Loris Dalì – Gekrisi (Autoproduzione)

Cantautore poliedrico e multisfaccettato che fa della realtà materia quotidiana di apprendimento da riporre in testi che si annidano nel nostro vivere giornaliero, incorporando capacità d’intenti e forma canzone che abbraccia notevolmente gli appigli di un cantautorato tagliente e immerso in un mondo ostile da cui doverne uscire o piuttosto,  da dove poter trarre vantaggio per approfondire il senso di radici che si sta via via sgretolando, raccontando di un’Italia che non esiste a livello istituzionale, ma nel contempo un’Italia che vive negli occhi della gente e che cerca come non mai di appartenere ad un qualcosa di più grande. Nel disco del cantautore piemontese c’è l’amore per il sud, ma anche l’amore per un certo tipo di suono analogico e reale, niente orpelli elettronici, niente finzioni, quasi a rappresentare la realtà nuda e cruda, attraverso mostri sacri del passato, citando Battisti, De André, Capossela, ma anche Bobo Rondelli o i veneti Bottega Baltazar, in un sensazionalismo che non esiste, ma piuttosto una musica che si presta sempre e comunque ad una buona causa, divertendo si, ma facendo anche riflettere.

Movin’k – Waitin’ 4 the dawn (Autoproduzione)

Complessità cosmica che si respira nel viaggio e attanaglia fino ad inglobare attimi di vita vissuta in concentrazioni che guardano allo spazio, alle stelle e alle esplosioni nell’oscurità in una formula granitica, pensata e influenzata da compartimenti che non sono stagni, anzi si amalgamano e considerano il tutto un’opportunità di ampliamento, di liberazione, di sfida, in un disco, il nuovo dei Movin’k che si trova ad essere concentrato di storie in una bellezza quasi accecante, un disco che si apre a più ascolti e si divide in tre parti fondamentali Caduta, Viaggio e Liberazione, quindi un percorso, quindi l’esigenza di mettere in musica un’astrazione concettuale che possiamo vivere però quotidianamente seguendo i dettami di gusti che influiscono e si fanno influire; tra rock, hard, elettronica e ambient i valdostani riescono nell’intento di dare vita ad un vero e proprio concept album, un disco sulla perdita e l’abbandono e sulla speranza di rinascere e di riprovare nuovamente a vivere dopo le vicissitudini del mondo moderno, dopo tutto questo gridare senza ascolto alcuno.

 

Redeem – Awake (Bob Media)

Svegliamoci prima che sia tropo tardi, grazie a suoni granitici e incisivi, compressi e dal puro sapore americano, distorti e aggressivi che ricordano le cavalcate poderose di band come Audioslave  e Foo Fighters; per il trio svizzero Redeem questa è la terza prova da studio e il gruppo riesce per l’occasione ad affiatarsi e ad affilarsi, in una continua ricerca di suoni che possono essere immediati, ma allo stesso tempo pesantemente rock, influenti e ben testati attraverso i dodici pezzi che si dipanano in un solo sospiro attraverso i canali della nostra mente, abbarbicandosi in un posto d’onore, tra le migliori cose di un certo spessore, ascoltate fino ad ora, un mix stritola cuori in grado di far apprezzare una musica ingegnosa e rigenerante, congegnata per l’occasione in un’ispirazione protesa a ricoprire attimi di luce nell’oscurità, una musica dal sapore anni ’90, che lascia spazio anche ad un pezzo totalmente cantato in italiano La Luna, prevedendo, forse, nuove e continue sorprese in futuro.

Un disco che apre con l’esaltante Insanity fino all’ultimo saluto di The last goodbye in versione acustica, un concentrato di forza ed energia, vitalità che si esprime tra il vibrante suolo e le aspettative per un futuro diverso.

Project-To – The White Side/The Black Side (Machiavelli Records)

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Opera a 360 gradi che coglie l’attimo e lo amplifica, incentrando una produzione artistica sul sulfureo bisogno di non dare alla musica una sola connotazione uditiva, ma una vera e propria immersione visiva attraverso paesaggi elettronici, ricchi di stimoli e alimentazioni contenutistiche, per questo progetto nato dal collettivo torinese e che spazia in modo superbo, altalenando i bisogni attuali e dando vita ad un doppio disco, bianco e nero, la classicità dei due opposti, qui proiettata verso il futuro, un live set duraturo che connota la capacità dei vari musicisti di creare substrati di materia che via via, con lo scorrere delle canzoni, si appropriano del loro modo di essere, più sincero, per un album monumentale, frutto di collaborazioni in diversi campi artistici: Riccardo Mazza alle manipolazioni elettroniche, Laura Pol alla fotografia e ai video fino a completarsi in toto con Carlo Bagini al piano e alle tastiere; un disco non di facile interpretazione che incontra per certi versi le esigenze dei Chemical Brothers, incorporate alle lisergiche ambientazioni dei Modeselektor per un viaggio interstellare tra galassie da scoprire e nuovi orizzonti da percepire, il tutto in una formula digitale e proiettata nel futuro, tra sensazioni post atomiche e rigenerazioni cosmiche.

Distacco – 17 lati (Autoproduzione)

Il Distacco è il suono ingravidato di Seattle degli anni ’90, è recuperare dalle macerie un’attesa tanto caparbia quanto sperata, alla ricerca di un’esigenza di riscoprire un genere, cantato rigorosamente in italiano, una passione prima di tutto che si trasforma in sudata energia a ricomporre gli anni andati.

In questo breve, ma sostanzioso EP, ci sono influenze che vanno dai Nirvana per passare ai Pearl Jam fino al rincorrere una musica che approda direttamente a lidi nostrani, Verdena su tutti, quelli di Solo un grande sasso però, che lasciavano sprazzi di psichedelia cosmica pronta ad ammaliare e a colpire profondamente, in una ricercata attesa che si fa carico di egregie similitudini con i nostri varesini; quest’ultimi portatori di un suono carico e sofferto, decisamente svincolato dalle produzioni odierne e ricco di quel calore che sa di adolescenza.

Una bella prova d’esordio, che lascia intravedere una ricerca futura, magari verso un’elettronica più dichiarata e una convinzione che avrà nella maturità il suo punto d’appoggio principale; non ci resta che aspettare il disco completo e ne sono certo avremmo ancora di che parlare.

So does your mother – Neighbours (Autoproduzione)

Debutto discografico per la band romana che fa parlare di se grazie alla commistione onnipresente di prog dal sapore d’altri tempi e l’unione con l’elettronica in musica che caratterizza le produzioni più odierne, specificandosi nel genere e facendo del loro collettivo un animale festaiolo dance che sfora il coprifuoco e capace di donare certezze e ospiti illustri come Ike Willis, storico cantante e chitarrista di Frank Zappa e le cantanti Ghita Casadei e Maria Onori.

I vicini escono con la primavera, stagione di rinascita e conquiste, il modo con cui i nostri si rivelano è uno sbocciare di un albero chiuso dal tempo dell’inverno e pronto a scuotersi lentamente per lasciare agli occhi i migliori fiori da assaporare in una musica che ha una forte connotazione internazionale, spruzzate di jazz, funk e grande capacità intrinseca di mettersi alla prova, di conquistare l’ascoltatore con ritmi in divenire e sonoramente persistenti e incisivi.

Un disco per far ballare, pensato per stupire e racchiuso da un cofanetto in un packaging inusuale e di sicuro effetto, segno dei tempi che verranno e di una stagione nuova da assaporare.

 

Electroadda – Elecctroadda (Autoproduzione)

Un disco cangiante e roboante che raccoglie la lezione del rock del tempo che fu e lo trasforma in una musica principalmente di sostanza, capace di indagare nelle coscienze e scaraventare al suolo il tempo perduto con capacità espressiva, per un gruppo che di base, ha delle solide fondamenta costruttive ed esigenze che intersecano il tempo perduto tra psichedelia anni ’70 e l’esigenza di sperimentare sempre e comunque grazie all’utilizzo di un’elettronica mai fine a se stessa e che consente alla band, che alla fine è solamente un duo, di sovrapporre substrati emozionali in musica per dare vita ad un wall of sound pazzesco e sentito.

Cinque pezzi che sono il marchio di fabbrica e la carta d’identità per le imprese future, cinque pezzi che si fanno ascoltare e riascoltare, carpendo le sfumature, raggiungendo l’infinito, un labirinto di potenzialità da incanalare per risultati che in futuro, saranno ancora più sorprendenti.

Metamorfosi – Chrysalis (Mauna Loa)

Rock in evoluzione che non si ferma alle classificazioni di genere, ma ricerca costantemente una propria strada da seguire in territori inesplorati, con una voce che vince sin dalle prime battute e una band che cavalca l’onda contornando di magia questo nuovo disco dai tratti cangianti e mutevoli, dal suono fortemente maturo e portatore di un colore contaminato e ricco di necessità nel creare un ponte direttamente nell’atlantico per dare una sferzata di internazionalità alla proposta che si fa via via più importante e riconosciuta.

Un disco quindi che sa cambiare, camaleontico, pronto a scoppiare quando meno te lo aspetti, la crisalide che diventa farfalla e il morire della notte per lasciare spazio al giorno, una roboante discesa e risalita accompagnata da archi e sintetizzatori, sfumature di jazz e rock colto e raffinato, meticoloso e strutturato, per dare spazio a ciò che è e che sarà possibilmente raggiungibile.

Otto nuove tracce cantate in inglese questa volta, che si aprono con Essence e chiudono il cerchio con la meraviglia di  The moon is kiddin’me; a segnare nuovi spazi di creazione, a sancire l’indissolubilità di un credo consapevole delle proprie potenzialità.

Braski Lacasse – So afraid to be alone (Autoproduzione)

Band mascherata all’insegna del divertimento in una commistione di generi rock che si fonde con gli inizi degli anni ’70 fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per Kiss, Turbonegro e Muse e dando vita ad uno spettacolo danzereccio che fa uso di proiezioni di filmati d’epoca e linguaggio teatrale all’insegna di un’impostazione sopra le righe e di sicuro impatto in chiave live.

Un disco mutevole e cangiante che lascia spazio a momenti di respiro e melodia sonora per passare repentinamente a ritmi martellanti e testi disinvolti che parlano di rapporti d’amicizia che finiscono male, tra opportunismo e lealtà mancata, una ricerca costante del proprio posto nel mondo, tra musica scanzonata e testi diretti ben impostati, dove il sapore dell’amaro in bocca scivola velocemente per lasciare spazio ad un sorriso, quel sorriso che ci accompagna già dalle prime note di I loved you so fino alla Wild and lost che chiude il cerchio e muta i sogni in qualcosa di concreto, con la testa alta e gli occhi protesi al futuro attraverso quel viaggio chiamato vita senza fine e dalle grandi aspettative.

Boskovic – A temporary Lapse of Heaven (Autoproduzione)

Luca Bonini stupisce per scelte stilistiche che ammiccano al passato, ma che fanno sfoggio di uno stile che prende il sopravvento nella ricerca di un’unicità uscita a dismisura lungo le tracce di questo nuovo e primo disco d’esordio A temporary Lapse of Heaven.

Un disco dall’immaginario vivace che rievoca in modo naturale i fasti e le bellezze degli anni ’60 approdando ai ’70 toccando Pink Floyd e Beatles influenzando il tutto con un tocco personale e deciso già nell’apertura affidata alla strumentale Just in Town che segna l’approdo lisergico e psichedelico di Shine on you crazy diamond e della discografia più recente di Gilmour, echi di Deep Purple e The Who per far quadrare il cerchio e non concedere nessuna distrazione all’ascoltatore.

Un album che sa di storia, dieci tracce che aprono la via al cantautorato più sentito e in un certo qual modo si differenziano per grande maestria nel comporre sezioni ritmiche e arrangiamenti che danno un senso di maturità e completezza al tutto.

Un mix voluto e studiato di passato e presente, una reazione ben più grande nei confronti della vita e un senso dato alla natura che ci attrae e allo stesso tempo ci comanda, disinibita madre di tutti noi in costante cambiamento, tra un rispetto non sempre avuto e un futuro che la vuole ancora protagonista; non un disco naturalista, ma un disco che vuole bene all’umanità e per l’umanità.