The Johnny Clash Project – s/t (Rocketman Records)

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Impresa riuscita ampiamente di tradurre in musica un pensiero dominante e stratosferico che caratterizzò la fine degli anni ’70 con la musica dei Clash qui rivisitata per l’occasione come fosse il grande Johnny Cash a sottoporre in esame passaggi epocali di un suono che ricordiamo ancora adesso. Il progetto del trio bolognese riesce nell’intento di riportare in auge, per intero, il primo disco di Joe Strummer e compagni con attitudine folk e rock’n’roll sedimentato a dovere e intessuto di occasioni capaci di arginare il rischio della banalità per una prova davvero impressionante sotto molteplici punti di vista e che permette di dare profondità ad una proposta visionaria e rivolta ad un mondo vintage e analogico che prevale su tutto, quasi a percepire ancora il calore delle valvole fumanti di amplificatori essenziali, ma avvolgenti come non mai. Gli episodi degni di nota sono davvero molti, pensiamo a I’m so bored with the USA o a London’s burning, canzoni capaci di segnare un confine, un’epoca e qui rivisitate con un piglio davvero interessante e mai noioso. The Johnny Clash Project colpisce nella profondità nel cuore, colpisce per bellezza intrinseca della proposta e soprattutto per una capacità quasi ironica di stupire.


Telegraph Tehran – Spettri da scacciare (Autoproduzione)

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Urbane grungerie distorte che narrano e raccontano di come gli amori metropolitani si sciolgano al suolo ricomponendo uno stato catatonico di amara disillusione. L’esordio dei Telegraph Tehran è uno spaccato di vita meditabondo che ingloba il pensiero della nuova gioventù che avanza, musica per chi è senza vincoli, ma anche per chi si ritrova così spaesato in un mondo che gli sembra non appartenere più. La peculiarità del gruppo di Bologna sta nel fondere lo shoegaze con un qualcosa di già sentito negli anni ’90 imprimendo alla controcultura odierna uno stato larvale pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Pezzi simbolo come Carmica, Il sentimento del tempo, Tv Show o La tua immagine sono l’esemplificazione di un tutto che accosta sentimenti a potenza, meditazione e introspezione all’energia che si staglia oltre tutto quello che conosciamo in un’omogeneità di fondo che colpisce sicuramente a dismisura anche perché di primo disco sempre si tratta. Maturità quindi centellinata che in Spettri da scacciare trova un avvio davvero interessante, sicuramente da tenere d’occhio e in considerazione per nuove e future aperture sonore.

Exit Spoons – Exit Spoons (Autoproduzione)

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Incroci sonori tra elettronica, caos, distorsioni e tanta psichedelia per un progetto originale sin dalla confezione di lancio. Due mini cd, un cartoncino per raccoglierli e un libretto per spiegare l’ambiente onirico e discostante che possiamo trovare e percepire durante l’ascolto di questi sette brani. Canzoni ed estrapolazioni sonore ad intessere trame futuristiche che sono e che si fanno pittura esagerata oltre ogni modo e dove la fantasia autentica risulta spiazzante all’inverosimile già da Trippo Hippo fino a La moglie del proprietario passando poi per l’altro disco labirinto che si muove da Sequenza a Passatela a Totti includendo Jenny senza mutandine e Zumbaccamera. Ascoltare gli Exit Spoons è spogliare l’intera musica per come la conosciamo e vestirla con un abito nuovo e luccicante, intraprendere una strada senza uscite e magicamente ritrovare il sentiero verso casa in uno sperare che accarezza il prog, ma nel contempo si ritira alla visione di quest’ultimo per un album che assume le basi del rock per stravolgerlo e ottenere poi paesaggi sonori di rara importanza.

Pin Cushion Queen – Settings 3 (Autoproduzione)

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Siamo arrivati alla fine di un percorso caleidoscopico, di una trilogia in evoluzione, lontana anni luce dalle regole di mercato e pronta ad entrare nel mercato stesso per cambiarne regole e soprattutto punti di vista, lontano da mercificazioni e suadenti contratti, ma piuttosto vicino ad un originale percorso d’avventura musicale che prende il sopravvento grazie a forme desuete e sperimentazioni già narrate qui, su queste pagine virtuali e che ora volano verso un finale che è forse chiusura o forse spazio che si comprime, chiudendo in qualche modo il cerchio aperto e nel contempo osservando un buio sempre più presente con quegli occhi che hanno e che vedranno ancora tanto, da sfondi cinematografici a territori deserti il trio bolognese grazie a The Tunnel, l’articolata Backward Future e il finale lasciato a Wachosky si immola a dare un senso sempre maggiore alla proposta in questione, tendendo la mano all’infinito e abbandonando i pensieri a nuove scoperte future.

Nuju – Pirati e Pagliacci (Latlantide)

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Folk disinibito e quotidiano che ripercorre le produzioni dei nostri giorni in modo semplice, ma nel contempo ragionato e spiritoso, apprendendo dai maestri di genere come Bandabardò una formula del tutto ballabile e nel contempo agguerrita che si sposa bene con la dicotomia del titolo Pirati e Pagliacci a ricordare le parti in gioco, i modi di vivere, la vita stessa che si dipana in canzoni ben tinteggiate e ricche di sorprese per un disco ricco di rivisitazioni e collaborazioni con band e musicisti del calibro di Modena City Ramblers, Musicanti del vento, Brace, Santino Cardamone tanto per citarne alcuni ad infittire una produzione che in primis parte dal cuore e si apre proprio con quella Menestrello che ci rende partecipi di un qualcosa di grande, condiviso e spensierato, merito di un gruppo affiatato nel tempo, merito di una bellezza che si snocciola canzone dopo canzone, in un album che chiude bene questo anno in musica, tra le tragedie della vita moderna e un nuovo modo per sperare; ecco se proprio devo dirla tutta i Nuju sono la speranza in questa fine.

Minimal Joy – Cold kiss (Autoproduzione)

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Benvenuti nel mondo dei Minimal Joy, dalla loro cupezza interiore e dagli anfratti di scena si stagliano melodie accattivanti pronte a scavare nella solitudine del nostro essere umani alle prese con i disastri che gravitano attorno a noi, una voce fuori dal coro capace di delimitare un confinare per poi superarlo, attraverso l’assenza di barriere fisiche e in bilico con la nostra identità da ricondurre al nostro io, attraverso un’attitudine dark che non vuole soltanto rimarcare una posizione, ma piuttosto utilizzare il tutto come punto di partenza per rinascere da un oblio dichiaratamente in confronto con l’esterno per un apporto sonoro davvero notevole che abbraccia gli stili e le visioni della New York anni ’90, si incastra alla perfezione con i Blonde Redhead e aggiunge quel tocco personale che rende la proposta di sicuro impatto e grande resa attraverso pezzi protesta in divenire da Cold Kiss fino all’ironica, ma non troppo Dark. Sweet. Tender Violence a segnare un cammino, a segnare un bisogno prima di tutto esistenziale, dal nero di copertina, alla luce del bianco, a dire ancora una volta al mondo che in fondo c’è sempre un po’ di speranza.

GOMMA – USCIAMO!ORA! (Libellula Label/Audioglobe)

E’ il momento di togliere la testa dalla sabbia e uscire allo scoperto, è il momento di fare il salto artistico e di qualità, perché qui la qualità è tanta e si respira in ogni traccia di questo EP dei GOMMA, duo bolognese giovanissimo all’anagrafe, 41 anni in due, in grado di ridare un senso alla parola pop fin dalle prime battute riscoprendo la bellezza della semplicità, dei testi diretti che si raccontano e si fanno raccontare e di quella capacità di immediatezza invidiabile e carica di sorprese per un piccolo disco che ha il sapore dell’estate, dei tavolini da bar posizionati lungo i quartieri storici delle città e porta con sé quel profumo post adolescenziale stratificato a chitarrine acustiche da spiaggia che non si chiedono troppo ma fanno un gran figurone intessendo piccole trame elettroniche ben studiate e soppesate in grado di esaltare il risultato finale in un’unica e grande festa che si muove molto bene in pezzi come la title track Usciamo!Ora! passando per Stasera, attraverso le apparenze ingannevoli di La pelle umana è tutta uguale, fino a ricongiungersi nel finale con un’ingenuità che fa scuola con Sapore per un disco che ha, come unico punto negativo, se lo si può definire tale, quello di essere uscito con l’inizio dell’Autunno.

Collettivo Ginsberg – Tropico (L’amor mio non muore/IRMA)

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Danze tropicali che amalgamano vissuti e si stagliano fino in profondità, dentro alle nostre vene, per farci ballare contaminati dal suono poliedrico di questa band capace nel confezionare una prova multisfaccettata ad alto tasso emotivo, che non risparmia nulla, anzi si dona prepotentemente nel fondere assieme diversi generi, diverse culture di terra e di mare in un cerchio caleidoscopico che grida la sua presenza e ci fa entrare al proprio interno.

La band romagnola, dopo tre anni di silenzio, ritorna con un disco che un solo ascolto non basta per capirne i livelli di scrittura, un disco si per ballare, ma un disco allo stesso tempo stratificato, che unisce la lezione del funk con il mambo voodoo, passando per una musica più tradizionale e mediterranea fino a conglobare samba spruzzata di nero; un mix emozionale che conquista sin dalle prime battute e ci dona la possibilità di fare nostra l’occasione di una vita, un giro completo attorno al mondo percependone il profumo e soprattutto i colori.

Un albume emozionante, composto da dieci tracce ritmate, da Con due monete fino a Danza Macabra, testi cut-up che racchiudono il mistero nello scoprire una band che fa della mescolanza cromatica il proprio punto di forza; tra Battisti, Jannacci e Dalla, un disco registrato in analogico che con piglio anacronistico ci infoderà la forza per ballare ancora.

Pin Cushion Queen – Settings_2 (Autoproduzione)

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Continua la ricerca sonora per la band bolognese, persa nel tramonto della bellezza interiore, ricerca spaziale che altera l’elettronica e si protende nel cercare abitudini del passato e nel contempo cerca di voltare pagina impreziosendo queste nuove tre canzoni con nuove forme che prendono vita e si stagliano egregiamente a comporre un secondo pezzo di puzzle industriale, naturale compostezza che esplode e lascia particelle minimali in un’immedesimazione quasi simultanea all’idea che accompagnerà una terza stesura, un progetto quasi estremo, ma che si forma continuamente, una trilogia sonora che amalgama i maestri della composizione italiana, riportando il tutto ai giorni odierni, tra le abitudini sedimentate al vento che cancella e il bisogno sentito di dare forme nuove a tutto ciò che ci circonda, partendo in primis da quello che sentiamo dentro.

Lasciamo quindi andare i nostri a ricreare bellezza metropolitana tra il cemento logorante e i gas plumbei in cielo, forse ne guadagneremo tutti qualcosa.

RIJGS – The Rijgs Ep (Astio collettivo/Black Vagina Records)

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Un quadro emozionale dal colore bianco e nero che apre a profondità inusuali e si concentra sulla sostanza in divenire racchiusa da forme concentriche e minimali in una psichedelia che prende vita ascolto dopo ascolto, nella vibrante attesa che non ci possa essere un domani per un suonare che è prima di tutto sentirsi vivi, un suonare per sentirsi liberi.

  I Rijgs, quartetto di Bologna, raccolgono le lezioni del tempo per un piccolo disco, due pezzoni strumentali completamente diversi tra loro, Comet e Tauromachy, due lati della stessa medaglia che si aprono a sonorità spaziali e ricercate, passando facilmente di genere in genere fino ad un noise sperimentale che affonda le proprie radici nella scena americana; due soli tappeti che sono sferzata di vita pura prima del respiro finale.

Una musica non di massa che trova nel formato ridotto una chiave per aprire la porta del live d’impatto, una band che conosce la formula migliore per far volare le certezze lontano da occhi indiscreti, per una purezza d’intenti che porterà alle giuste soddisfazioni.