione più matura e reale, quasi verista che si concede a sentimenti pronti ad aprirsi e a consegnarci un mondo di purezza cristallina che ha il sapore e il profumo delle lenzuola pulite e degli amori senza fine in anfratti sonori colorati da colori vivaci che sanno virare in tinte più sobrie, quasi pastello ad innescare mentalmente, già nella prima canzone, con quell’onomatopea di un orologio, un mondo fatto e popolato da creature fantastiche una terra di sogni dove l’irreale diventa reale, dove il futuro alle porte si diletta in solitudini alla Nick Drake in una incantevole discesa nelle profondità dell’animo umano, una discesa che a ben guardare e a ben sentire porta con sé non solo una malinconia pura di fondo, ma si concede, si consuma, ama, come fosse l’ultima volta, come fosse la prima.

Freaky Mermaids – Everything could happen (Autoproduzione)

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Trio bresciano che incapsula poesie grondanti inquietudine e surrealismo per un suono proveniente dall’acqua e nell’acqua trova le sue forme di sovrapposizioni e di strutture create per l’occasione immagazzinando la lezione passata, un EP e un disco alle spalle e una sostanza ultraterrena che si consuma nell’ambientazione teatrale di spazi aperti ed echeggianti dove una formula compressa pian piano si apre a melodie dissonanti che colpiscono e rendono l’ascoltatore al centro di una progressione d’intenti mirabile e vibrante attesa, esplorando il mondo del folk in stato larvale, quasi a voler partire da radici e necessità che ben si sposano con le esigenze del nostro tempo alla ricerca di una libertà musicale e di costruzione dell’intero che non bada a certezze, ma coinvolge e capovolge lasciando nel contempo speranza e bagliore, tristezza solitaria e bellezza di un tempo andato, come su di un palco polveroso, come in un film in bianco e nero dove i protagonisti di quella tela siamo noi abbracciati in un campo cinematografico lungo una vita intera.

Cranchi – Spiegazioni Improbabili (New Model Label/In the bottle Records)

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Piccoli acquarelli lucenti che raccontano di un micro mondo che cresce attorno al cantautore Massimiliano Cranchi e alla sua band in un sodalizio con la canzone d’autore italiana che vede il nostro approcciarsi a sentimentali poesie di un tempo passato e di un tempo presente in grado di narrare, attraverso piccoli particolari, la bellezza e la semplicità della vita, tra le insidie di ogni giorno e tra le esigenze di domandarsi e di occupare un posto che ci permette di vivere completamente una situazione di intesa profonda con ciò che ci sta attorno, attraverso quello in cui crediamo. Tra sonorità mai sospinte, ma piuttosto sussurrate in rima, tra De Gregori e Guccini in un connubio d’autore che rende bene l’idea e l’apice musicale, i nostri muovono i propri passa alla scoperta di un mondo raccontato non come fatto di cronaca, ma piuttosto come idea intrappolata in nuvola sulfurea che si fa trasportare dal vento lontana nel tempo e confezionando un disco in cui si respira l’odore della pianura e del sole estivo alternato al gelo invernale.

Uncle bard & The dirty bastards – Handmade! (Autoproduzione)

Sogni abbandonati sulle scogliere dove il mare continua ad infrangersi per poi ritornare ancora più inesorabile alla ricerca di un suono che si fa verdeggiante e carico di un folk che si fa musica estemporanea e nel contempo raccolta a racchiudere segreti di terre lontane, abbandonate, dal rigoroso silenzio fino alla costruzione mentale e musicale di suoni che solcano i mari e si riappropriano con frastornato stupore di tutto ciò che è andato perduto, di tutto ciò che è in procinto di sopravvivere oltre i segnali di un folk che sembra essere stereotipo, ma nel contempo si carica di una doverosa essenza per personalizzare una proposta che vede in primis un gruppo di amici che nella semplicità del momento raccontano storie attorno al fuoco, lo fanno con fare deciso e ispirato in questo disco, un disco completamente handmade fino all’autoproduzione, un album in cui gli ostacoli sembrano solo essere lontano ricordo e dove i sogni possibili e ispirati si contendono su di un palco polveroso capace di intrappolare il colore dell’Irlanda.

Espana Circo Este – Scienze della maleducazione (Garrincha Dischi)

Disco critico e proiettato nel mondo della mercificazione dove la protesta degli Espana Circo Este si fa sentire vomitando al suolo parole soppesate e nel contempo di pura energia vitale che ci fa in qualche modo entrare in un universo diverso e possibilmente autentico, criticando in maniera sovversiva i così tanti soprusi che caratterizzano la nostra società, la inchiodano al suolo e non le permettono di entrare in contatto con una realtà tangibile e mutevole.

Gli Espana Circo Este sono tornati e in questa loro seconda prova si respira un’autenticità che fa ballare, loro primo e indiscusso marchio di fabbrica, un ballo che si fa riflessione e inno alla non troppa leggerezza, un guardarsi dentro in qualche modo, guardare alle imperfezioni come punto di svolta permettendo all’ascoltatore di superare barriere prima insormontabili.

Sono dieci tracce per questo suono punk contaminato, un po’ zingaresco e un po’ tangheggiante che esprime la massima ambizione poetica in Dammi un beso e si proietta nelle sperimentazioni di Gabriel PT1 e Gabriel PT2 per sodalizi di un’altra terra polverosa in cui vivere per sentirsi finalmente a casa.