The Junction – Dive (Dischi Soviet Studio)

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Post punk ad esplosione che riesce ad infondere legami con il territorio circostante ristabilendo di fondo un’internazionalità d’oltreoceano sempre pronta a stupire, sempre pronta a rinsaldare ciò che sembrava perso. Tornano i The Junction con un disco fatto di sudore e ossa rotte, un album che corre alla velocità stratosferica della luce e imbriglia una capacità maturata nel tempo e pronta a lasciare il segno ascolto su ascolto. Dive è un disco da ascoltare tutto d’un fiato, un album pieno di rimandi ad una scena underground viva più che mai. Da l’inizio esplosivo di Die alright fino a The widow, passando per la title track, Bombay movie e Love i nostri riescono a procedere costruendo brani diretti e a tratti inafferrabili per una manciata di canzoni che riscoprono, nelle proprie radici, un punto di svolta necessario.


Brilla – La tuta di Goldrake (Pioggia rossa dischi/Dischi Soviet Studio/Metatron)

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Cantautorato elettronico che ammicca abbondantemente al pop moderno attraverso una forma canzone immediata e fruibile ai più in contesti elettronici che diventano preponderanti quando si parla di aprire il suono verso confini inesplorati. Il disco di Brilla, all’anagrafe Andrea Brilla, è un insieme omogeneo di canzoni che parla inevitabilmente di questo nostro mondo, di questa vita che assaporiamo quotidianamente, tra rimandi a qualcosa che non c’è più e una ricerca sempre costante e in bilico nei confronti di qualcosa a cui non sappiamo dare un nome, ma che sentiamo nostra fino in fondo. La tuta di Goldrake racconta un passaggio essenziale all’età adulta, riadattando la canzone d’autore italiana in chiave moderna, riadattando uno stile all’interno di quella centrifuga che chiamiamo vita e che ci consente di essere reali. Non siamo vergini, Jasmine, Gennaio, La tuta di Goldrake sono solo alcune delle canzoni che compongono un album riuscito e pronto a regalare nuove sfumature ascolto su ascolto.


Infuso – Sestante (Dischi Soviet Studio)

album Sestante - Infuso

Sulfuree visioni di un indefinito e improbabile futuro catturano gli sguardi e colpiscono al cuore attraverso un suono che fagocita gli anni ’90 e li riconsegna attraverso una musica che mescola un post rock suonato davvero bene con un cantato corale inaspettato e alquanto sentito. Il disco dei veneti Infuso è un condensato ciclico di saper fare buona musica mescolato al bisogno essenziale di parlare, attraverso testi criptici e introspettivi, di questo nostro mondo in desolante distruzione. Un rock oscuro, materico, carico di enunciati. Una musica necessaria di questi tempi che sa implementare forme e in qualche modo ci riconduce ad un primordiale bisogno di appartenenza alla terra, alla parte più nascosta di noi. Sestante segna la via. Riesce ad aumentare il passo e a controllare bisogni sempre nuovi, bisogni che non si possono incasellare, ma piuttosto dona energia nuova a questa nostra comunicazione.


Pino Nuvola – Fremor Arborum (Dischi Soviet Studio)

album Fremor Arborum - Pino Nuvola

Atmosfere da foreste incendiate si dipanano attraverso cieli tersi pronti ad accogliere la notte. Melodie acustiche in via di definizione costruiscono ambientazioni coese e pronte ad accogliere, pronte a segnare una via di fuga nel nostro cammino solitario e malinconico. Il disco di Pino Nuvola, all’anagrafe Stefano Durighel, apre ai contorni di una vita intera e cerca di farli propri attraverso una musica che nello strumentale implementato trova una via di fuga sostanziale dalla realtà. Da questa nostra quotidianità. Il rumore degli alberi, l’acqua che scorre e il desiderio incontrollabile di concedere spazi e aperture a tutto ciò che verrà. Fremor Arborum è un disco da meditazione, un celare alle pagine della nostra vita i ricordi più belli per portarli indelebilmente all’interno di uno spazio che può essere solo e soltanto nostro. Un disco acustico di una bellezza davvero rara e miracolosa.


Valente – Il blu di ieri (Dischi Soviet Studio)

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Intrecci elettronici che si amplificano e ottenebrano una nostalgia che indissolubilmente diventa malinconia, raccontando di giorni passati, di esigenze nascoste, di nuove conquiste e di quadri immaginari da cui attingere il colore della velata introspezione: il blu. Un disco che parla di una tonalità rimembrando passati cosmici e sfiorando la bellezza intrinseca del camaleontico Bowie o la new wave dei britannici Japan per un insieme di canzoni che si affaccia all’orizzonte perpetuando un’oscurità che tende ad aprirsi dietro l’ombra della nostra vita passata. Il blu di ieri è un disco complesso e davvero ben arrangiato, un album fuori dal tempo e sicuramente fuori da questa modernità, fuori da questa attualità. Valente rispolvera l’importanza di scrivere, di incidere, di parlare attraverso la poesia toccando inevitabilmente le corde più profonde che ci portiamo dentro e che tante volte nascondiamo o in parte viviamo. Nove canzoni che diventano piccole perle a se stanti all’interno di un quadro dalle profonde visioni che da Sogni di te a All cats are grey parla e sussurra parole di speranza emotiva, di fragilità da raccontare. 


Alcesti – Monumenti (Dischi Soviet Studio/SISMA MVMT)

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Torna la band veneta con un EP affilato quanto basta per discernere composizioni di strumentazioni maniacali attanagliate da costrutti emozionali che sposano alla perfezione le regole improvvise del post rock, della ricerca inusuale della parola suono e nel contempo di un indie sostanziale in quattro pezzi che compongono Monumenti, il loro primo ufficiale EP. Gli Alcesti mettono su musica la parola poesia, un ampio spazio dilatato pronto a fornire di contrapposizioni e ossimori un cantato che convince integrando elementi onirici con pugni allo stomaco alla realtà il tutto condito con fare sapiente dalla produzione di Martino Cuman dei Non voglio che Clara a segnare la direzione di una band già di per sé matura. I pezzi di Monumenti sono omogenei e convincono l’ascoltatore seguendo un percorso mai banalizzato, da Placenta si parte, il luogo delle origini, della nostra vita, passando per la title track fino a scorgere gli ultimi bagliori di sole in pezzi come Talamo e Nostri Mostri a dare prosecuzione ad un cammino interiore che sedimenta e costruisce, consuma e acceca. 


Don Rodriguez – La sostanza dei fatti (Dischi Soviet Studio)

Secondo disco per il power trio piemontese che fa dell’essenzialità in rock un punto di contatto e nel contempo di scissione con tutto ciò che è stato il passato, con quell’Indimenticane recensito qualche tempo fa su queste pagine virtuali. La sostanza dei fatti, come dice il disco stesso, è un ritornare in qualche modo alle origini, alle radici, attraverso canzoni che non si chiedono troppo, ma cercano, con una vena velatamente pop, di comunicare attraverso ritornelli contagiosi e alquanto interessanti. La formula proposta ricorda per approccio i primi Baustelle, i MiSaCheNevica, spruzzate di Interpol e una vena funk che attraverso alcuni pezzi pone in rilievo la cangiante metamorfosi di tracce registrate in presa diretta e cariche di quella dimensione live che potrebbe, su di un palco, stupire. Da Agosto fino a Vado a vivere in Brasile, passando per il singolo Illogico e altri brani di spessore come La Primavera del ’93 e Se tanto mi dà tanto i nostri intascano una prova d’insieme accattivante, schietta e diretta; un disco sincero che parla di fatti e circostanze, stati d’animo ed egregio impegno nell’osservare un mondo in perenne cambiamento.


Public – Isole (Dischi Soviet Studio)

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Isole è il netto contrasto di un posto da occupare, di un posto da fare nostro intersecato da architetture geometriche e spigolose in grado di attraversare generi su generi, contaminazioni e valichi da affrontare in una musica che esplode in tutta la sua bellezza e noncuranza delle mode, ma che piuttosto ricerca un evidente grado di personalismo dopo anni di lunga attesa. I Public sono tornati, dopo quasi sette anni, con un disco impressionante dove il pop si fonde e confonde con il rock, il funk, il blues, in un approccio nervoso, immediato, diretto facendosi amare maggiormente dai predecessori e unendo alta capacità musicale con un assetto che assembla e scompone in un cut up emozionale capace di interagire con i singoli membri sino a creare qualcosa di originale, completo. Brani come Sciami, Apnea, Chiamami nel pieno della notte, Immagino, la finale Spopola sono solo alcuni pezzi del complicato puzzle che alla fine del disco si incastrano alla perfezione donandoci una visione d’insieme, un’immagine contrapposta in evoluzione che per la band veneta resta qualcosa di strepitoso e unico nel suo genere. Beraldo, già voce dei compianti North Pole, regala una timbrica coinvolgente, da assaporare soprattutto in chiave live creando saliscendi atmosferici e garantendo un risultato finale che rende Isole uno dei più bei dischi italiani usciti in questi ultimi anni. Impressionante.  


Are you real? – Songs from my imaginary youth (Sisma/Dischi Soviet Studio)

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Poesie crepuscolari che attingono la propria vitalità nei sogni dell’infanzia e tra le cuciture della pelle, tra gli amori lontani e quelli vicini, raccontando un’esigenza nel ricreare ambientazioni folk in un indie rock che punta alto e si lascia trasportare dalla potenza dell’elettronica mai conclamata, ma piuttosto utilizzata come punto d’appoggio esistenzialista per futuri radiosi e nuove possibilità alla ricerca della propria anima, persa nel viaggio, persa nell’errare che ci caratterizza e ci contraddistingue in vellutate composizioni che si lasciano apprezzare, ammirare, coinvolgere e allontanare per poi ritornare in passi capaci di riscoprire una bellezza fatta di canzoni eleganti come l’apertura Song for a stranger, Behind your eyelids o I kissed Alice, per un disco, quello del veneziano Andrea Liuzza, in arte Are you real? che sa scavare nelle profondità dell’animo umano, desertificando l’inutilità del momento e consegnando a noi ascoltatori nove tracce fatte di purezza e veridicità che si respira, si percepisce e ammalia di luce e colore un pomeriggio grigio qualsiasi.

LaScimmia – LaScimmia (Dischi Soviet Studio/SISMA)

LaScimmia è fiori carichi di luce che si aprono al giorno che deve venire, è un concentrato di suoni che trasportano l’ascoltatore dentro a galassie stupefacenti e fuori controllo, non incasellabili in nessun tipo di genere perché i nostri uniscono con grande stile il rock più duro, alle ballate memorabili, dal grunge di Seattle all’idea creativa di unire tastiere e fare sentire un’elettronica di fondo soppesata e bilanciata, essenziale per contornare un genere privo di barriere, ma che si consuma al solo grido di una voce che denuncia, in ogni anfratto, il nostro vivere.

E’ un disco questo sulla disillusione, scimmie e pesci antropomorfi a cercare la strada o un messaggio nell’alto da seguire, in bilico tra ossimori e figure metaforiche che spiazzano e mettono al tappeto già dal primo pezzo Galassie e deserti figlio di verdeniana memoria e ricco di quel tripudio animalesco che per certi versi caratterizza l’intero album, senza però tralasciare la vera poesia in pezzi come Il mare o il singolo Fiori Nuovi.

Mutevole e cangiante, pieno di fascino e d’atmosfera questo disco dei trevigiani LaScimmia conquista al primo ascolto, conquista perché è vero e reale, è possibilità, rivincita e bisogno di durare nel tempo.