-LIVE REPORT- Inexorable Tour – Giulio Casale/Alessandro Grazian – 24/01/20 – Circolo Quadro – Cittadella (PD)

Vieni vieni vieni, vieni dentro e credi…ho seguito questo consiglio, ho seguito queste parole, sono andato ad ascoltare Giulio Casale e Alessandro Grazian nel tour Inexorable. Un tour che continua imperterrito dopo l’uscita dell’omonimo disco, per VREC, lo scorso anno. Tappa a Cittadella, in provincia di Padova, al Circolo Quadro. Locale intimo. Un posto dove si ascolta musica di qualità in pieno centro. Non è da tutti, non è poco.

Ritorno a vedere dal vivo Giulio Casale dopo tipo sedici anni. Lo avevo perso di vista, mio malgrado. Nel lontano 2004 c’erano ancora gli Estra e i pezzi del mio diventare adulto ora di tutto quel tempo rimane un cantautore che sa condensare teatralità, forma canzone, rock e pop in una voce davvero unica nel panorama della musica italiana.

Di gente ce n’è. Ci sono persone che sanno le canzoni, le conoscono a memoria. Io mi sono perso tipo un sacco di dischi da solista e una marea di altre cose, ma c’è sempre tempo per recuperare. Tra l’altro sono in compagnia dell’amico Vittorio. Uno che di musica se ne intende parecchio. Uno di quelli che conosce tutti i testi del cantautore di origine trevigiana ed è sempre disponibile ad aiutare il rompi scatole di turno e cioè io nel rispondere a domande sui titoli dei brani e i rispettivi album d’appartenenza.

La coppia Casale/Grazian fa la sua gran figura. Arrangiamenti elettronici in loop si alternano all’uso di chitarra acustica ed elettrica. Alessandro Grazian, ricordiamolo, oltre che cantautore solista vellutato e sopraffino è qui in veste anche di arrangiatore di pregne melodie che abbracciano un ambient atmosferico che guarda a visioni nordiche intessute di un qualcosa di misterioso e irraggiungibile. La voce invece di Giulio Casale si muove nelle profondità più nascoste a raccontare, a scavare questa e altre vite. Soltanto un video, Senza direzione, la cover di Orpheus di David Sylvian, la stessa Vieni sono episodi di rara bellezza e intensità che difficilmente scorderò.

Un concerto segreto e custodito. Un concerto pieno di riflessioni interiori per uno dei cantautori che l’Italia ha ancora bisogno di avere. La poetica con Giulio Casale non risulta celata, ma piuttosto ammanta la sfera intima e visionaria, la accende e la rende indimenticabile, proprio come quelle canzoni che mi porto dentro da quasi vent’anni, proprio come gli attimi che devo recuperare. Alla ricerca di un tempo perduto fatto di vissuti, di emozioni e di (ri)scoperte come quelle di stasera.

Testo di Marco Zordan

Foto di Vittorio Dal Ben


Don Rodríguez – L’Indimenticane (Dischi Soviet Studio)

Band travestita da cantautore e cantautore travestito da band per la nuova fatica della Dischi Soviet di Cittadella, Padova, che continua nella promozione di gruppi che si esprimono in italiano per cuori da marciapiede che si stringono, per guardare avanti con gli occhi tesi al futuro.

Questa volta è il turno di Don Rodríguez, band proveniente dal Piemonte orientale che lega in modo indissolubile un cantautorato leggero e ispirato dai momenti della quotidianità, alle divagazioni pop alternative che si aprono al rock naif, quasi improvvisato e dimesso, in grado di regalare emozioni a non finire, concedendosi in arrangiamenti essenziali che strizzano l’occhio all’indiepop degli ultimi anni.

Definirli comunque non risulta impresa facile e nemmeno lo ritengo degno per qualsivoglia band o musicista che sia, il tutto suona ovattato e pronto ad esplodere, un implodere ed esplodere che non lascia scampo, attimi di meditazione per affilare le dita in refrain dal sapore convincente e incisivo, sonicità ribadita in tutto e per tutto da una potente base ritmica e precisa che permette alla chitarra di fare il proprio corso senza chiedersi troppo, ma concentrando l’obiettivo più sul connubio voce/testi che cerca di creare all’unisono 14 pezzi legati da un filo, composti di un puzzle da ricostruire per fondare memoria.

Ecco allora che le tracce compongono un quadro non troppo definito, ma che lascia all’ascoltatore la capacità di immedesimarsi nei racconti che il trio piemontese lascia intuire, l’inizio è affidato alla proverbiale Primo Carnera per proseguire poi con le allucinazioni cosmiche di Per combinazione e via via all’essenzialità di L’amore al tempo di Hitler, chiudendo il cerchio con le riuscite La stagione degli Alisei e Stazione 28.

Un disco che sa di dipinto astratto, che sa di pioggia d’autunno e fiori di primavera, un album per tutte le stagioni da ricordare nel tempo, lasciandoci il cuore.

Neko at stella – Neko at stella (Dischi Soviet Studio)

neko-at-stella-musica-streaming-neko-at-stellaUn misto di garage, stoner e new wave anni ’80 per questa band dal nome insolito che riserva lungo le 11 tracce delle sorprese a dir poco emozionanti.

Un principio di blues legato alla matrice più distorta per comporre urla dall’inferno più misterioso e cupo.

I toni si fanno bassi, a tratti laceranti delimitando un sogno di vita spezzato dal fulmine di una nuova
esistenza.

Un tuffo nel passato che si arpiona al presente con Jack White che si fa eco in numerosi pezzi, mentre Cure e Joy Division incalzano nelle tenebre dell’insieme.

Un disco quindi che riesce, nonostante la voluta timbrica, ad essere pop oltre maniera, oltre qualsiasi delimitazione di genere.

Marenduzzo della Dischi Soviet produce un progetto che ha quasi del celato già dal nome della band, un nome che varia di pari passo con i misteri nascosti lungo l’ascolto dei brani.

Grunge quindi e sporco blues, luce e oscurità, accento interposto tra comete invisibili,
questi sono Neko at Stella: buon ascolto non ve ne pentirete.

Limone – Spazio, tempo e circostanze (Dischi Soviet Studio)

Limone non è solo giallo, ma racchiude al proprio interno i colori più variegati dell’arcobaleno.

Il cantautore vicentino al suo disspazio-tempo-e-circostanze-limoneco d’esordio, dopo svariate esperienze con gruppi rock locali, vede la sua maturazione nel 2011 quando da verde passa a un giallo maturo del sole d’estate.

10 pezzi che racchiudono un mondo intimista e adatto a pochi, dico io per fortuna, in cui a prevalere sono gli arrangiamenti sintetizzati dalle tastiere di Leslie Lello e la voce asciutta e disincantata-naif di Filippo Fantinato.

Eco della poetica è racchiuso in quel cantautorato di stampo elettronico che ricorda Samuele Bersani, Tricarico e una strizzatina d’occhio alle band radiofoniche dell’ultima ora.

Qui però non parliamo di semplice musica pop, ma di un mondo silenzioso, un mondo blu notte in cui la miglior offerta indie si incrocia con l’io di un ragazzo che vuole raccontare storie partendo dalle storie, raccontare una vita, partendo dalla sua.

Ecco allora che in Aperitivo? crolla un mondo che già di per se era costruito su castelli di carta, mentre Assomigli a Marte ci porta su terre lontanissime ricordando Il piccolo principe.

Lettera ad un produttore è sarcastico bagliore contro la multinazionale della musica e dello spettacolo, Proiettile di lana cavalca melodie Brittiane lasciando il posto alla delicata Chi sono io?, il pezzo più marcatamente radiofonico di tutto il disco.

In Luce d’Agosto Limone canta: ti ho incontrata sopra una luna dorata, La Festa di San Menaio ricorda Branduardi alla Fiera dell’Est con Battiato che, seduti ad un tavolino, parlano di un’Italia vuota.

Per tre è poesia introspettiva che raccoglie l’entrata di Beatrice.

Suo figlio è pazzo è la partenza in astronave di un ragazzo che non è di qui, lontano musicalmente di certo ma ricordando SpaceBoy , rock siamese di Corghiana memoria.

Un disco, che come album d’esordio, regala emozioni a non finire, con la capacità di suonare pop più di qualsiasi altra produzione, conservando una vena indie spiccata e presente, quasi a riempire vuoti incolmabili da entrambe le parti.

MiSaCheNevica – Come pecore in mezzo ai lupi (Dischi Soviet)

I MiSaCheNevica tornano e stupiscono con una prova matura e ben fatta dove le chitarre di Zanon e il suo cantato, graffiano più che mai.

Al basso il preciso Marco (Love) Amore e alla batteria la potenza di Antonio Marco Miotti regalano quelle sospensioni musicali in presa diretta degne di una grande garage band che raccoglie in parte l’eredità del grunge rovesciandola in anni defunti dove a perdere sono sempre le stesse persone.

E’ un disco di materiale vissuto compiaciuto da suoni sporchi e analogici.

6 giorni di intense registrazioni che regalano materiale scottante, quasi live, forse questo l’intento del gruppo che fa del palcoscenico il terreno dove regalare emozioni sprigionate con una capacità tale da rimanere stupiti.

La band cittadellese e limitrofi del padovano pubblica per Dischi Soviet, contando sulla produzione di Matt Bordin dei Mojomatics e sul mastering di Carl Saff di Chicago.

“Come pecore in mezzo ai lupi” è un disco ricco di storie intra-extra personali dove a confluire e creare omogeneità sono suoni scarni, ma allo stesso tempo pieni di capacità introspettiva e carichi di quella sfrontatezza giovanile perdutamente rock.

L’album inizia con la roboante “Figlio illeggittimo di Kurt Cobain” la canzone forse più “Disfunzionata” della lunga track-list che si immedesima nello Stato apatico in cui viviamo, dove la tv è idolo da venerare a qualsiasi ora.

Si passa ad “Apridenti” dove il suono distorto/pulito vince “sul tempo che sporca di bianco la mia barba”.

“Retromania” è un inno al vintage di passaggio dove i cori perfettamenti incastonati come gemme rendono il pezzo un gioiello per la sua interezza.

Segue “12 Giugno “ buon apripista per “Il nostro paese diviso in due”: “Sacrificarsi per un mondo migliore, rivoltala se puoi la tua vita underground”, l’essere orgogliosi nell’essere antieroi che trova spazio per la strumentale/corale “Dr.Lennon”.

“La partita di calcetto infrasettimanale” è un brano che girava già in alcuni loro live passati e racconta della mediocrità dell’uomo medio italiano appassionato della futilità.

“Tasche piene” è un buon compromesso tra dark rock e melodico.

“Smaltire tra le scimmie” è ricercata melodia vocalizzata, si sentono molto i Verdena di “Il suicidio del Samurai”.

Prima della chiusura affidata alla bellissima “Scheletri Nascosti” troviamo “Aiutaci Matteo” forse destinata a patron Marenduzzo della Dischi Soviet?

I MSCN regalano un album ben registrato e riuscito, l’incontro tra una voce molto personale e particolare e un suono ricco di desideri neo poprock, un passare oltre le frasi fatte e i convenevoli, un mirare ad un punto definito che di giorno in giorno concede soddisfazioni sempre più chiare e vere.