PGTGS – PGTGS (Bloody Sound Fucktory/Brigadisco Rec/Il Verso del Cinghiale records)

album PGTGS - Split

Split composito di natura ultra fina in grado di attraversare generazioni di musica incorporata a dovere e lasciata a sedimentare per i giorni a venire. Split di profonde visioni quadridimensionali concepite ad arte per cavalcare fasti di un tempo che non c’è più per sudare contingenti, trovare nuovi spazi, guadagnare territori. Tornano i Palmer Generator assieme ai The great saunites con un album trasversale. Due lunghe canzoni, un lato A e un lato B ad intercettare malesseri e umori ad intercettare un flusso rock di coscienza capace di diventare presagio, costrutto, ammirazione. PGTGS è un album sfrontato e pieno, pregno di esistenze in bilico a ricreare arte che diventa magia. Possibili mondi futuri, possibili richiami al passato che ci portiamo dentro ascolto su ascolto.


Terenzio Tacchini – To Get Drunk (Bloody Sound Fucktory)

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Sputato al suolo ruvido e scomposto e chissenefrega del risultato l’importante è colpire allo stomaco con canzoni che non sono pretenziose, ma piuttosto si fanno a livello terreno costanti e capaci di insidiarsi nella mente dell’ascoltatore, fino al fegato, fino ai polmoni, fino al nostro cuore. Terenzio Tacchini è tornato con il suo sporco lavoro da onemanband di stampo garage con impostazione blues e manie di rock divelto, una musica solista capace di penetrare a livello simbiotico con un mondo devastato e psichedelico, con un mondo stratosferico e controcorrente, un mondo che chiede il proprio conto, il proprio tornaconto anche se il nostro partecipa a distruggere tutto ciò che non va, tutto ciò che deve essere cambiato. L’omogeneità di fondo rende l’intera proposta appetibile e potente per un suono granitico urlato e gridato, un suono in cui le parole sono parte fondamentale del tutto e dove le note di ribellione sono parte fondante di questa grande prova.  


Lush Rimbaud – L/R (Bloody Sound Fucktory & fromSCRATCH Records)

Lush Rimbaud è il suono della poesia elettronica, quel salire sul palco e immaginarlo ricoperto di luci crepuscolari che ci sommergono e ci indicano la via da seguire, un paesaggio buio e qualche fascio perpendicolare alla nostra testa che ci porta verso il cielo, verso l’ignoto; evocazione sonora di un tempo criptico e introspettivo, dal sapore martellante della new wave e dalla sincope continua che caratterizza produzioni più moderne.

I marchigiani si rinnovano e si concentrano sulla formula less is more, partendo dalle cose semplici, quasi togliendo l’inutile e dilatando i tempi verso concetti che si fanno via via sempre più ampi e divulgativi: Massive Attack che incontrano i Portishead lanciando sguardi glaciali verso la poesia islandese anche se a fare da tema portante del tutto è l’oscurità con i propri sogni e i propri incubi.

Incubazione quindi perfetta, gestazione e cambio in divenire di stile e sostanza che parte con Marmite per raggiungere alte vette sonore con il finale Dark Side Call in un perpetuo atollo solitario che si domanda e racconta nei testi ciò che si vede nell’aldilà, dopo la fase rem, un dipinto di De Chirico che si muove tra chiaro scuri esistenziali e concentrici.

Ecco allora che il vuoto viene riempito dalla spazio circostante e l’atterraggio versò ciò che non conosciamo sta per avvenire, le mutazioni sono dietro l’angolo e ciò che ci aspetta oltre il sonno si racconta e si fa raccontare quasi rendendoci partecipi di questa meraviglia a occhi aperti.