Clemente – Canzoni nel cassetto (Contro Records)

Clemente è un cantautore vecchia scuola, di quelli polverosi, avvolti nella nebbia, seduti su di una sedia di paglia e con la classica in mano a raccontare storie di ogni giorno di fronte a poche persone, ad una manciata di uomini e donne venuti apposta per lui e con fare disinvolto, lui stesso, sceglie dalla pila di libri che ha davanti il testo per la sua prossima canzone, un’ispirazione da far ascoltare, intima esigenza di uscire allo scoperto.

Canzoni nel cassetto è tutto questo, uno scrutare profondo dentro le rapide della nostra anima, in una malinconia di fondo che sa di purezza ben amalgamata e concentrata per accogliere le esigenze di un mondo lontano, forse lontanissimo, dove l’essenzialità è di casa e dove l’efficacia nell’uso di strumenti come violino, pianoforte e fisarmoniche rende il disco ancor di più anacronistico, fuori dal tempo, da questo tempo; un’essenzialità che si fa silenzio e voce vera.

Il nostro racconta i ricordi in modo lucido, pensiamo all’iniziale L’essenziale fino a scorrere via via con Stupida canzone, a fotografare l’attimo, a disegnare per un momento una speranza per domani, quella speranza che si trasforma in viaggio, una valigia sempre pronta e un orizzonte da inseguire, come in un sogno da cui non vorremmo mai svegliarci.

Suite Solaire – Rideremo (Autoproduzione)

Fuggire lontani oltre i nostri destini, oltre il nostro pensare e oltre anche a un’idea di realtà che ci siamo fatti andare bene per tutto questo tempo, un rincorrere con un salto il mondo che è sparito alle nostre spalle in cerca di nuovi appigli per poter andare avanti.

La band novarese Suite Solaire da alla luce un primo disco che parla del viaggio e parla delle mete da raggiungere come vie di fuga, è un album sul camminare lenti e osservare il paesaggio, un vivere le nostre coscienze in modo diverso, più sentito e forse reale, abbracciando un indie pop/rock che sa di Velvet e di cantautorato, tanto caro alla canzone italiana, piccoli racconti che si fanno poesia lungo gli undici brani che aprono il cammino con Un mondo di ghiaccio per arrivare al Il meglio è già passato a sancire un ulteriore sguardo verso la realtà da vivere fino in fondo, mostrando le nostre capacità e la nostra caparbietà.

Brani senza effetti sorpresa, ma lasciati cullare dalla melodia e dalle parole, sempre più essenziali in un’epoca come questa, sempre più esigenti nei confronti di chi la musica non la vive come un gioco, ma sa trarre da essa ancora spunti per ridere ancora.

Le cause perse – Amplesso (Autoproduzione)

Le cause perse ci portano a riflettere sul mondo che ci circonda grazie a testi penetranti e allo stesso tempo coinvolgenti che non ci rendono dei semplici spettatori immobili, ma attenti critici di una società che ci vuole e ci rende diversi; un romanticismo disincantato espresso in un vortice di sensazioni intrise di significato che ricordano l’infanzia, il bambino che è in noi, l’esigenza di fare pace con noi stessi tra territori acustici sovrastati da un piglio cantautorale che rende bene quell’idea di necessità e volontà di dare spazio alle emozioni; un turbinio concentrico che si muove tra la voce del cantante e chitarrista Yuri Duso e l’elettrica di Enrico Marangonzin fino alla collaborazione con la precisa e velata batteria di Daniele Carollo.

Un disco che parla con la voce dei tempi moderni, un disco sulla fame di sapere nel raggiungimento di uno stato di grazia che culmina nella rabbia, intesa come parte negativa di noi e capace di disfare quel bene creato e voluto che prima o poi tornerà a colmare quei colori dentro al nostro cuore.

I dottori – Poesia e Veleno (Autoproduzione)

Volontà di fondere lo stile rock più duro ai limiti con lo stoner oltreoceanico di Queens of the Stone Age, l’alternative metal dei System of a down con il cantautorato dei grandi autori italiani tra De Andrè e Gaber passando per l’ironia dissacrante del Gaetano più ispirato, una poesia legata al veleno, un’eterna esigenza di incapsulare attimi vissuti che sono ricordi del passato, tra arrangiamenti volutamente minimali che acquisiscono valore soprattutto in chiave live, un disco che scioglie i paradigmi del tempo andato per dare un senso maggiore alla compiutezza delle parole, incisive, profonde e in pezzi come l’apertura Per non  farti ammalare passando per Marte, Marilù, Mario il poeta i nostri si fanno portatori di un mondo quasi di paese, quasi di quartiere, dove i significati della vita si possono leggere negli occhi della gente, dove l’essere unici permette di guardarci in modo diverso, forse più vero e reale, sicuramente più sentito e tangibile; un disco che da la possibilità di creare legami ascoltandoci.

Beltrami – Punti di vista (SuoniVisioniRecords)

Beltrami conosce il rumore del vento e lo staglia all’orizzonte cercando uno degli innumerevoli punti di vista che di specifico rendono il disco un abbaglio in pieno inverno, tra arrangiamenti che non sono mai superficiali, ma che colpiscono e trascinano l’ascoltatore lungo strade nuove e in discesa, merito di un buon background e merito anche di una preparazione non indie-fferente.

Il soffermarsi, il guardarsi attorno, il raccontare pezzi di vita su fotografie o ancora meglio su undici acquarelli tenui e allo stesso tempo eleganti, capaci di una forza interiore che può portare lontano, in una continua ricerca mossa dal cuore a sintetizzare i racconti, a sintetizzare i vissuti, a comprimere la bellezza in un album  che sa di abbandono, ma nel contempo anche di speranza; meta concreta per i giorni che verranno.

Beltrami quindi è tutto questo, è un box completo dove si nascondono i Perturbazione, ma anche le vellutate poesie di Antonio Firmani e le compressioni malinconiche nordiche tra Sigur Ros e Elbow a firmare un dipinto ricco di sfumature e traguardi da raggiungere.

Un album variegato e carico di quella nostalgia che fa pensare al passato, lo fa con stile e coraggio, alla ricerca di un qualcosa di diverso, sempre nuovo e stimolante, un punto di vista che non si ferma all’apparenza, ma si ricerca ed è esso stesso ricerca, in un vortice perpetuo di immagini oniriche.

 

Mikeless – Il maniaco (Taitù Music)

Cantautore dall’animo pop che incanta per ironia e voce soppesata, capace di capire i segreti del quotidiano sovvertendo le regole del pop radiofonico e approcciandosi alla proposta in modo immediato, sin dalle prime battute, tra chitarra acustica e voce alla Giovanni Gulino dei Marta sui tubi in un cantautorato sottile e quasi satirico che racconta i nostri giorni in modo quasi sbarazzino.

Michael Fortunati ama Britti e si sente, lo si sente nel modo di suonare la chitarra e le corde che si trasformano nelle dita mancanti, sospiro per un tempo ricercato, un sogno in divenire e realizzazione, un intimo approccio studiato per rivelarsi utile quanto basta per dare vita a otto composizioni che non sono altro che assaggi del proprio stare al mondo.

Tracce quindi senza sosta, da Anima fino a Funky Love passando per la title track Il maniaco e la riuscita Solstizio generazionale; un one man band capace di proporre con gusto un cantautorato attuale e moderno, mai scontato e a tratti ricercato.

Giancarlo Frigieri – Troppo tardi (Contro Records/New Model Label)

Al settimo album la sperimentazione continua, Giancarlo Frigieri riesce con grande maestria e capacità a dare un senso e una forma ai suoni, quello che solo uno sperimentatore è in grado di fare, la cromaticità che acquisisce sostanza e la ricerca introspettiva si convince di un mondo fatto di sconfitti e di relegati, che seppur raggiungendo minimi attimi di felicità, si relega a mero burattino in uno spazio infinito.

Nella sua ricerca, il nostro cantautore, usa sapientemente filtri e ed effettistica, dando ai posteri un album ragionato e dove i testi emulano suoni di batteria, dove parole recitate in lingua finlandese creano basi ritmiche e dove gli assoli di chitarra sono sovrapposizioni di melodie classiche, nel vero senso del termine, da Bartòk a Stravinskij, passando per Debussy e Holst senza dimenticare Shostakovich, il tutto condito da un Guccini che suona moderno, Francesco che incontra Vasco Brondi, sembra una blasfemia, ma l’effetto e l’uso di contorsioni sonore porta ad un risultato del tutto originale e pieno di capacità e speranze per quello che deve ancora arrivare.

I testi parlano di noi e dell’accettazione della sconfitta come parte vitale dei nostri giorni, un seguire all’infinito aspirazioni che alla fin fine sono la morte del nostro pensiero e Giancarlo lo sa bene, cantautore atipico, rimescola le carte in tavola per dare un senso diverso ai canoni imposti di ogni giorno.

Massimo Donno – Partenze (Autoproduzione)

Raccontare storie nel 2015 non è facile, anzi, è sempre più difficile, perché l’ondata pseudo cantautorale non sense dilagante, ha annullato la forma classica di cantautorato, relegando il tutto a futili parole lasciate al vento prive di incisione.

Massimo Donno si promette di ridare un senso alla forma canzone italiana più introspettiva e intima confezionando un album che sa di terra e radici, tanto il legame si è fatto unico e irripetibile con gli elementi della natura, tanto il nostro attraverso immagini di vita si concentra nel creare e dare forma e sostanza agli attimi vissuti creando un ponte, un tramite, con il passato, con le cornici del tempo assiepate su credenze polverose.

Luce fioca, chitarra acustica in primo piano e arrangiamenti sempre nuovi e che stupiscono per varietà, fanno di questo album uno scavare nella terra della nostra anima, un ricongiungere parole e musica in un’unione che deve restare indissolubile.

Sono rimasto stupito e lo dico davvero, stupito dalla meravigliosa title track: A soli quarant’anni di distanza, la stanza di mio nonno era la mia, io facevo la dieta, lui faceva la fame ed il suo cinema era la ferrovia.

Entrare quindi in un mondo fatto di migrazione, di sottili dispiaceri e rughe scavate fin da subito come solchi sulla terra; l’anziano che combatte e crede, crede in un ideale, con lo sguardo proteso in avanti, oltre le montagne verso il futuro.

Tra Guccini e De André, questo album, ha molto da insegnare, è un disco che serve per fare ordine dentro di noi, un disco che più di qualche persona dovrebbe ascoltare, un caldo abbraccio verista nella solitudine fredda del futurismo.

Davide Solfrini – Luna Park (New Model Label)

E la giostra gira e gira, ma non per tutti perché per un secondo la vita può anche fermarsi, magari non riaccendersi mai più, nella speranza che quello che si è vissuto sia abbastanza da portare con sé.

Davide Solfrini nella sua nuova prova, Luna Park, racconta attimi di vita vissuta con un cantautorato fresco e a tratti malinconico, ispirato dalle grandi ballate rock del passato e da quel sapore del tempo che non ha mai fine.

Racconta storie, storie di tempi perduti che abbracciano inevitabilmente gli ultimi esseri umani in gioco in questa terra, ma che sono l’esempio di come sia necessario riscattarsi e credere che tutti insieme possiamo creare qualcosa di diverso, più vivibile ed essenziale.

Ecco allora che proprio per raccontare questo, come in Lavanderia o ancora più direttamente in Mi piace il blues, viene usato un linguaggio più diretto, andando alle origini del mito e della classe da dove il tutto è partito ed è potuto divincolarsi da quella canzone radiofonica che tanto era cara all’italietta degli anni ’50.

Il blues quindi espressione di umana verità che si fonde e confonde nel cantautorato rock del Dylan anni ’70 quando alla formula voce chitarra si era aggiunta una vera e propria band.

Un disco pieno di spunti di riflessione questo, che racconta con veritiera capacità e con un piglio ironico il nostro sentirsi parte di un qualcosa che non ci appartiene, un restare al mondo che ci obbliga a tenere gli occhi sempre ben aperti, ma che non ci impedisce per questo, di scoprire l’essenza della vita.

 

 

Luca Loizzi – Canzoni quasi disperate (Autoproduzione)

Queste sono tutt’altro che Canzoni quasi disperate, anzi, sono delle vere e proprie perle che omaggiano il tempo che trascorre dietro di Noi.

Un turbinio di suoni acustici e strumenti ben suonati, che anche solo per un momento, ci fanno assaporare quel cantautorato malinconico, ma vivo e presente come fosse un suono a noi famigliare.

Dopo il primo album pubblicato con Puglia Sounds Records, il nostro Luca Loizzi si cimenta in una prova ricca di armonie perpetue dove a farla da padorne è quell’esigenza di chiudere un cerchio che si apre inevitabilmente con le esperienze della vita e trova come sola via di fuga il viaggio, tra personaggi stralunati e testi taglienti che si ripercuotono in un pensiero condiviso.

Il cantautore si fa quindi cantastorie e dopo numerose collaborazioni che lo portano ad una crescita personale il nostro si permette il lusso di fondere il proprio stile con la canzone francese e la tradizione cabarettistica d’alta scuola italiana.

Ecco allora che sembra di stare dentro ad un circo ipnotico, pieno di parole dove trarre giovamento; bellissima E se per caso che si dipana in folkeggiamenti fino ad Estate di merda di Fumarettiana memoria che porta al finale di Valzer senza nome.

Un disco da spiagge deserte dove raccontare un’estate che non c’è più e dove sperare che qualcosa si veda, di nuovo, là, oltre l’orizzonte.