EGON – 100000 km di vene (Mizar Elektric Waves)

album 100000 km di vene - Egon

Sangue che esplode e scorre nelle vene, si fa carico degli anfratti che ogni giorno intessiamo e viviamo e sprofonda al suolo per dare alla luce sempre nuove atmosfere che si intrecciano e confondono, interrompono gli animi e si fanno portatori di un desiderio avvolgente di bellezza e oscurità celata, ma sempre presente e costruibile fino alla fine dei nostri giorni. 100000 km di vene è l’esasperazione della carne e dei sentimenti, un sentire che abbraccia gli Smiths con i suoni newyorkesi degli Interpol ad insegnare che il tempo passato è tempo perso e che siamo noi l’unica sostanza per giorni migliori, per giorni diversi. Chitarre in riff arpeggiati si espandono e convincono, piccole incursioni cantate in inglese poi danno una varietà profonda alla proposta e annientano l’inutilità del momento con pezzi che si fanno simbolo e singolo come Invisibile. Gli Egon continuano il loro percorso tra luce e oscurità emozionando a dismisura con una maturità per sempre raggiungibile e mai sazia di ottenere nuove soddisfazioni da qui al futuro.

Egon – Il cielo rosso è nostro (Autoproduzione)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.Tuffi profondi in dissolvenza in grado di rispecchiare parabole ascendenti nei confronti di un disco in completa evoluzione contagiosa che si esprime nell’attimo dopo l’attesa, si esprime in un insostenibile bisogno dichiarato di passare dalla luce al buio, dal momento del crepuscolo fino alla nuova alba ed è qui che i nostri Egon si collocano, là dove c’è la notte più scura, cupa e nera, là dove ci si perde per poi ritrovarsi, tra incursioni rock legate indissolubilmente agli anni ’90 e quel parlato tipico di produzioni indie più moderne che si alterna facilmente e dona spazi di apertura anche all’inglese di Dry o almeno in parte, brano alquanto riuscito che incontra e scontra parallelismi doverosi ricordando gli Smashing Pumpkins di Try, try, try in un concentrato di lirismo rock e underground capace di maturare sempre più nel tiepido bagliore di un giorno pronto a morire, per lasciare posto alla tanto cara oscurità che ingloba.