Sawara – L’eccitante attesa (Autoproduzione)

album L'Eccitante Attesa - Sawara

Un uomo che scruta basso, che scruta lontano sul greto del fiume annebbiato dai fumi dell’amore liquido e del rimpianto, tra speranze e sogni ad occhi aperti in un divenire che rassicura, ma che compila analiticamente la lista di ciò che è andato perduto. Il brianzolo Fabio Agnesina, in arte Sawara, decide di confezionare un disco dalle forti aspettative che come quadro in bianco e nero regala attimi di lucidità perentoria in pezzi che non abbandonano la forma canzone, ma piuttosto eviscerano dal tutto atmosfere alla Gatto Ciliegia contro il grande freddo per risalire la corrente di un cantautorato scarno e affascinante. Inevitabilmente mi salta alla memoria Danio Manfredini e il suo Vivi per niente incrociato al Capossela più cupo e oscuro, in un’introspezione grandiosa che fa sentire la propria presenza già nel pezzo d’entrata E’ bello anche aspettarti con quei fraseggi di elettrica a riempire la scena e a ricordare che non si è soli, per passare poi alla profondità essenziale di EA o Vedo chiaro per convogliare in Alba ad alba e nel finale lasciare spazio ad un remix della traccia d’apertura. Quello di Sawara è un disco che accarezza la carne e quando vuole sa incidere il pensiero portante fino ad arrivare al sangue che abbiamo dentro, tra il resistere e il sopravvivere, tra il rinascere e l’appartenenza a quel mondo diverso dentro di noi che si fa guardare quotidianamente con occhi nuovi.

Giovanni Peli – Gli altri mai (Ed. Mus. Ritmo&Blu)

Cantautorato per ambienti poco arredati dove la luce fioca di una Primavera che tarda ad arrivare si insinua lentamente tra la polvere dei libri più belli lasciati a vivere sopra ad un comodino di cose lasciate mai al caso, ma vissute appieno ricordando in qualche modo le proprie radici, ma nel contempo uscendo dal coro in maniera naturale, impercettibile, inondando le forme createsi dall’ascolto di queste canzoni con meraviglie acustiche pensate per coprire la distanza tra i giorni, la distanza tra il fare e l’amore, dove i sentimenti riescono ad imbrigliare l’anima per trasformarsi in canzoni che hanno il sapore del tempo passato e di un sottile legame con il presente. Tra Luigi Tenco e I Non voglio che Clara il nostro Giovanni Peli, autore e musicista bresciano, riesce a trasformare le canzoni in cassa di risonanza per le ore del giorno identificandone contenuti con pezzi simbolo di una creatura in divenire, attenta ai gesti, attenta alle parole, da poeta navigato a chansonnier fuori dal tempo il nostro intasca una prova che si muove tra le nebbie dei nostri mondi alla ricerca di un paesaggio da poter scrutare nitidamente.

Roberto Vitale – Di legno e di cenere (Autoproduzione)

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Autoproduzione silenziosa che ingloba pensieri di solitudine e amore per canzoni da cuori spezzati e poesia che va ben oltre le concezioni del cantautorato moderno, fondendosi con l’istante, con i pensieri che non dominano la scena, ma che piuttosto ritrovano nella bellezza dell’attimo, nella compiutezza del momento, un proprio punto di svolta, un proprio punto di contatto e di occasioni per dare un senso profondo a tutto il mondo che gira e scivola lentamente dalle nostre mani. Il cantautore Roberto Vitale regala attimi di lucentezza dietro alla finestra della vita, lo fa con classe, stile ed eleganza, lo fa con la capacità e la sicurezza di chi non ha nulla da perdere, lo fa perché bisogna farlo e questo basta e ci vuole poco per perdersi in pezzi come l’iniziale E poi o Elicrisio, passando per la Title track o la bellissima Settembre. Un disco che rapisce dal primo ascolto, si denuda degli orpelli di un’elettronica moderna e si stabilisce in modo del tutto naturale come parte integrante di un mondo in continua costruzione, tra le bufere dei sentimenti e la bellezza nella condivisione, immolata per l’occasione a quadro naturale e moderno fuori dal tempo.

L’edera – Rampicante EP (Autoproduzione)

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Radici di un cantautorato che si esprime nell’urgenza di raccontare le immagini di un’Italia quotidiana, nei contesti di vita e assaporando il giorno che avanza come fosse del succo da consumare nel bicchiere eppure L’edera, progetto iniziale di Alberto Manco, racchiude nel suo insieme una ventata di leggerezza che ricorda i primi L’officina della camomilla e prosegue nel filone della musica d’autore moderna immagazzinando idee e spunti da far uscire pian piano tra un Niccolò Fabi in apertura con la bellissima Tieniti forte per passare ad una musica più sostenuta nel proseguo del disco, mantenendo una fede di base che si sposa bene con l’essenzialità del progetto e soprattutto intascando una prova che è uno spaccato notevole ricco di apporti essenziali e sensazioni racchiuse che si avviano al concepimento delle idee stesse in simultanea con un piglio punk e sbarazzino in grado di cogliere con velocità il mondo in cambiamento.

Lontano da qui – Lontano da qui (Autoproduzione)

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Lontano da qui è il disco del suono nei vicoli delle città abbandonate allo scorrere dei giorni, è la voce del vento che attraversa delicatamente le fessure dei balconi con uno occhio che guarda il mare e l’altro che guarda al futuro immaginifico, dove forma canzone e poesia si incontrano per dare vita ad assaggi sopraffini di musica delicata, cantautorale, vivacemente sospesa in una continua ricerca di armonia e parole che inglobano e fanno si che questa world music sia un concentrato di emozioni non abbandonate al suolo, ma piuttosto una visione disincantata della vita che si sofferma nel descrivere i vizi di una società e i continui cambi di forma di quest’ultima soffermandosi sull’importanza del viaggio come forma di pensiero costante e unico credo per evolvere, cambiare, mettersi in gioco e dimostrare che pezzi come Tsunami, Jim e Anne, La signora dei post-it e Il bar giù all’angolo non sono altro che facce di una stessa medaglia mutevole; facce messe in scena in questa opera chiamata vita e che i nostri Lontano da qui sanno raccontare in modo mai banale, ma anzi del tutto costruttivo e mirato alla ricerca di quel qualcosa che solo il tempo saprà definire e focalizzare.

Trevisan – Questa sera non esco (Fumaio Records)

Trevisan è un pirata moderno, uno che solca i mari delle introspezioni future e lascia sul tavolo di legno tarlato l’ideale di sentimento che attanaglia, circoscrive e rassicura, contorcendosi a dismisura e ponderando una sorta di musica d’autore che si fa ponte tra passato e futuro, una voce roca sopra coperta, l’acqua tutt’attorno e il nostro imperscrutabile navigare lungo i flutti della coscienza, a raccontare storie, a non dare giudizi e soprattutto a non dare nulla per scontato in un’esigenza quasi letterale di approfondire gli istanti, le bellezze e le persone, un po’ con ironia un po’ con il fare di chi in vita ne ha viste molte, da Il mio disco nuovo fino all’omaggio esaltazione dei Rancid Olympia, WA il cantautore bergamasco si concede ad un temerario esistenzialista punk d’avanguardia acustico, imperniato da strutture che si affacciano direttamente nella quotidianità di ognuno di noi, intrecciando il cantautorato a qualcosa di più complesso chiamato vita e che ci rappresenta oggi forse più di ieri.

EXNOVO – Segnala come SPAM (DeepOut Records)

Cantautore in chiave rock che mescola le carte della quotidianità per dare un senso maggiore al mondo che ci circonda, un eroe solitario che mescola la musica di sempre con l’elettronica e i sintetizzatori a dare un senso e un suono moderno ad un disco che in primis è comunicabilità in un vivere opprimente e sconvolgente, dove vengono messe in luce, attraverso queste canzoni, i difetti di una società malata disposta ad un apparire sfrenato e senza ritegno, questo crollare di punti saldi ben raccontato nei pezzi del nostro Gian Luca Biasini, in arte EXNOVO, in grado di pubblicare un disco attuale e diversificato, capace di penetrare le coscienze e in qualche modo farti sorridere all’idea che tutto questo possa esistere davvero, attraverso ciò che viviamo, attraverso il frutto di queste canzoni che sanno parlare dei nostri stati d’animo, da Gennaio passando per le riuscite Frasi liquide, Vent’anni e Buio fino al finale di How long, chiedendoci ancora, per quanto tempo, questa musica debba restare nascosta in un cassetto, chiedendoci ancora se ciò che ascoltiamo giorno dopo giorno, magari alla radio, sia effettivamente una nostra esigenza.

L’etiope – I nonni sono morti (Autoproduzione)

Cantautorato che esplode in arpeggi rock di matrice post ’90 in grado di catalizzare forme e dimensioni di impalcature sovraeccitanti in grado di produrre materia pronta a stupire, pronta a rendere necessaria la discesa nel quotidiano, raccontando di sensazioni, stati d’animo claustrofobici, sotto scacco negli attacchi di panico e indulgentemente rappresi ad identificarsi con un retroindiecantautorale che lega il tempo in cui viviamo alla parabola tangibile di sogni infranti e speranze da definire.

I nonni sono morti e non ce ne facciamo una ragione, questo disco è l’interruzione di un’adolescenza per entrare nell’età adulta, forse ancora troppo presto, ma il tempo e le fatalità non si possono fermare, possiamo solo cercare di capirle, forse, resta il fatto che tutto questo è legame profondo con le proprie esperienze per quattro pezzi che sono un concentrato di vissuti che ricordano i Perturbazione di In circolo, più per approccio che per singolarità musicali; un suadente viaggio per canzoni – capolavoro che esplodono in tutta la loro bellezza nella finale Immobilis in mobili, donando importanza alla quadratura del cerchio per un EP che è dimostrazione di una bellezza senza tempo.

Emiliano Mazzoni – Profondo blu (Private Stanze)

Cantautore sopraffino che incrocia egregiamente la lezione di De André per passare all’internazionalità dei compianti, ma pronti alla rinascita Cousteau, per atmosfere notturne e marine che assaporano l’identità del Badalamenti di inizio ’90 in una ricerca sonora che vede un pianoforte guidare efficacemente racconti interiori e di una bellezza traboccante, abbandonando il frastuono di ogni giorno e scavando dentro, un piccolo posto dove vivere, un piccolo posto dove abitare, un posto da raggiungere per trovare finalmente un porto in cui vivere.

Emiliano Mazzoni è delicatezza in musica, quella capacità rara di esprimere con le parole gli attimi che ci siamo lasciati alla spalle, sul filo del rasoio, tra introspezione verista e amarcord emozionali che hanno il profumo dei fiori dei campi che odoravamo da piccoli, queste dodici canzoni sono la summa di un pensiero che è vita già nel primo pezzo Al mio funerale fino a quel S.Valentino nella cassa che è un ritorno alle origini, passando per una figura materna raccontata e intravista tra fotografie ingiallite e quel passare del tempo a far da sfondo per istantanee che non torneranno più.

L’idea di mettere in musica tutto questo sa di nostalgia  che attanaglia e lega il cuore a qualcosa che non possiamo definire, questi pezzi sono le tracce di qualcosa che ci siamo lasciati dentro e che, come mare in tempesta, custodiamo segretamente, pronti a quell’esplosione finale che sa di tiepido abbandono e di sorrisi negati.

Siberia – In un sogno è la mia patria (Maciste Dischi)

Pensare di vivere in un sogno dove tutto sta crescendo, dove tutto è in procinto di trasformarsi, noi esseri strani, divincolati dal buio della notte, cerchiamo la luce in un posto nuovo, noi che siamo parte di un tutto proveniamo dalla terra e alla terra siamo destinati, un angolo di mondo che può essere la patria, non mero territorio delimitato da confini, ma capacità di dare un senso e un nome a chi ci troviamo davanti.

I Siberia sono per metà stranieri e conoscono nel profondo il senso del termine che da valore al disco, lo apprendono giorno dopo giorno attraversando le barriere virtuali che caratterizzano il nostro vivere e lo fanno con una dimestichezza pop da primi della classe, incrociando in modo delizioso rimandi di tipi Baustelliano fino alla tradizione sonora di Endrigo, la wave mescolata alla musica d’autore, per un sodalizio che attinge le proprie radici in un vortice che non sa quasi mai di tensione, ma di territorio inesplorato, onirico e sensazionale.

Undici pezzi che sono lo sfondo dei racconti di ogni giorno, partendo con Patria e finendo con Una speranza, quasi un richiamo ancora, quasi il desiderio di convincersi che la fuori tutto ancora può cambiare, che anche  il più piccolo seme dentro di noi, un giorno germoglierà per tornare da dove è venuto, noi cenere di alberi eterni sempre pronti alla sconfitta.