Luca di Maio – Letiana (Autoproduzione)

L’imprevedibilità si fa forma canzone e consente di dare un senso agli ultimi del mondo, in un disco struggente quanto delicato, commovente e suonato egregiamente, dove gli arrangiamenti si possono percepire a pelle fin dalle prime note, come esigenza di valorizzare le vite ai margini, per immagini profonde e soppesate; nulla è lasciato al caso in questo disco e si sente.

C’è la produzione artistica di Marco Parente e alla console di regia Asso Stefana, c’è Alessandro Fiori dei Mariposa e le fluttuazioni di Vincenzo Vasi, gli amici di sempre Sergio Salvi dei My Broken Toy/Cosmosoul, Francesco Bordo dei Nasov, Federico “JolkiPalki” Camici degli Honeybird & the Birdies, Kento & the Voodoo Brothers per finire con Paola Mirabella degli Honeybird & the Birdies, Vincent Butter.

Un disco che ha il sapore in bocca del passato, un quadro ben delineato e una poesia lontana, il mare che fa da tramite per la ricerca di qualcosa di spezzato che va ricostruito, timido abbandono nei confronti di chi spera una vita migliore, attimo di coraggio prima della tempesta, il volere raccontare un’epoca dentro a nove tracce, perché la vita non è quella vista in tv, quando si vive nel quotidiano anche un filo d’erba può avere e cambiare significato, siamo soggetti in eterna costruzione, siamo soggetti che devono capire che tutto quello che vediamo può essere futuro nelle nostre mani e noi con lui dobbiamo essere eterni oppositori dei cliché precostituiti; accarezzando la vita come se fosse la prima volta.

Wonder Vincent – Fiori (Autoproduzione)

Prendete i primi Smashing di Gish, aggiungete un tocco di post grunge americano e condite il tutto con la follia degenerativa dello stoner impreziosito dall’incontro con Vincenzo Sparagna direttore di Frigidaire/Il Male per dare vita ad un gruppo prima e ad un album poi che contiene quella potenza reazionaria in grado di dare un senso perenne al nostro lottare, quel senso di libertà che non è incasellato in un confine ben delineato, ma che si fa portatrice di rabbia contro il sistema, una rabbia pronta ad uscire già dalle prime note.

Un disco realizzato nell’autoproduzione più totale dove i Wonder Vincent hanno avuto la possibilità di sperimentare e sperimentarsi, un quadro analitico fatto di contrapposizioni sonore che verso la fine del disco si aprono a lisergiche melodie acustiche, acide quanto basta per essere condite da un folk Barrettiano e memorabile; visione di luce profonda in una triste mattina d’inverno.

Il resto sono grida di ferocia e intensità che non colpiscono solo allo stomaco, ma anche al cuore, trasformando il già sentito in una sorta di parabola ascendente verso mete difficili da riproporre, in grado di coinvolgere e di portarci all’interno di un continuo cambiamento.

1 disco, 3 amici e 13 canzoni, 13 varietà di fiori che si contendono il primato nell’immergere il proprio gambo nell’acqua della vita, prima che appassiscano, prima di essere scordati per sempre, in uno spazio temporale così vicino alle nostre ambizioni e così lontano da ogni forma di inutilità vissuta.