Stella Maris – Stella Maris (La Tempesta Dischi)

Difficili da descrivere queste scintille che appaiono nel firmamento musicale come regalo di Natale anticipato e che di certo non delude, ma piuttosto illumina di infinite possibilità e attimi un bisogno essenziale di ritrovare un certo tipo di musica, un certo tipo di sostanza approdata nei meandri e dal nulla esplosa in tutta la sua conturbante bellezza. Stella Maris è una super band formata da Umberto Maria Giardini, Ugo Cappadonia, Gianluca Bartolo de Il pan del diavolo, Emanuele Alosi de La banda del pozzo e Paolo Narduzzo degli Universal Sex Arena, un gruppo che esce dagli stilemi dei singoli elementi per dare voce e vita ad un progetto interessante e sospeso tra il passato, quello degli anni ’80 degli Smiths per intenderci passando per un certo cantautorato moderno che incrocia le poesie di Benvegnù e si definisce all’interno di un disimpegno impegnato. Nonostante la cifra musicale sia spesso scanzonata i testi sono sempre legati ad un certo interesse per gli ossimori e per le prese di posizione in questa società malata. Intenzioni quindi e aria vintage proclamata che si fa sentire in una maturità di fondo esemplare capace di caratterizzare pezzi come il singolone Eleonora no, senza tralasciare canzoni come Rifletti e rimandi, Piango Pietre, Coglierti nel fatto o la parvenza di suite sonora finale Se non sai più cosa mangi, come puoi sapere cosa piangi?.  Stella Maris è un disco folgorante, strutturalmente impeccabile che insegna alle giovani leve e non solo che un certo tipo di musica è ancora possibile in questa aleatorietà disturbante.

The Valium – Amazing Breakdowns (XXXV)

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Rock’n’roll sputato e incanalato al suolo grazie ad un’energia viscerale che si frappone alla quotidianità ed elargisce consigli su reattività e modi di interpretazione di una vita al limite, ma soprattutto sempre in cambiamento. I The Valium ci danno dentro con le parabole sonore e conoscono a menadito l’essenzialità nel comunicare con il proprio pubblico uno stato di disagio, ma nel contempo anche uno stato d’appartenenza con il mondo circostante, a suon di beat, a suon di rock, sciogliendo i desideri di band come The Hives fino a ricomporre le complessità di mostri sacri come Beatles o l’immediatezza purificante dei The Rolling Stones o di qualsiasi altra band che ha fatto la storia della musica mondiale. Amazing Breakdowns suona davvero internazionale, un’internazionalità davvero concentrata sui paradossi della vita moderna, da quell’intro che si fa già potenza in Too many dreams of rock’n’roll passando per l’inno I hate you per poi dare ancora spazi notevoli di elasticità incontrollata in canzoni come Supernatural o Tv per concludere a bocca aperta con la notevole Soul sister. I The Valium con Amazing breakdowns si garantiscono un posto tra le migliori promesse di questo quotidiano mondo musicale grazie a suoni freschi che non disdegnano di osservare da vicino la modernità.

The Ghibertins – The less I know the better (Autoproduzione)

album The Less I Know The Better - The Ghibertins

Sonorità d’oltreoceano che si stagliano come nuvole all’orizzonte e regalano una ventata di freschezza alle produzioni che ci circondano, incanalando un bisogno essenziale nel fare della canzone pop uno stimolo per un’evoluzione contagiosa ad ingabbiare un rock di facile appeal emozionale e sulle corde di una musica sospinta nello smuovere emozioni dentro di noi. Quando si ascoltano i The Ghibertins i riferimenti più immediati si possono trovare in band come Counting Crows, cantautori eclettici come Ryan Adams e Badly Drown Boy o tra i parallelismi con gli italiani Telestar. I nostri riescono a coniugare il folk con la canzone d’autore e i ritmi sostenuti, ma dilatati, permettendo ai pezzi di farsi riascoltare grazie ad una comunicabilità di fondo davvero invidiabile ai nostri giorni. The less I know the better è un disco davvero ben suonato e registrato; grazie anche gli arrangiamenti puntuali di Alberto Turra, arrangiamenti che permettono al suono di rimanere con i piedi ancorati nella sicurezza dell’istante, quell’istante che si muove nell’acquisire valore e personalità. Dopo il primo lavoro del 2015 i The Ghibertins confezionano un disco bellissimo sotto molti punti di vista, un album che ne sono certo, sarà un punto di fondamentale importanza per i risultati futuri della band.

When_due – Pendolo (Pistacho)

Secondo album per il duo proveniente dalla Sicilia che si cimenta con suoni ultraterreni da dance floor contemporanea in loop continuo a disegnare geometrie standardizzate e nel contempo eleganti che implodono ed esplodono ad attutire i colpi della materia per far rivivere armonie sotto forma di figure, colori e decostruzioni elettroniche. Pendolo dà proprio l’idea oscillatoria del moto, in un’esigenza a temporale nel consegnare risultati apparenti di sicuro impatto che si muovono attraverso cinque tracce che fanno parte della stessa matrice, hanno le stesse radici e portano con sé l’esigenza di intrappolare il momento fino a necessario bisogno di consegnarci una suite sonora divisa ad arte, un Pendolo musicale che parte e torna con la stessa forza, in un moto perpetuo studiato e necessario che ricopre le distanze e fa si che il mondo attorno diventi trottola consequenziale di un viaggio che sembra non avere mai fine.

Slivovitz – Liver (Soundfly Records)

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Loro sono in sette vengono da Napoli e fanno della decostruzione in musica il loro cavallo di battaglia immagazzinando le molteplici sfumature che il suono d’insieme sa consegnare a chi sa ascoltarlo e intrattenendo l’ascoltatore con voli pindarici completamente analogici in un’edizione del loro primo disco live che possiamo trovare anche sotto forma di pregiato vinile pesante capace di far felice ogni estimatore di genere. I Slivovitz non hanno bisogno di molte presentazioni anzi sono i pionieri di un prog altamente sofisticato, conturbante e contaminato dal jazz e dalla world music che intreccia il mondo nord africano e arabo con melodie sopraffine capaci di inglobare, in presa diretta, le sensazioni alterne di un viaggio inarrestabile verso i confini della nostra coscienza. Nel disco è presente una rivisitazione ostinatamente importante di Negative Creep dei Nirvana che come pugno sullo stomaco ribalta le carte in tavola per dare valore maggiore ad un progetto che fa della poliedricità di fondo un punto sui cui insistere per continue e importanti aperture sonore future.

Usual – Just feel Alright (Primalbox)

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La potenza espressiva di quattro ragazzi trentini, provenienti da Arco, si esprime in questo piccolo disco che racchiude al proprio interno un bisogno essenziale di comunicare attraverso la musica compatta e sognante, a tratti eterea, di band come Beatles, The Stranglers e Radiohead in un concentrato di vortici emozionali in partenza verso galassie lontane e racchiuso nella bellezza complessiva di tutto ciò che possiamo immaginare da un EP di Britpop fatto alquanto bene, partendo dai suoni e convogliando nella struttura di fondo capace di regalare la giusta dose emotiva a quattro pezzi che fanno parlare di sé attraverso un’impalcatura notevole, costante e sognante. Si parte con la bellissima Just feel alright  fino al finale di Down the road of my heart e intrappolando visioni d’ampio raggio in brani come Dog e l’altra centrale Blueberries and wine per un esordio che possiede al proprio interno le carte in regola per dare soddisfazioni concrete nel possibile futuro full legth.

Nice – Tap Tempo (MeMe)

album Tap Tempo - NiCE

E’ il cuore che pulsa come un tonfo e si collassa lungo gli anfratti del nostro vivere quotidiano con la forza lisergica di chi non ha più niente da perdere, ma che sbombarda in proporzioni cosmiche una forza d’arrivo che come tempesta distrugge e si quieta, sviscerando enunciati che sono vissuti e parlando con la parte più nascosta di noi. I Tap Tempo ci regalano un disco convincente sotto molti punti di vista, in primis partendo dai suoni puntuali e ben calibrati e successivamente per approccio alquanto sincero che colma gli abissi della nostra anima con parole taglienti, gridate, masticate e rigettate al suolo da quella forza strumentale di Guerra caffè e brioche, quasi un inno nichilista ai cliché moderni fino al finale lasciato a Fase Rem passando per la potenza di Allontanarsi dalla linea gialla e Infuso di coscienza a ristabilire un riposo di energie che si innesta a ricreare un nuovo tempo d’azione, il nostro.

Fukjo – Quello che mi do (Autoproduzione)

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C’è della tossicità in questa musica d’autore che si esprime attraverso melodie alternative e psichedeliche capaci di dare un senso e un nome alle rotture dell’animo umano in una auto analisi di immagini preponderanti che si condensano nell’attimo prima dello scoppio di una musica rock fatta di costrutti e strutture non delimitate e delimitabili, ma piuttosto una piena coscienza di una potenzialità mai immediata, ma incanalata nel bisogno di scoprire la parte più oscura di noi in un fare i conti perenne con la nostra storia, con la nostra memoria in espansione, per cinque pezzi, quelli della band pugliese Fukjo che abbandonano strade e porti sicuri per lasciarsi andare a nuove scoperte mai delimitate, ma sperimentali quanto basta ad incrementare un noise centrato, un noise mai così disturbante, ma un suono di salvataggio capace di abbracciare limiti e confini dei nostri sogni, dei nostri incubi più remoti.

Sula Ventrebianco – Più Niente (Ikebana Records/Goodfellas)

E’ un cuore che si scioglie e poi non esiste più nulla tra gli antri di questo rock alternative d’autore che installa geometrie in costante mutamento capaci di dare vita a pulsazioni costanti involontarie per ricordarci che alla fine non rimarrà più niente di noi, in un sali scendi di parole che travalicano le attese e si fanno portatrici di un pensiero disturbante, caotico, quasi psichedelico in una concentrazione di forme oscure che prendono il sopravvento e fanno si che la band campana dia vita ad un album in grado di cogliere l’imprevedibile soffio di vento che rende necessaria la riscoperta di una bellezza da assaporare e da respirare, in una dramma che si consuma, in un eterno divenire che in manifesti musicali come Diamante, Wormhole o la stessa finale Amore e Odio ricerca una strada disseminata di tentativi per essere se stessi fino in fondo, fino alla fine, tra chitarre distorte e momenti di introspezione catartica i nostri proseguono un cammino che non sa di miracolo, ma piuttosto di sogno onirico tangibile.

Voina – Alcol, Schifo e Nostalgia (INRI)

Ascoltare i Voina è un po’ come avere un compendio a 360° della realtà che ci circonda, un mondo fatto di plastica costruito appositamente per gli illusi del nostro tempo che in questo album, come non mai, viene denunciato a colpi di martellante rock , spruzzato qua e là da una connotazione alternative punk  di sicuro impatto, in grado di dare sfogo ad una rabbia repressa che non vacilla, ma piuttosto trova una sostanziale rimonta nei confronti di questa società al limite, rincarando la dose con canzoni impreziosite da testi importanti ed emozionali, incapsulati in una musica dal forte sapore internazionale e nel contempo orecchiabile quanto basta per creare una sorta di ponte con il rock più duro e quello più popolare, senza per questo ricondurre il tutto ad una musica pop, ma piuttosto ricercando una propria via da seguire come nella bellissima apripista Welfare o la ballata Ossa, passando per Non è la Rai e alternando la catastrofe nel finale La provincia. Un disco per costole rotte e frantumate al suolo, un disco che per gli abruzzesi Voina è la conferma di una classe indiscussa nel panorama di genere italiano che raggiunge i frutti sperati quando la voglia di gridare il proprio disappunto raggiunge il limite più estremo.