Gianluca Mondo – Malamore (ControRecords)

A solo un anno da Petali torna il cantautore torinese con un disco che mi ha lasciato come il gatto sul retro di copertina: non sbadigliante, ma a bocca aperta.

Una voce in primo piano da Leonard Cohen del passato che vestito per l’occasione si lascia divagare su chitarre blues accompagnate da altre, disturbate, in secondo piano, quasi un Canali d’annata che ricopre di tappeti misteriosi un leggiadro cantastorie.

Gianluca racconta la tristezza, racconta gli ultimi e lo fa con un vocabolario del tutto stravagante e da un punto di vista eccezionale, è un racconta storie che si fa facilmente ascoltare grazie a quella capacità intrinseca di succedersi e far succedere eventi, snocciolando aneddoti e un qualcosa che apparentemente sembra sconnesso, ma al proprio interno racchiude una grazia di immacolata bellezza.

Pubblicato dalla ControRecords di Davide Tosches il disco parla delle numerose sfaccettature dell’amore, non lo fa con cori da stadio o frasi ammiccanti, lo fa con la purezza e allo stesso tempo con la durezza del momento, con l’interrompersi del quieto vivere che lo porta a creare geometrie che parlano di vite in bilico, di esistenza vissuta in primo piano, senza stancarsi di sentirsi sbagliati, con un contatto indissolubile con la terra che lo circonda.

Le chitarre di Carlo Marrone sono quanto mai azzeccate; in viaggio, un viaggio che parte con la bellissima Malamore sta con te con quel La La La beffardo nei confronti del mainstream, riportando ancora una volta tutto a casa, lasciando i sogni ai sognatori e vivendo il giorno intensamente.

Un disco ricco di immagini, un album di quelli che ne avresti sempre più bisogno ai giorni nostri, fuori dal tempo e sicuramente fuori dal coro, in una condivisione di intenti che guarda oltre in quotidiano vivere.

Davide Tosches – Luci della città distante (Contro Records)

E’ la pace che cercavo in tutto questo tempo, dove arrivano costantemente dischi ricchi di suoni e rumori, quasi fosse una gara a chi riempie di più le canzoni con cose e trovate tante volte inutili e poco edificanti.

Poi apri un cartonato, semplice, puro, bianco sporco, parafrasando gli altri piemontesi MK, con disegni delicati che ritraggono animali della natura intenti nell’essere al centro di un qualcosa di meraviglioso, delicato, composto.

Illustrazioni di pennarello su carta create dallo stesso autore che vanno a completare un’opera ricca di suggestioni e mirata a conglomerare il tracollo che la nostra società si sta meritando in nome del progresso che assorbe la nostra essenza, creando solo nuvole di polvere e contraddizioni.

Una voce fuori dal coro quindi quella di Davide, che in questo terzo disco Luci della città distante, si fa portavoce di un genere essenziale che ricorda le solitudini campestri del primo Nick Drake, raccogliendo poesie di vita che solo i grandi cantautori riescono a fotografare anche solo per un istante.

Strumenti inusuali, una vena poetica-jazz, che abbandona lo strumming chitarristico per lasciare spazio a poche venature folk per incontrare flicorno, viola e violino a definire un primo indefinito spiazzante, ascoltare il singolo Il primo giorno d’estate per credere.

E’ un immergersi costante nella natura, il viaggio del cantautore piemontese, che riflette di per sè un animo che sa di antico, quasi fosse un giovane Rousseau con il proprio Emilio da educare, lontano dalla città, preservando la purezza del bambino dalla corruzione a cui la società che lo circonda lo farebbe altrimenti andare incontro.

Un album non per tutti di certo, ma che ai giorni nostri dovrebbe essere perlomeno sfiorato dolcemente da tutti, se non altro nella sua essenza primordiale, quasi fosse un morbido abbraccio che ci rende vivi.