Public – Isole (Dischi Soviet Studio)

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Isole è il netto contrasto di un posto da occupare, di un posto da fare nostro intersecato da architetture geometriche e spigolose in grado di attraversare generi su generi, contaminazioni e valichi da affrontare in una musica che esplode in tutta la sua bellezza e noncuranza delle mode, ma che piuttosto ricerca un evidente grado di personalismo dopo anni di lunga attesa. I Public sono tornati, dopo quasi sette anni, con un disco impressionante dove il pop si fonde e confonde con il rock, il funk, il blues, in un approccio nervoso, immediato, diretto facendosi amare maggiormente dai predecessori e unendo alta capacità musicale con un assetto che assembla e scompone in un cut up emozionale capace di interagire con i singoli membri sino a creare qualcosa di originale, completo. Brani come Sciami, Apnea, Chiamami nel pieno della notte, Immagino, la finale Spopola sono solo alcuni pezzi del complicato puzzle che alla fine del disco si incastrano alla perfezione donandoci una visione d’insieme, un’immagine contrapposta in evoluzione che per la band veneta resta qualcosa di strepitoso e unico nel suo genere. Beraldo, già voce dei compianti North Pole, regala una timbrica coinvolgente, da assaporare soprattutto in chiave live creando saliscendi atmosferici e garantendo un risultato finale che rende Isole uno dei più bei dischi italiani usciti in questi ultimi anni. Impressionante.  


Miss Mog – Federer (Dischi Soviet Studio)

Synth pop intriso di vintage per l’ennesima prova dei Miss Mog che intascano racconti di pianura padana affacciata sul mare, tra quintali di slot machine periferiche e pomeriggi passati a convincersi che il mondo marcio in cui viviamo è effettivamente bello, rigoglioso e florido.

La balena bianca è stata quasi del tutto surclassata per lasciare spazio ai disastri che anche questa, nel tempo, ha contribuito a creare, nell’immediatezza della sua fame e nell’assurda convinzione di imprenditori facoltosi arricchitisi sulle spalle delle giovani generazioni del passato e ora pronti a creare stati di crisi in un mondo voluto e cercato da loro stessi.

I Miss Mog raccontano di un cane che si morde la coda, raccontano delle contraddizioni della ricca regione, raccontano di un passato non voluto e di una speranza ancora oltre l’orizzonte, sperimentando i bagliori di un’epoca che raccoglie il pianto di intere generazioni e poi lui il campione Federer a ricucire, come fosse una partita, il tempo perduto, la vittoria sudata.

Qui però in Veneto si perde in partenza, le generazioni che verranno saranno ancora figlie dei nostri genitori, perlopiù raccolti attorno a piccole soddisfazioni quotidiane, attorno alla domenica calcistica, la bottiglia di vino e la montagna di chiacchiere da bar, imprenditori di noi stessi si diceva un tempo, imprenditori per gli altri, spero, si dirà un domani.

Limone – Secondo Limone (Dischi Soviet Studio)

Testi stralunati con piglio deciso che si fanno strada nella giungla suburbana intascando un secondo disco più pungente, quasi aspro a raccontare del tempo in cui viviamo tra il nord est che non è più tale e un occhio attento all’Italia che sta cambiando.

Filippo Fantinato in arte Limone dopo il primo fortunato album Spazio tempo e Circostanze riprende la dimensione domestica dei live da salotto e incornicia una prova molto simile alla prima anche se qui il tutto è condito da un’amarezza di fondo, amarezza certo che si fa ironia, ma il nostro abbandona gli amori lontani per concentrarsi sulla società del consumo per evidenziarne difetti incontrollabili, ma verificabili.

Una manciata di minuti bastano per comprendere la caratura e la maturazione del nostro che dopo due anni si cimenta ancora con ossimori di grande impatto, tra Amanda Knox che trova un nuovo coinquilino, il gattino da salvare su Studio Aperto accompagnato da un’improbabile sonata di Einaudi, i mobili dell’Ikea le bombe di Bush e i cantautori moderni morti in Calabria addolcendo il sole.

Sfumature su sfumature, colore su colore questo album coccolato da un’elettronica che non manca mai apre nuove strade e la forte capacità espressiva del cantautore si trasforma per dare e creare un nuovo spazio ironico/intellettuale fatto da ognuno di Noi dove la raffinatezza è matrice principale del tutto e dove i pensieri, quelli veri, si possono leggere nascosti tra le righe lasciate in sospeso, quei testi strampalati dall’impronta naif che nascondono un mondo fatto questa volta da pennellate di colore in tre dimensioni capaci di farci vivere una realtà forse diversa, forse lontana, forse troppo amara, di certo vera e reale.

 

Don Rodríguez – L’Indimenticane (Dischi Soviet Studio)

Band travestita da cantautore e cantautore travestito da band per la nuova fatica della Dischi Soviet di Cittadella, Padova, che continua nella promozione di gruppi che si esprimono in italiano per cuori da marciapiede che si stringono, per guardare avanti con gli occhi tesi al futuro.

Questa volta è il turno di Don Rodríguez, band proveniente dal Piemonte orientale che lega in modo indissolubile un cantautorato leggero e ispirato dai momenti della quotidianità, alle divagazioni pop alternative che si aprono al rock naif, quasi improvvisato e dimesso, in grado di regalare emozioni a non finire, concedendosi in arrangiamenti essenziali che strizzano l’occhio all’indiepop degli ultimi anni.

Definirli comunque non risulta impresa facile e nemmeno lo ritengo degno per qualsivoglia band o musicista che sia, il tutto suona ovattato e pronto ad esplodere, un implodere ed esplodere che non lascia scampo, attimi di meditazione per affilare le dita in refrain dal sapore convincente e incisivo, sonicità ribadita in tutto e per tutto da una potente base ritmica e precisa che permette alla chitarra di fare il proprio corso senza chiedersi troppo, ma concentrando l’obiettivo più sul connubio voce/testi che cerca di creare all’unisono 14 pezzi legati da un filo, composti di un puzzle da ricostruire per fondare memoria.

Ecco allora che le tracce compongono un quadro non troppo definito, ma che lascia all’ascoltatore la capacità di immedesimarsi nei racconti che il trio piemontese lascia intuire, l’inizio è affidato alla proverbiale Primo Carnera per proseguire poi con le allucinazioni cosmiche di Per combinazione e via via all’essenzialità di L’amore al tempo di Hitler, chiudendo il cerchio con le riuscite La stagione degli Alisei e Stazione 28.

Un disco che sa di dipinto astratto, che sa di pioggia d’autunno e fiori di primavera, un album per tutte le stagioni da ricordare nel tempo, lasciandoci il cuore.

La monarchia – Parliamo dieci lingue ma non sappiamo dirci addio (Dischi Soviet/Audioglobe)

Dirompenti esplosioni sonore che si implementano in un rock vissuto, concentrato e disteso fino ad entrarti nella pelle e non lasciarti più.

Un vortice che non da pace, dove armonia si sposa elegantemente con le incursioni sonore di Elettrofandango e Teatro degli orrori fino a completare e a dare speranza, cercando innovazioni sonore dove l’innovazione è parola dimenticata.

Loro sono La monarchia e nell’esprimere un concetto si fanno portatori di un suono aggressivo e pungente sottolineando le difficoltà della vita, gridandole e facendole nostre: intensità di colori sbiaditi, pronte a riaccendersi, implementare energia e sovrastare i piccoli e inutili nascondigli che ci creiamo per vivere.

Un album fresco e folgorante questo loro primo full length, parliamo un sacco di lingue noi, siamo studiosi e cultori di materie, siamo geni del vivere, ma non sappiamo comunicare, non sappiamo parlare e dirci cosa è veramente importante, cosa veramente conta.

Ecco allora che il tutto nasce dalla solitudine per qualcosa, Ti vedo è l’esemplificazione del tutto, poi la bellezza di Porpora e Novembre a sancire e a chiudere un disco che nel profondo parla di Noi e dei nostri bisogni.

Un album che stupisce e incrementa, scioglie e condensa fino ad entrarti nelle viscere per esplodere in luce.

La febbre del venerdì 13 – La febbre del venerdì 13 (Dischi Soviet Studio)

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Chitarra acustica in primo piano e tanto tanto rock alternativo degli anni ’90 che si incrocia perfettamente con il sapore vintage di ballate sospirate quanto attese, richieste e divincolate dalla noia quotidiana, che regalano brio introspettivo e bellissime immagini che si stagliano nella mente di chi ascolta, chiedendone ancora, sempre di nuove.

Quello di La febbre del venerdì 13 è un disco che sposa perfettamente sonorità american alternative con il cantato in italiano sospeso tra testi di spessore conditi da una forza onirica del tutto particolare e del tutto nuova.

Questi pezzi parlano però anche di oscurità, parlano di viaggi infiniti lungo autostrade notturne, dove le uniche luci disponibili ai nostri occhi sono quelle delle stazioni di servizio, pronte ad accogliere auto e viandanti assetati.

Un desiderio improvviso e febbricitante di trasformare un pensiero in realtà, così Babbo Ciaimani ex Les Brucalifs incanala pensieri per dare un senso ad un album tutto suo, lontano da logiche di compravendita, ma quasi uno sfogo di introspezione sonora.

Ecco allora che i testi lasciano spazio ad incursioni psichedeliche ricordando per certi versi i Pumpkins più orecchiabili, incrociatori cubici e interstellari di volume spaziale.

Un disco carico e riflessivo allo stesso tempo che di certo non passerà inosservato negli abissi sonori del substrato italico regalando al nostro corpo, ascolto dopo ascolto, quella piccola parte di Noi che si è persa nel tempo.

Miss Mog – Tutto qui (Dischi Soviet Studio)

 4 tracce tra sorseggi elettronici e il bel canto, commistionando e sapendo far interagire composti di un altro mondo per sottrarre l’inutile e facendo emergere solo la parte importante dentro ad ognuno di Noi.

Una formula strana questa per i veneziani Miss Mog che confezionano un’Ep particolare, a tratti etereo a tratti disarmante, una ricerca continua di suoni che nella loro semplicità si caratterizzano come un marchio di fabbrica tra fluttuazioni sonore e tempi che  si rincorrono a ricercare l’indefinito.

Compressioni sonore quindi, chitarre quasi assenti per un’elettronica imperante, ammaliante che si fa hip hop nel cantato e riemerge dallo spessore fangoso in cui era relegata.

Una via tutta loro quindi da Meteoritmo a Faust, quattro pezzi che scaldano e che stanno li in una galassia puntata da stelle al neon vibranti luce propria.

Questi sono i Miss Mog e questo è il loro mondo incasellato da un meccanismo segreto.

 

Francesco Cerchiaro – A piedi nudi (Dischi Soviet Studio)

Un uomo che si siede allo scrittoio della sua vita e racconta frasi, poesie, narrando di miti e storie di tutti i giorni dove il protagonista non è altro che il bambino diventato adulto, il neonato che diventa anziano.

In mezzo c’è tutto il resto, in mezzo ci sono nuvole di polvere e di tempesta che si sradicano grazie ai possenti raggi di sole che si inerpicano pian piano lungo le 11 tracce che con questo primo disco, Francesco Cerchiaro è in grado di regalare, di volta in volta, passo dopo passo.

Un cantautore intimista, schivo, essenziale, minimale e caratterizzato da quella dolcezza disarmante che è veicolo di comunicazione facile in tempi così difficili per la comunicazione, momenti in cui siamo bombardati da qualsiasi messaggio e discernere l’essenziale è sempre difficoltoso, quasi ostico se non impossibile.

Francesco ci riesce bene e a piedi nudi affronta la prova e ne risulta vittorioso dopo l’impresa.

Occhi che si chiudono e corpi che fluttuano lungo tutte le canzoni del disco, immaginando una realtà fatta di ricordi e continui amarcord post cantautorali dove abbandonarsi, lasciando al proprio passaggio una scia di luce.

In silenzio, quasi per caso, si inizia con Le bugie della domenica finendo con Il treno che torna da Eger, non ci si accorge nemmeno che tutta la vita di un uomo può essere stata compressa dentro a questo album, pieno di trascorsi si, ma anche pieno di speranza.

Neko at stella – Neko at stella (Dischi Soviet Studio)

neko-at-stella-musica-streaming-neko-at-stellaUn misto di garage, stoner e new wave anni ’80 per questa band dal nome insolito che riserva lungo le 11 tracce delle sorprese a dir poco emozionanti.

Un principio di blues legato alla matrice più distorta per comporre urla dall’inferno più misterioso e cupo.

I toni si fanno bassi, a tratti laceranti delimitando un sogno di vita spezzato dal fulmine di una nuova
esistenza.

Un tuffo nel passato che si arpiona al presente con Jack White che si fa eco in numerosi pezzi, mentre Cure e Joy Division incalzano nelle tenebre dell’insieme.

Un disco quindi che riesce, nonostante la voluta timbrica, ad essere pop oltre maniera, oltre qualsiasi delimitazione di genere.

Marenduzzo della Dischi Soviet produce un progetto che ha quasi del celato già dal nome della band, un nome che varia di pari passo con i misteri nascosti lungo l’ascolto dei brani.

Grunge quindi e sporco blues, luce e oscurità, accento interposto tra comete invisibili,
questi sono Neko at Stella: buon ascolto non ve ne pentirete.

MiSaCheNevica – Come pecore in mezzo ai lupi (Dischi Soviet)

I MiSaCheNevica tornano e stupiscono con una prova matura e ben fatta dove le chitarre di Zanon e il suo cantato, graffiano più che mai.

Al basso il preciso Marco (Love) Amore e alla batteria la potenza di Antonio Marco Miotti regalano quelle sospensioni musicali in presa diretta degne di una grande garage band che raccoglie in parte l’eredità del grunge rovesciandola in anni defunti dove a perdere sono sempre le stesse persone.

E’ un disco di materiale vissuto compiaciuto da suoni sporchi e analogici.

6 giorni di intense registrazioni che regalano materiale scottante, quasi live, forse questo l’intento del gruppo che fa del palcoscenico il terreno dove regalare emozioni sprigionate con una capacità tale da rimanere stupiti.

La band cittadellese e limitrofi del padovano pubblica per Dischi Soviet, contando sulla produzione di Matt Bordin dei Mojomatics e sul mastering di Carl Saff di Chicago.

“Come pecore in mezzo ai lupi” è un disco ricco di storie intra-extra personali dove a confluire e creare omogeneità sono suoni scarni, ma allo stesso tempo pieni di capacità introspettiva e carichi di quella sfrontatezza giovanile perdutamente rock.

L’album inizia con la roboante “Figlio illeggittimo di Kurt Cobain” la canzone forse più “Disfunzionata” della lunga track-list che si immedesima nello Stato apatico in cui viviamo, dove la tv è idolo da venerare a qualsiasi ora.

Si passa ad “Apridenti” dove il suono distorto/pulito vince “sul tempo che sporca di bianco la mia barba”.

“Retromania” è un inno al vintage di passaggio dove i cori perfettamenti incastonati come gemme rendono il pezzo un gioiello per la sua interezza.

Segue “12 Giugno “ buon apripista per “Il nostro paese diviso in due”: “Sacrificarsi per un mondo migliore, rivoltala se puoi la tua vita underground”, l’essere orgogliosi nell’essere antieroi che trova spazio per la strumentale/corale “Dr.Lennon”.

“La partita di calcetto infrasettimanale” è un brano che girava già in alcuni loro live passati e racconta della mediocrità dell’uomo medio italiano appassionato della futilità.

“Tasche piene” è un buon compromesso tra dark rock e melodico.

“Smaltire tra le scimmie” è ricercata melodia vocalizzata, si sentono molto i Verdena di “Il suicidio del Samurai”.

Prima della chiusura affidata alla bellissima “Scheletri Nascosti” troviamo “Aiutaci Matteo” forse destinata a patron Marenduzzo della Dischi Soviet?

I MSCN regalano un album ben registrato e riuscito, l’incontro tra una voce molto personale e particolare e un suono ricco di desideri neo poprock, un passare oltre le frasi fatte e i convenevoli, un mirare ad un punto definito che di giorno in giorno concede soddisfazioni sempre più chiare e vere.