Devil Whitin – Not Yet (Autoproduzione)

Potenza ossessionata e fuori controllo nel primo disco della super giovane band bergamasca Devil Whitin, un album graffiante che mescola elementi del passato con quelli di un presente che vede alternarsi nelle influenze gruppi come Iron Maiden passando le sonorità più attuali dei tedeschi Rammstein in un conflitto luce oscurità che impressiona per potenza espressiva e rarità da cogliere e far proprie. Not Yet non presenta nulla di nuovo sotto il sole, ma quello che già c’è è fatto bene davvero in un’esaltazione interessante che richiama energia correlata alle situazioni di vita e rende l’approccio di questo gruppo di sicuro impatto e dal forte potenziale intrinseco pronto ad esplodere in un eventuale full length. I nostri sono dotati di carte in regola per comunicare condizioni esistenziali da poter assaporare nella maturità condivisa e questo album resta comunque un grandissimo punto di partenza.

Mambo Melon – Metro Jungle (Factum Est)

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Entrare nella giungla e disperdersi nel suono fatto di voci lontane e uccelli che cantano e danzano grazie al ritmo tribale, al ritmo che di sottofondo si insinua dentro di Noi e ci rende partecipi di un qualcosa che a malapena riusciamo a comprendere.

Questi sono gli sperimentatori Mambo Melon, sono di Cuneo e soprattutto sono solo in tre, capaci di rotazioni stellari e tripudi di battiti sovracorporei che si insinuano lentamente e non ti lasciano andare via, sono capaci di quella spontaneità racchiusa nelle colonne sonore dei film italiani targati ’70 come del resto sono capaci di improvvisazioni sonore che vanno ben oltre il contagio.

Sono tre uomini questi che amano divertirsi con la propria musica, lo fanno in maniera originale e si contorcono in assetati campionamenti sbarellati da sintetizzatori in prima linea e convincente ironia di proclamazione, atta a trascinare in modo si aggressivo, ma del tutto naturale, un mood essenzialmente fatto di colori sgargianti.

Un disco strampalato e carico di vigore, leggero e allo stesso tempo metafisico, dove l’insorgere del sole tra le robuste mangrovie non è altro che un nuovo modo per gridare alla vita.

Il vuoto elettrico – Virale (Banksville Records/DGRecords)

Trattenete il fiato, non respirate, fate finta che qualcosa sia rimasto di Voi laggiù nel baratro tra il vuoto più totale, dove l’assenza di punti fermi e singolari ci porta in un abisso di disperazione, grida e schiaffi da una realtà che fa male, ingloba e sputa ogni nostra colpa, ogni nostro errore fino a condensarci in goccia di niente.

Il vuoto elettrico crea sostanze multiformi di rock incrociato all’hardcore e allo stoner di quel rock borderline innestato ad una scena straripante di parole e significati che si incastonano miracolosamente nella mente di chi ascolta senza mai lasciarli andare via.

L’esempio si trova già in Il ruolo del perdono, quando la voce si staglia incontrollabile gridando Perché parlare equivale a non parlare.

In queste parole è rinchiusa tutta la poetica ermetica e fatta di ossimori che racconta il nostro Paese e ciò che ormai non c’è più della nostra Italia, sfiorando i Marlene di Catartica, Massimo Volume, ElettroFandango e Teatro degli Orrori su tutti.

La poesia gridata del Il Vuoto elettrico si concede, osa e non demorde: E’ solo quello che non vedi che ti fa paura? canta una voce lacerante in Le lacrime di Dio oppure ancora Sei sdraiato per terra, immobile, non riesci a muovere un muscolo e il letto è ad un passo da te in Asso di spade; sono solo piccoli esempi di un qualcosa di più ampio e generoso, di naturale bellezza e inevitabile  abbandono.

Un gruppo da tenere sott’occhio, perché in pochi come loro sanno ancora comunicare uno stato di disorientamento totale così accentuato e volutamente reale da dove partire per essere protagonisti della storia in cui viviamo, la nostra storia e non semplici burattini apatici disillusi.

INDIANA – Indiana (Autoproduzione)

Secondo Ep dopo La strada per gli INDIANA, band bergamasca che va oltre la concezione del pensiero e come in una visone onirica ci trasporta lungo i flutti di un mare che non risulta essere sempre calmo, ma un insieme di vortici tuonanti e di melodie che non possono essere incastrate o scelte per la loro eterogeneità e tantomeno non possono essere incasellate in generi più o meno alla moda.

Certo c’è del cantautorato e certo c’è la sperimentazione, si tratta quindi di una psichedelia musicale? No perché appena ti convinci che il tutto potrebbe incasellarsi in un dato certo, i nostri sanno virare la loro posizione, regalando sonorità che stupiscono e inquadrando un quadro un attimo prima sfocato.

Questo procedimento si perpetua per tutti i loro pezzi, sei, che abbracciano sperimentazioni sonore legate quasi ad una matrice fanciullesca un sogno da cui non ti vuoi di certo svegliare.

Un mondo parallelo, un sogno ad occhi aperti, Magritte, Nolan, c’è Memento, ci sono i parallelismi e le dimensioni oltre la dimensione; ci sono poi questi tre giovani bergamaschi che  sanno cesellare e stupire, preparandosi un posto nelle avanguardie italiane.

Postit – Aroma(n)tic People (Factum Est rec.)

L’etichetta Factum Est rec. , pezzo di un unico corpo Jestrai, presenta il quarto lavoro a media distanza di una band proveniente dal Molise attiva dal 2007 i Postit.

Rock strumentale, post rock, chiamatelo come volete sta di fatto che i nostri sono incanalatori sani di una certa energia nascosta che si fa esplosione quando meno te lo aspetti, quando le tue corde avranno smesso di parlare, lasciando spazio alle vibrazioni sonore che ti sovrastano in un lungo incedere discostante.

La band è composta da Massimiliano Ferrante, Luigi Mosca, Daniele Marinelli e Domenico Ciaramella, propongono un suono che deve ricercarsi in primis nel fondamento prog rock di matrice internazionale targato ’70  sfiorando mostri sacri contemporanei e non, tra questi Sigur Ros, Mogway, passando per Zappa e King Crimson.

In Aroma(n)tic People la musica è una commistione di generi che si intersecano tra di loro creando direttrici da seguire e da comprendere a più livelli, tra interventi di jazz d’avanguardia e post rock sviscerale.

Come dimenticare poi che a regalare il valore aggiunto al tutto c’è la chitarra slide di Roberto Angelini e la voce di Yani Lombardi nella traccia di chiusura Midnight in San Nicola.

Un disco da ascoltare più volte, un contatto ultraterreno con qualcosa di indefinito, quasi spaziale per certi versi; condensando la storia della musica, intrappolandola e facendola uscire come energia che ci fa sentire vivi.

 

Moostro – Moostro (Autoproduzione)

moostroo[1]Questo è Lindo Ferretti che incrocia il cantato-preghiera con il punk più nervoso e malato di CCCP, un suono curato, ma allo stesso tempo sporco, un odore di putrefazione che si accosta al profumo di una rosa appena sbocciata, un’estate che sconfigge l’inverno per lasciare posto al bello e al nuovo.

I “Moostro” con questo loro primo full lenght ci regalano emozioni che si perpetuano lungo le nove tracce del disco, un’assordante e silenziosa melodia che ci magnetizza e con ironia importa caratteri adolescenziali nel passaggio  all’età adulta.

Si ascolta con leggerezza “Il prezzo del maiale” come “Silvano pistola” anche se sono pezzi che ci fanno riflettere sul movimento circolare della vita che tutto prende se non sei tu a far qualcosa per cambiare.

Ecco allora che arrivano dirompenti “Underground” e l’autolesionista “Mi sputo in faccia”…controvento, un inno generazionale sulla disillusione e l’ineluttabilità.

Un disco che brilla di luce propria, particolare e azzeccato per il nostro tempo.

E poi quel cane in copertina, grosso, lento, con il pelo fin sopra gli occhi, non può vedere e non può sentire, forse quel mostro siamo noi?

Fusch! – Mont Cc 9.0 Second Act (Jestrai Records)

Questi Fusch! sono un grido di liberazione che pavimenta energia di ascolto in ascolto,  attimo dopo attimo.

Li avevamo lasciati con lo sperimentale primo atto di una trilogia che raccolti i frutti delle premesse viene a macerare in questo naturale proseguimento un disco più maturo e più pensato.

La sperimentazione resta comunque in primo piano dove i suoni sperduti di una cascina in montagna regalano intrecci spaziali e progressive energie da incanalare in un unico pezzo.

Ecco allora che nasce l’idea del concept, un’idea di un qualcosa che non ha mai fine, un’idea unica, sperimentale, quasi accecante: entrare in un tunnel dai colori cupi, che non ha arrivo.

7 pezzi, che si devono anch’essi ascoltare senza premere pausa nel lettore, un’energia catalitica nata sotto il segno della psichedelia cosmica che affonda radici negli anni ’70 per poi raggruppare ciò che di meglio si può ascoltare nel Krautrock e in parte nei più moderni Low.

Refrain ossessivi e uso di synth mescolano cocktail in “Peso Piuma” e “Underground”, decadenza post-punk si legge in “Signore salga in auto”, “Stelle” fa quasi rima con Ferretti mentre la chiusura è affidata all’acustica “L’Ines”.

Piccole scintille di aria buona per i Fusch! in attesa del terzo atto perchè poi la curiosità sarà ancora tanta nel provare ad ascoltare l’intero lavoro, l’intera trilogia, senza interruzioni, entrando in un vortice di suoni che ammalia e riempie.