Walden Waltz – Eleven sons (Santeria)

Echi del bianco Beatlesiano stagnante che si concede in numerose musiche che guardano oltre in confine tra un folk che si evolve poderoso e un beat che incalza ammaliato dalla psichedelica sonda che ci fa rimanere a galla.

Luci e fulmini, tempesta in arrivo, i prati in fiore e le colline da ammirare, al crepuscolo, al calare della sera in un viaggio oltre confine, oltre il canale della Manica, oltre lo strato d’acqua profondo che separa il vecchio dal nuovo continente.

Musica personale, che parte da dentro questa, si perché i Walden Waltz non si accontentano, ma ambiscono ad una costante ricerca che non relega il passato ad un quadro da ammirare, ma fanno di loro stessi i protagonisti di un’intimità sovrana ed eterea, creando ponti , distruggendo i vecchi e soprattutto stratificando passato e futuro in una sola e grande isola.

L’isola del sorriso e le piaghe da arginare, dell’introspezione sonora che parte da accenni di acustica per sovrapporsi ai confini che già conosciamo, in dissolvenza in comprimaria eleganza dando fiato alle trombe e al  clarinetto, tirando corde di violini leggeri assaporando attimi di intimità con pianoforti che danzano sospesi.

Un disco ammiccante, leggiadro e composto per restare, per segnare ancora un volta la strada, tra occidente, fino all’estremo oriente meditativo, campane che si odono da lontano, persone inginocchiate a meditare sul tempo che verrà, persi nella notte del giorno che avrà una nuova luce.