Manica – La faccia degli dei (Autoproduzione)

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Essenzialità punk riscoperta negli anfratti celati di un cibo in scatola andato a male, un cibo da dove attingere la parte migliore per trasportarla nella nostra quotidianità e ovviamente farne buon uso per riscoprire un bisogno unico e necessario. Il disco di Manica, ferrarese trapiantato a Bologna, è un album strampalato che rincorre linguaggi capaci di fa correre la memoria ai CCCP, agli Skiantos a Rino Gaetano e per coraggio necessario anche a Vasco Brondi in un sodalizio con la musica d’autore italiana così improvvisa e immediata che ricorda un naif di rara intensità. La faccia degli dei è solo un connubio di cinque canzoni che possiedono una ricerca poetica disinteressata ai perbenismi e potenzialmente elevata nel dare un senso alle occasioni del momento. La partecipazione alla chitarra, nel brano d’apertura, di Fabio Testoni: il mitico Dandy Bestia dei già citati Skiantos dona quel valore aggiunto che nel suo complesso rende il disco uno sfogo di libertà, un grido fuori dal coro di protesta interiore. 


Overflowing – S/t (Collettivo Funk)

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Ep d’esordio solista per il musicista e frontman dei Dawn Under Eclipse e dei Rudyscave Gian Maria Vannoni per un disco che catalizza le esigenze stellari di percorre galassie al suono di una moderna elettronica che incontra pareri confortanti e internazionali affacciandosi inevitabilmente al mondo contemporaneo e sudato, ricco di anfratti da scoprire e bisogni da completare. Cinque pezzi soltanto che sanno spaziare, ma che nel contempo raggiungono un’omogeneità caratterizzata da un cantautorato che si sposta a ricordare, in versione soft, band come Tool, NIN, A perfect circle, Depeche Mode e la romantica visione di una voce coinvolgente come quella di Davey Ray Moor dei compianti Cousteau. Ne esce una prova davvero esaltante, compatta e granitica quanto basta da sembrare necessità per questi nostri tempi moderni. Cinque tracce a ridefinire un genere capaci di gettare basi per soddisfazioni future che spero non tarderanno ad arrivare. Overflowing è un progetto che merita la giusta attenzione, una musica che non si ferma all’apparenza, ma mira piuttosto ad una sostanza che nella sovrapposizione sonora trova il proprio punto di svolta. 


The Johnny Clash Project – s/t (Rocketman Records)

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Impresa riuscita ampiamente di tradurre in musica un pensiero dominante e stratosferico che caratterizzò la fine degli anni ’70 con la musica dei Clash qui rivisitata per l’occasione come fosse il grande Johnny Cash a sottoporre in esame passaggi epocali di un suono che ricordiamo ancora adesso. Il progetto del trio bolognese riesce nell’intento di riportare in auge, per intero, il primo disco di Joe Strummer e compagni con attitudine folk e rock’n’roll sedimentato a dovere e intessuto di occasioni capaci di arginare il rischio della banalità per una prova davvero impressionante sotto molteplici punti di vista e che permette di dare profondità ad una proposta visionaria e rivolta ad un mondo vintage e analogico che prevale su tutto, quasi a percepire ancora il calore delle valvole fumanti di amplificatori essenziali, ma avvolgenti come non mai. Gli episodi degni di nota sono davvero molti, pensiamo a I’m so bored with the USA o a London’s burning, canzoni capaci di segnare un confine, un’epoca e qui rivisitate con un piglio davvero interessante e mai noioso. The Johnny Clash Project colpisce nella profondità nel cuore, colpisce per bellezza intrinseca della proposta e soprattutto per una capacità quasi ironica di stupire.


Pulsatilla – Anemone (Floppy Dischi)

Ecco sulla breve distanza comparire dal nulla, o quasi, il disco intero, il sospirato full length dei romagnoli Pulsatilla, un album che non tradisce le aspettative e fa dell’originalità un cavallo importante per sfondare le vicissitudini quotidiane attraverso un dream pop che strizza l’occhio alle composizioni dei The Smiths e si concede schitarrate elettriche in gran spolvero e soprattutto piene di quella genuina introspezione che fa della particolarità un punto di svolta, un punto importante da cui partire. La poetica presente in Anemone prende spunto dai sentimenti legati ad un abbandono indissolubile, dal bisogno di riappropriarsi di ciò che è andato perduto utilizzando un linguaggio ben strutturato e nel contempo un linguaggio che si perde nelle elucubrazioni sognanti di una musica che non ha indicazione temporale precisa, ma piuttosto un suono cangiante e irrimediabilmente proteso ad immagazzinare un senso di nostalgia con ciò che ci gira intorno. L’Anemone è bellissimo e delicato, proprio come noi, sospesi sul filo delle effimere esperienze a ricercare nel mondo materiale la chiave per il nostro stare meglio; i Pulsatilla riescono nell’impresa di mettere in versi tutto ciò che li rappresenta, lo fanno con il piglio di chi sorprende senza strafare, lo fanno con la capacità onirica di trovare il giusto compromesso tra sogno e realtà.

Telegraph Tehran – Spettri da scacciare (Autoproduzione)

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Urbane grungerie distorte che narrano e raccontano di come gli amori metropolitani si sciolgano al suolo ricomponendo uno stato catatonico di amara disillusione. L’esordio dei Telegraph Tehran è uno spaccato di vita meditabondo che ingloba il pensiero della nuova gioventù che avanza, musica per chi è senza vincoli, ma anche per chi si ritrova così spaesato in un mondo che gli sembra non appartenere più. La peculiarità del gruppo di Bologna sta nel fondere lo shoegaze con un qualcosa di già sentito negli anni ’90 imprimendo alla controcultura odierna uno stato larvale pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Pezzi simbolo come Carmica, Il sentimento del tempo, Tv Show o La tua immagine sono l’esemplificazione di un tutto che accosta sentimenti a potenza, meditazione e introspezione all’energia che si staglia oltre tutto quello che conosciamo in un’omogeneità di fondo che colpisce sicuramente a dismisura anche perché di primo disco sempre si tratta. Maturità quindi centellinata che in Spettri da scacciare trova un avvio davvero interessante, sicuramente da tenere d’occhio e in considerazione per nuove e future aperture sonore.

Pulsatilla – Pulsatilla Ep (Autoproduzione)

Suoni vintage  e ben delineati che afferrano la possibilità di ascoltare chitarre lucide pulite, ma taglienti in grado di scaraventare a fondo l’incomprensione dei tempi per dare vita, per dare sfogo ad un ep di dream pop con i fiocchi, una musica diretta e sognante cantata in italiano caratterizzata da una forte esposizione solare e protesa a delineare, già dal primo ascolto, un passaggio di vite, una sostanza che prende forma. I quattro giovani romagnoli Pulsatilla mettono il mondo sottosopra parlando di cose semplici, in un brain storming emozionale che non passa inosservato, ma ben si amalgama con le tracce d’insieme centrando l’obiettivo con voracità di analizzare il mondo che li circonda. Attraverso canzoni notevoli come Euritmia o la Ballata di Morfeo i nostri dipingono contesti perennemente in evoluzione e attesi, riscoprendo in un piccolo EP la sostanza materica che li lega indissolubilmente alle soddisfazioni future.

Lomax – Oggi odio tutti EP (Autoproduzione)

Potenza senza controllo che spara a zero sui mostri di ogni giorno, sui mostri che abbiamo alle spalle e quelli che ci troviamo ad affrontare indiscutibilmente contro ogni opinione condivisa. I nostri Lomax sono un pugno allo stomaco al perbenismo contemporaneo anche perché riescono a coltivare uno stile che attinge dal post punk del passato e dall’alternative targato ’90 recuperando un’eredità che ricorda gli Skiantos mescolati all’esigenza furente degli At the drive in e dei Diaframma in un desiderio che si discosta dal già sentito e si concentra attraverso una musica d’insieme che parla attraverso ritornelli ossessivi e ciclicamente appuntiti in grado di lasciare il segno al proprio passaggio. Sei tracce che sono speranza per un album completo, sei tracce che alzano il tiro e tengono un ritmo serrato in tutta l’intera produzione, consegnando un disco che ha una cover pop-up fenomenale e una grafica che lo è altrettanto per una musica che non è semplice sottofondo o disturbo per le nostre orecchie, ma piuttosto una narrazione ostinata in questi tempi di crisi moderna esistenziale.

Angelo Sava – Miasmi (Autoproduzione)

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Cielo grigio in differita e distorto che recupera vigore dalle antenne delle case e dei palazzi in sodalizi costanti nebbia a risarcire il mondo di una bellezza ancestrale, da antro di caverna buia e soffocante nelle sua claustrofobia eterna e in parallelo situazioni che si divincolano e si lasciano soppiantare da chitarre abusate, alterate e una voce in fondo a ricoprire di tappeti a pad continui, suoni morti in dilatazione eterna per un suono altamente underground che si dipana lungo sei tracce dal sapore metallico e sulfureo, un suono accecante condito dal dolore del tempo, un suono, quello del disco di Angelo Sava che a pensarci bene si fonde e conturba da Merlo a Carestia e sembra sempre di sentire lo stesso intro, la stessa forza e prepotenza che in un solo abbaglio apre la porta ad una produzione fuori moda di certo e con un preciso percorso di abbandono e ritrovo, tra la morte e la vita, tra il bene e il male.

Angelo Sava – Addio Pimpa (Autoproduzione)

C’è la furia dell’urlo nella malinconia della vita in questo disco di Angelo Sava, c’è il bisogno sostanziale di rimettere le cose apposto dopo la tempesta, di ricucire il mondo oltre ogni aspettativa tra le onde del cantautorato e il noise distorto a ricoprire ogni forma di speranza per una vita migliore, una manciata di canzoni nascoste tra i lamenti dell’anima che impazzano gli abbandonati colori per entrare e farsi vedere, uscire allo scoperto, non aver paura di dimostrare la propria appartenenza ad un altro tipo di vita; Addio Pimpa è una scritta indelebile su di un muro, è l’abbraccio solitario con il passato che si consuma, attanaglia, stringe al cuore, Ritornerò su tutte è il pezzo più rappresentativo di questo lavoro, una Pesaro rumorosa che si fa sentire oltre il buio che avanza, oltre le grida laceranti di dolore, c’è un uomo, Angelo Sava che ripercorre i fili sottili della propri anima gridando al nuovo giorno che verrà.

Jasmine gli Sbalzi – Fellem Potoane (Big Lakes)

Punk rock che si getta al suolo e colpisce come proiettile a lacerare gli ideali precostituiti e inventati, troppo amari, troppo lisergici e abbondantemente sudanti vita, tanto da confezionare un disco che è una sperimentazione viva di un punk trasformato che attinge direttamente le proprie idee e le sue profonde radici nella ferrettiana memoria dei primi CCCP a comprimere un’esigenza materiale di raccontare il nostro mondo raccolto tra le macerie del tempo, in una continua evoluzione che è puro attimo di vita vissuta e racconto tracotante desiderio di essere ancora un giovane fuoco d’artificio che inonda l’aria di meraviglia.

A due anni di distanza dal primo EP, La fine dell’eternità, i nostri Jasmine gli Sbalzi continuano il loro percorso incisivo di studio legato all’improvvisazione, il tutto caratterizzato da una forte capacità intrinseca e diretta nel raccontarsi in interludi e tripudi, con un singolo, Mi sento Mario, che è la summa del loro concetto di invettiva, pronto a scaricare al suolo i paradossi di questa società, in mezzo alla passione, legata alla sopravvivenza, grazie anche ad un punk rock introspettivo e corale  che mescola di continuo le carte nel mazzo, per regalarci attimi di purezza esistenziale da ascoltare ad altissimo volume.