Contessa & The Squires – Stop the bomb (Autoproduzione)

Nuovo piccolo disco per i Contessa che sfornano quattro pezzi super estivi da poter ballare a piedi nudi sulla spiaggia senza chiedersi troppo e soprattutto profumando di quel candore adolescenziale che fa impazzire anche il più asociale in circolazione, un mix di rock and roll made in Firenze che trascina, conquista e ripaga, con occhio prepotentemente teso agli anni ’60, tra le cavalcate marine su onde infinite e la voracità di conquista tipica di questa stagione.

Il disco è ben suonato e il bisogno di essenzialità si evince sin dalle prime note, dove il calore di Gonna sing gonna dance si interseca perfettamente con i pezzi a seguire, My Cadillac, Julie e The Colt per un inno al bisogno esistenziale di divertimento e pensieri lasciati in disparte in canzoni che sanno di tempo perduto e di bellezza sonora senza fine.

Bella l’idea del formato, un piccola pen drive a forma di disco, inoltre per i palati più esigenti l’EP sarà ascoltabile anche in vinile 7″, alla ricerca di quel pezzo di vintage vissuto da poter assaggiare solco dopo solco.

Anhima – La cruna dell’ago (Autoproduzione)

La rock band fiorentina colora il mondo di sostanze mutevoli aggrappate ad un classic rock all’italiana dotato di un substrato notevole e composto da testi eleganti e veritieri, che si affacciano alla vita come un pugno allo stomaco e costringono l’ascoltatore a tenere l’orecchio teso all’intero disco, tra sali scendi emozionali e compressi in multiformi distorsioni che ben si amalgamano alla base ritmica, grazie anche alla presenza di quattro musicisti capaci e coadiuvati, per l’occasione, dagli arrangiamenti efficaci di Fabrizio Simoncioni: una firma di solidità nel panorama della musica italiana.

Gli Anhima intascano una prova che è prima di tutto narrazione in grado di coinvolgere, una musica che alza il tiro grazie alle parole di Daniele Tarchiani, un rocker puro che si consuma e si dona, riuscendo ad attaccarsi alla vita grazie ad un cantato ispirato e mai banale, vero punto di forza di un gruppo che include, come marchio di fabbrica, la propria solidità granitica, per pezzi che entrano in testa sin dalle prime battute con Accogli il dolore: canzone che rincorre i giorni andati a male tra le solitudini dell’anima e i pensieri in divenire.

Ecco allora che l’amore entra in campo donando vivacità acriliche ad ogni singola nota, Un cuore che vola ne è l’esempio, per poi passare a racconti di vita contemporanea su Umanoide web, senza tralasciare la riuscitissima e meravigliosa Tutto il mondo è paese in un continuo affacciarsi al nostro pianeta osservandolo da vicino, per captare i suoi rumori e le sue esigenze; dieci tracce di puro rock per i nostri, dieci pezzi che convincono a cascata segnando una nuova strada da percorrere.

Catalpa – Il suono lontano (Autoproduzione)

Domandarsi nel nostro incedere quotidiano dove si trova la purezza, quella racchiusa negli intenti, quella che non chiede, ma fa, solo per creare qualcosa di bello, di emozionante, che riappacifica il cuore e tende una mano verso coloro che magari non sanno dove andare; una musica lontana che si fa racconto, diario di vita sperimentale, coccolato da suoni acustici e da un’elettronica che non prevale, ma si fa contorno di un quadro che giorno dopo giorno tentiamo di costruire, un collage eterno che possiamo chiamare vita.

I Catalpa sono Axel Pablo Lombardi e Giuseppe Feminò, portatori di un suono puro e allo stesso tempo ricercato, lontani da qualsivoglia forma di mercificazione e in cerca di un percorso che si fa vivo nel racconto, quel racconto che si esprime al meglio nel delineare a tratti Firenze e la Versilia, luoghi dell’infanzia, luoghi di tutti i giorni; il tutto condito da un’espressività che ricorda i grandi cantautori del passato, De Gregori su tutti.

Tredici canzoni che si riappropriano di un terreno incolto, dipingendo un albero di Giuda ammaliante e rimanendo accecati dal suo splendore fino a Sorgane, tra la periferia, da dove tutto è partito, là dove la speranza può ancora rinascere.

Tra il cemento di ogni giorno, vedere l’erba spontanea crescere, ci fa capire che ci può essere ancora la vita, oltra ogni nostra aspettativa di progresso.

Kelevra – Cronache per poveri amanti (VREC)

Amori andati a male, amori lontani, sfiducia sull’oggi e sfiducia sul domani, intrisi di quella poesia neo natale che imprigiona la semplicità del gesto, dell’atto, in una confezione effimera di gioia, dove il tempo racchiude i segreti per un mondo forse diverso.

Al secondo album i Kelevra fanno centro, intascando una prova ricca di coraggio e di un’immediatezza strabiliante, che sa mescolare diligentemente un pop definito amaro al cantautorato più moderno,un disco tutto tranne che consolatorio dal titolo Cronache per poveri amanti.

I nostri raccontano una vita fatta a pezzi e l’essenzialità nel tentare di ricucirla passo dopo passo, mattone dopo mattone, oltre la tempesta e ispirandosi al fu fiorentino Pratolini che condivideva con loro la terra natia.

Disincanti che accarezzano l’erba e ti fanno comprendere l’ineluttabilità del tutto, con un forte gradiente e una forte percentuale di amarezza che fa gridare, che ti fa tentar di essere un uomo diverso, migliore.

Non ha gravità è il singolo di riferimento, con la presenza di Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti a farne da padre putativo, un disco che anche senza questo pezzo ha tutte le carte in regola e il pieno diritto per sfondare le consuetudini del momento, trovandosi un piccolo posto nel mondo dove poter vivere.

Earth Beat Movement – 70BPM (Princevibe)

I colori della terra che prendono forma e regalano vita a qualsiasi pezzo di eternità che ci gira intorno, un costrutto emozionale che si staglia nel cielo e un amore per le cose fatte con calma, osservando, lasciando da parte le cose inutili e incastrando il tempo prezioso con ciò che amiamo fare di più.

Gli Earth Beat Movement, band fiorentina, dopo il successo del disco del 2015 Right Road, si concede con il nuovo a sonorità molto più reggae e incentrare nella massima conoscenza di se stessi protagonisti di una terra che ci vuole al centro delle nostre scelte e padroni del nostro pensare.

Il respiro che fa parte di noi lo possiamo assaporare e scoprire lungo le 14 canzoni che compongono il disco, a segnare il cammino, a comporre impressioni che abbandonano il tempo per riscoprirci nuova sostanza mutevole.

Ma noi vogliamo rimanere con i piedi ben saldi al terreno, essere legame unico con ciò che ci circonda; un disco che è un punto di riferimento per la scena reggae italiana, un album che, attraverso un concetto fondamentale, e non illusorio, ci permette di capire dove stiamo andando e cosa vogliamo fare della nostra vita.

CRNG – 542 Giorni (New Model Label)

La band fiorentina entra con gran merito, dopo 542 giorni di gestazione, nel grande e immenso panorama della musica italiana alternativa e soprattutto underground, confezionando un disco che sa di terra e umanità, che sa parlare e conquistare al primo ascolto, con suoni duri e diversificati che si aprono a sostanze ultraterrene nella ricerca del mood giusto che comprime qualsivoglia necessità e si espande caratteristicamente in una prova dal sapore deciso e convincente.

Sono 11 pezzi che sembrano quassi affrontare il disgusto per la società e la continua ricerca di un modo diverso di combattere l’altalenante vivere di ognuno noi, poco compreso alle volte, ma che si fa forma canzone abbracciando testi di puro impatto metafisico, che si lasciano si ad elucubrazioni in divenire, ma che ci narrano vissuti che ci accomunano; estese rimembranze di un volere terreno.

Il loro è un alternative rock che si affaccia all’atlantico, mantenendo una componente italiota che non guasta, tra Muse e Ministri, tra tocchi di wave ottanta e pre grunge con disinvoltura abbracciati dal migliore rock anni’90.

Un disco fatto di rabbia e abbandono, un disco che sa cullarti e come mare in tempesta sa mostrare la parte più minacciosa e misteriosa, quasi fosse una tormenta in cui ci troviamo investiti ogni giorno.

Hard Reset – Machinery & Humanity (SlipTrickRecords)

Un lavoro completo ricco di sfumature e capace di donare vitalità e capacità espressiva per la pura contemplazione estetica, per un forte accento su un rock che fa centro nel cuore di chi ascolta e consegna una prova che mescola con stile i fine ’80 con il pieno dei ’90 tra chitarre grintose e tanta sostanza che vuole comprendere e lasciare spazio al futuro.

Gli Hard Reset sono in tre, i numeri qui fanno la differenza, l’essere in pochi ha permesso di focalizzare gli elementi comuni e indivisibili per consegnare una prova ricca di trascinamento e passione, toccando i vertici della scena grunge di Seattle per passare definitivamente ad un rock più moderno che abbraccia Deftones e in parte anche la musica di Matthew Bellamy e compagni, in una sorta di rock spinto in chiave moderna che trova in divenire una propria evoluzione.

Il rapporto della macchina con l’essere umano, la meccanica che si fonde con l’anima per cercare una chiave di appartenenza anche se l’esito risulta essere di difficile interpretazione, temi profondi che parlano di amori che si conficcano nella carne e gesta quasi eroiche a parlare di un mondo che forse un giorno verrà, un mondo che ancora non è dato conoscere, ma che si ritrova lungo le parole che compongono il disco.

Un album fatto di sudore quindi e tanta energia, sviscerale capacità di infondere un qualcosa grazie ad un power trio che da spettacolo e incanala la potenza dell’atto in un movimento meccanico sfumando la luce che un giorno vedremo.

D’Iuorno – Diversamente Capace (Controrecords)

Alessandro D’Iuorno inscatola momenti di elettricità in suite acustiche dall’ineluttabile candore che raccontano e si raccontano in un passare eterno che concede spazi di intima voracità a concludere per un momento un percorso iniziato con il precedente album Ho capito abbastanza per infrangere modelli di vita e stanziarsi come cantautore di animi diversamente capaci di capire, diversamente capaci di intendere e soprattutto di essere intesi.

Prodotto da Giorgio Canali, che in questo disco suona anche le parti di chitarra e armoniche, il nostro allunga il pensiero ad un cosciente viaggio verso la disillusione, una voce che con rabbia e introspezione ci accompagna lungo un destino fatto non proprio di speranza, ma ci schiaffa davanti una realtà, fotografandola e rendendola reale più che mai, facendola uscire dalle vene, trasformandola in un qualcosa di cangiante e allo stesso tempo inamovibile, frutto di quel qualcosa che il progresso non è riuscito a spiegare.

Ecco allora che la solitudine umana è raccontata con classe cantautorale, fino al trionfo del nulla e fino alla riappacificazione con se stessi, un lottare silenzioso che sembra non aver timone, una barca nell’oceano che manda segnali d’aiuto.

Il viaggio parte con Senza strategie per finire con La mia città, parlando di sé e del mondo attorno, un sogno ad occhi aperti che porta la realtà dentro casa, senza finzione e incanto, un sogno vero e reale che si fa portavoce per tutti coloro che desiderano vivere in un qualcosa di più tangibile, onesto e reale, un’utopia leggendaria tra gli anfratti profondi della coscienza.

Numa – Il Periodo (Audioglobe)

Un tuffo all’inferno possiamo definire questo disco, un singolo apripista che non potrebbe essere più azzeccato di così, tra fuochi che divampano e contaminazioni sonore che sono incrociatori tra l’hard rock più viscerale e un certo metal incalzante che possiamo definire classico senza mezze misure.

Il rocker fiorentino, incontrato nella versione italiana del Rocky horror picture show, si lascia andare a lamenti che sono in cerca di consolazione, a cullarsi negli anfratti più nascosti dentro di noi alla ricerca di quel qualcosa di sperato, di vivo, di immaginifico ed eloquente, che parli una lingua nuova, universale.

E’ molto interessante e sicuramente coraggioso sentire questo puzzle emotivo in salsa hard rock cantato in italiano, solitamente questo genere di musica è accompagnato da acuti che sovrastano un cantato in inglese, il nostro, invece, sceglie una propria via, un proprio cammino, un totale lascia passare per l’inferno.

Ecco allora che si snocciolano trame sonore del tutto originali o che almeno in parte cercano di creare un tutt’uno con un concetto, con una digressione sonora che va ben oltre il sentito, si ascolti semplicemente la traccia finale Illusion Prog. per capire dove sta la capacità del nostro nel contaminare vari stili in una ricerca continua.

Un disco ben suonato e calibrato, sospeso e inquieto, carico di quella luce oscura che di certo non farà Primavera, ma ci farà uscire in modo naturale da questo Inverno.

Non – Sacra Massa (Garage Records/El-Sop)

I NonviolentateJennifer già recensiti in queste pagine tempo fa si trasformano e fanno della ricerca del suono la loro arma vincente.

Ora si chiamano semplicemente Non e dopo aver già visto e sentito le potenzialità nella loro precedente autoproduzione, i nostri ci regalano un ep che non è un ep per loro volontà, ma un disco completo, composto da un suono oscuro dove il rifiuto del mondo in cui viviamo è la rappresentazione più viva di una stagione in divenire.

Un power trio compatto e granitico, un suono viscerale, compresso, esasperato da distorsioni e urla che si trasformano e ci rendono partecipi della catastrofe a cui stiamo assistendo.

E proprio di questo i Non parlano, della distruzione quotidiana di ciò che ci circonda, noi essere umani-non umani attaccati ad un filo d’erba per sopravvivere.

Ecco allora che il cantato di Andrea Zingoni si dimena tra follie di basso suonato da Massimo Leggieri e la batteria di Alvaro Buzzegoli, un genere che non richiede le mezze misure, un genere che mette alla prova, che si fa ascoltare e che ci fa reagire.

Una reazione che deve essere l’unica nostra arma alla crisi che stiamo affrontando, una negazione, quel Non, compreso da due opposti il bene e il male, specchio di un mondo che non vede altre sfumature.