Alberto N. A. Turra – It is preferable not to travel with a dead man (ChantRecords)

Elucubrazioni notturne in solitaria capaci di scavare all’interno del nostro io una voragine profonda una notte intera a tessere trame d’argento che si sfaldano con l’arrivo del sole, con l’arrivo delle belle giornate, portando però con sé un senso di abbandono, di pensieri in dissolvenza, di capacità melliflua, ritorta e continua nel dare adito a speranze e a sogni infranti. Il disco live di Alberto N.A. Turra è un viaggio nei pensieri e nelle improvvisazioni che si trasformano in musica da cinema per palati sopraffini e naturali, mossi da quell’idea sospesa nel galleggiare attraverso pareti che percepiamo da vicino che sentiamo nostre, ma che non possiamo afferrare. Dentro a questo disco ci sono i luoghi dei live, ci sono i profumi di quei posti, le chiese sconsacrate, i masi d’alta montagna, le case abbandonate allo scorrere dei giorni, ci sta una poetica ermetica e filiforme in grado di farci entrare perentoriamente attraverso le ferite dell’umanità, rimarginandole però con cicatrici che parlano di noi, con cicatrici che parlano d’amore.


Paolo Saporiti – Acini (Goodfellas)

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Atmosfere pregne di significati per il nuovo di Paolo Saporiti, un album carico di movenze eleganti che si fanno viaggio vitale e come cerchio necessario trasformano i pensieri in qualcosa che si coglie nella mutevole essenza di un luogo senza fine, di un luogo da raggiungere e che nella direzione trovata, manifesta una partecipazione unica e un traguardo da mantenere. Acini è figlio della terra, è figlio di un amore corrisposto, è l’amore di un figlio e di un padre, ma è anche l’asprezza e la durezza della vita, la difficoltà implementata, il tempo che ingoia e che risputa tante volte solo ciò che resta di peggiore, lasciando ai ricordi la parte migliore su cui possiamo sperare. Paolo Saporiti affresca un passato da polaroid sfocata, ma bellissimo nella sua forma mutevole, nel suo essere vero e custodito, rinfrancato e carico di visioni, di immagini, di sostanziale apice battuto come sentiero oltre la notte. Acini è la conquista della libertà, quella stessa libertà che diventa capacità lirica di fondere pensieri profondi e nel contempo di destrutturare un linguaggio che nella ricerca ricorda l’ultimo di Paolo Cattaneo e si pone come punto fondamentale e imprescindibile nel panorama della musica d’autore italiana. 


Fluxus – Non si sa dove mettersi (Autoproduzione)

album Non si sa dove mettersi - Fluxus

Posti da ricercare, posti da recuperare in un luogo inospitale che si chiama terra e che ci vede giorno dopo giorno rincorrere uno sperato che non convince, un posto da recuperare nel buio e nelle tenebre che avanzano nell’imprescindibile bisogno di essere e di far parte di qualcosa di importante, ma che in modo inesorabile ci relega ad essere marionette mute di una società malata. I Fluxus, super band storica targata ’90 ritorna con un disco da paura, un disco arrabbiato e carico di appeal comunicativo ed emozionale, un magma multiforme che dai toni dei grigi arriva a conquistare i neri delle nostre anime contorcendosi ispirati all’albero di una vita scarna, ma in divenire. Il rock pesante che si respira nelle undici tracce presenti in Non si sa dove mettersi è un agglomerato di hardcore rumoroso, ma caratterizzato da un contesto che via via cambia con il variare della canzone proposta, con il variare di un suono distorto e ascritto ad un flusso costante che dichiara ancora una volta da che parte stare prima che sia troppo tardi. 


Gustavo – Dischi volanti per il gran finale (IMakeRecords)

Dischi volanti per il gran finale

Musica velatamente pop che racchiude al proprio interno un cantautorato essenziale che sposa le trasformazioni jazzistiche e si immola a stupire grazie ad un tutto mai gridato, ma piuttosto raccolto e sedimentato nella dolcezza che culla, nella sera che rinfranca. Il disco di Gustavo, all’anagrafe Francesco Tedesco è un insieme di canzoni notturne che volano sopra i tetti delle case e si fanno portatrici di suoni reali, amalgamati e coraggiosi, in una ricerca davvero inusuale delle parole, delle associazioni e delle trasformazioni che la musica permette ed è in grado di far trasparire, in grado di far ottenere, tra momenti di introspezione e altri leggermene più movimentati e aperti. Dischi volanti per il gran finale è un album che ha il sapore di un orchestra che suona in riva al mare, una descrizione vissuta di ricordi e momenti che attraverso racconti in musica si fa più reale, quasi tangibile, metaforicamente assaggiabile. Gustavo ci regala una prova lavorata con il cesello, un disco uscito dal cilindro della vita che racchiude con sé una magia primordiale pronta ad incantare. 


Manitoba – Divorami (Sugar/Woodworm)

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Un album partito da una vacanza al mare, un disco nato dopo anni di conoscenza e sedimentato nei ricordi e nei vissuti di un ragazzo e di una ragazza, ora diventati grandi e in grado di mantenere parabole discostanti che ripiegano le soluzioni facili e ambiscono, come fucina creativa, a creare costruzioni immacolate di pura fantasia artistica imbrigliata in fasci di luce autorevoli e pieni nella loro forma desueta nel cercare qualcosa che vada al di là del già sentito. Sotto il nome d’arte Manitoba si nascondono Filippo Santini e Giorgia Rossi Monti, un duo composito che sputa addosso alla realtà il proprio stato d’animo e con citazionismo raffinato, maturo e soprattutto con fame sempre viva di musica cercano di trovare un posto d’onore all’interno del panorama della musica italiota. Le canzoni sono un agglomerato di generi, dal cantautorato alla new wave, passando per un indie essenziale nelle sue sfumature per approdare a desideri reconditi di un rock sbarazzino e idealizzato nella mente dei due. Pezzi unici dimostrano la caratura del gruppo già nell’apertura affidata a Dio nei miei Jeans, passando per Divorami, Andiamo fuori, In questo freddo e nel finale con l’onirica Aida & Mellotron. I Manitoba danno vita ad un disco cangiante, fatto per chi non si accontenta e che sa coniugare in modo egregio la realtà indie con quella più poppeggiante del caso trasmettendo una passione unica che si trasforma in fame costante e in un bisogno unico di respirare suoni. 


Arvioux – A safe place (Autoproduzione)

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Progetto elettronico cangiante del bresciano Alberto Gatti a ristabilire col nostro animo atmosfere cibernetiche da spazi siderali in una quiete sospinta a dare gesti e forme inusuali riscoprendo dalle radici di qualche decennio fa una musica fatta da vocoder e sintetizzatori di classe a coinvolgere aspettative e inusuali costruzioni in divenire. Quattro pezzi soltanto per un Ep egregiamente sfornato, quattro canzoni che sono e che fanno da sfondo al nostro mutare quotidiano da Insecure fino a My soul is free passando per Waiting for summer e M per un disco da digerire tutto d’un fiato e da riaccendere come espressività della nostra realtà tra pixel messi a fuoco e colorazioni sfumate di un’eclettica prova che, seppure nella brevità accennata, convince e rinfranca. 


Spread – Vivi per miracolo (Go Down Records)

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Nel disco degli Spread si respira tanta di quella libertà da far spavento, un concentrato di parole suono che intercorrono dalla prima all’ultima canzone dell’album in sodalizi con una musica desueta e preservata da registrazioni d’insieme che permettono di saggiare i nostri sul piano della molteplicità attitudinale e sulla capacità implicita di scardinare l’ordine precostituito per dare vita a qualcosa di personale e sentito. Vivi per miracolo fa esplodere il comparto ritmico per lasciare spazio a geometrie sghembe che si contorcono in ossimori, nelle contrapposizioni tra potenza e quiete, in uno stato perenne di tensione emotiva che imprime al disco un’aurea di misticismo e novità. Il merito di tutto questo va in parte anche ad Alberto Ferrari dei Verdena che ha curato per l’occasione la registrazione e la produzione, un album di difficile categorizzazione che parla delle nostre debolezze e delle nostre solitudini rimpiazzate da feticci colorati a riempire gli scaffali della nostra anima. Vivi per miracolo è un album dove l’ansia scorre sul filo tagliente della vita, un album che ci ingloba e si fa ascoltare tutto d’un fiato, fino a quando avremo respiro. 


La Notte – Volevo fare bene (Woodworm)

Una psichedelia inoltrata, con una base di chitarra acustica, serve per creare atmosfere di gran pregio, aggiungici poi un cantato in italiano, mai preponderante, ma di sicuro effetto e ti ritrovi ad ascoltare il nuovo disco dei La Notte, Volevo fare bene, un album di attese e sogni infranti, di amori che si consumano e domande a cui non siamo in grado di dare una risposta. I fiorentini La Notte intascano una prova davvero importante sotto diversi punti di vista, un insieme di canzoni che possono andare a delineare un brain storming di pensieri in evoluzione costringendo l’ascoltatore ad entrare in sensazionali quadri dipinti per immagini che lo stesso Yuri Salihi, voce e autore della band, affresca e compone con grande capacità metrica e comunicativa, coadiuvato da un reparto strumentale davvero generoso e ben calibrato. Nel nuovo dei nostri si può ascoltare un’intimità che avanza e attanaglia, un’introspezione convincente che si evidenzia in pezzi come l’apertura affidata a Per nuovi pescatori, fino alla bellissima title track passando per le malinconie di Ho visto la scena e via via, giù fino al finale lasciato alle bombarde ispirate di Sotto Assedio e Buddha Bar. Sintetizzatori ed elettronica messa al servizio di canzoni ispirate rendono questo disco un punto di maturazione sostanziale per la stessa band, un modo importante per mettere a fuoco un obiettivo, in questo caso centrato nell’omogeneità di questo racconto in musica. 


Nordgarden – Changes (GDNord Records)

L’impatto e l’eleganza del momento racchiusi in una presa diretta davvero entusiasmante che vede il cantautore norvegese cimentarsi in una prova che ha il gusto del classico sotto numerosi punti di vista. Si imbracciano in estasi i sapori di fine anni ’60, la fluidità dei ’70 per poi esigere contemporaneità offerta dai mezzi di registrazione moderni per un gusto vintage riportato in auge e pieno di sorprese, contrappunti sonori, attimi esposti fibrillanti che colpiscono dritti al cuore. Dieci pezzi cristallini per Nordgarden, dieci pezzi che sono la summa di una carriera e di un percorso molto legato all’Italia. Changes è un disco sui cambiamenti che portiamo con noi, un album sull’essere se stessi oltre ogni cosa e oltre ogni parvenza di realtà e proprio qui il nostro intraprende un cammino chiaro giocando con le parole, giocando con il proprio io e intessendo trame pacate di rara bellezza. Changes si muove suadente a comprimere spazi in un folk sopraffino, coadiuvato da musicisti di talento in una sulfurea e vibrante notte stellata che accarezza come calda coperta invernale per l’inverno che verrà.

Monolithic – Elephant (Autoproduzione)

Ascoltando i Monolitich sembra quasi di avere nel salotto della propria casa i Pink Floyd che fanno stoner mescolato all’hard rock più disperato con improvvisazioni psichedeliche che stupiscono per suono granitico e ben impostato e rabbia esplosa a dovere in un concentrato di azioni che si dilunga in aperture, costrutti eviscerati a dovere traccia dopo traccia, canzone dopo canzone in sodalizi con un passato che non c’è più, ma nel contempo con gli occhi protesi al futuro. Da Moloch fino a Spleen Mountain’s Giants  si passa di genere in genere, tra attimi che si fanno pensierosi fino a vere e proprie potenze di fuoco espresse. Importante in due parti la mutevole e cangiante The umbaptized and the Virtuous Pagans elaborata a dovere, quasi una jam session evaporante e potente nella sua interezza; basterebbe solo questa canzone per comprendere la caratura invidiabile di questo trio composito. Elephant è uno sguardo nell’interezza e nel contempo nella singolarità, sei canzoni per una band in costruzione che ha tutte le carte in regola per diventare capofila di un genere evolutivo e alquanto contagioso.