Aldo Betto w/Blake Franchetto & Youssef Ait Bouazza – Savana Funk (Brutture Moderne/Audioglobe)

Disco collettivo che interseca i principi fondamentali di un genere in divenire riappropriandosi, allo stato primordiale, di costrutti necessari per creare una musica d’insieme arrangiata e suonata dove gli elementi sovrapposti si sfidano creando un’amalgama geniale che vede le differenze attenuarsi in nome di una musica fatta d’ingegno e di colori, capace di penetrare attraverso un eccellente strumentale dove i nostri, al secondo disco, regalano una sospensione ricca di influenze, anche cinematografiche che vanno dal western passando per l’elettronica e il funk rock in un’imprevedibilità di fondo che fa scuola e che consegna agli ascoltatori dodici tracce sonore che sono il risultato di una sintonia invidiabile e di un approccio teso fin dall’inizio, capace di portarci verso mondi lontani, comodamente seduti sul nostro divano, tra un woodstock moderno e una sperimentazione in continua simbiosi con la terra che ci circonda.

Davide Iodice – s/t (Seahorse Recordings/Audioglobe)

L'immagine può contenere: natura

Miscugli eterogenei di musica classica e musica elettronica in compartimenti aperti che lasciano presagire futuri filtrati da luce soffusa che illumina la steppa innevata e lascia, al proprio passaggio, orme di una meraviglia strutturata e soppesata, affondando i colpi, affondando una voce che si sposa con una musica quasi eterea e ansiosa di contaminarsi ad influenze che per certi aspetti ricordano le sperimentazioni di un primo Battiato, quello lontano dalla forma-canzone pop e più vicino a contesti lisergici e pulizia del suono che vuole ricercare, nella commistione di genere, un proprio punto di fuga, un punto di atterraggio da dove poter meravigliosamente proclamare il proprio senso di libertà profondo in comunione con la natura circostante. Un disco non di facile ascolto, richiede più tentativi per immagazzinare l’insieme di sfumature che si protraggono all’orizzonte, di certo il nostro Davide sa confezionare una prova stilistica davvero notevole, caratterizzante e portatrice di una bellezza inconfondibile e originale.

twoas4 – Marea Gluma (Libellula/Audioglobe)

twoas4 marea gluma

Opera onnivora che spazia suadente nelle intercapedini discostanti e tangibili spiazzando l’ascoltatore e portandolo in un vortice emozionale da percepire e interpretare in composizioni quasi sbilenche, ma che ambiscono ad una scelta d’amore poetica ed elevata dove l’osare e il provare fino in fondo porta a conseguenze strepitose e d’avanguardia. Questa è la nuova prova dei twoas4, Marea Gluma è un disco liquido e metafisico che si concentra negli spazi e in questi stessi spazi si disintegra e cambia forma intensificando il proprio approccio nei fatti della vita di ogni giorno, senza tralasciare la forte componente artistica che si ricava dalla visione d’insieme di un booklet bellissimo che contiene immagini di quadri e un racconto dello stesso Oscar Corsetti anima fondante della band che assieme alle elucubrazioni sonore di Alan Massimiliano Schiaretti e la voce di Luminita Ilie, spazia da scene crepuscolari al post rock metallico e inondante di gruppi come Godspeed you!Black Emperor passando per le atmosfere sognanti dei Lali Puna o dei Blonde Redhead in una prova che non trova incasellamento certo, ma piuttosto si immola ad opera che vive di vita propria in una contesa vitalità di fondo che incontra culture, confonde, muore e rinasce in un cerchio concentrico che sa illuminare.

Massimiliano Larocca canta Dino Campana – Un mistero di sogni avverati (ABuzzSupreme)

Massimiliano Larocca affonda le proprie radici letterarie concatenando il suo stile da cantautore profondo e impegnato con le vicissitudini della vita al limite del poeta italiano, mai totalmente emerso, Dino Campana, per un disco appassionato, vivo e sincero, che prende i testi più conosciuti di Canti orfici e altre poesie e li sperimenta sotto forma di canzone cantautorale, impreziosendo le dinamiche e valorizzando quella capacità primaria del toscano, già fattosi notare soprattutto con l’album del 2014 Qualcuno stanotte, di sintetizzare con savoir faire impegnato un pensiero che scava nel profondo della terra e abbaglia di luce misteriosa una condizione umana di difficile interpretazione; lo fa tuffandosi nella difficoltà dell’impresa di trasportare poesia in canzone e strizzando l’occhio a mostri sacri del tempo passato, rovistando tra le introspezioni musicali di Fabrizio De André e creando un seguito di illustri artisti a condividere forme e pensiero, valore della proposta e soprattutto irripetibilità della stessa, da Nada a Riccardo Tesi passando per I Sacri cuori, Cesare Basile e Hugo Race, artisti accomunati dal voler trasmettere all’ascoltatore un pezzo di cielo da condividere, lassù oltre le stelle, attraverso quel prosimetro di abbandono e solitudine il nostro Massimiliano crea la materia per i nostri sogni, raccontando attraverso le sofferenze di Campana, un mondo fatto di simboli e paure, le nostre forse, che sperimentiamo ogni giorno attraverso un’emarginazione sempre più in vista, anche se più subdola e sottile di prima, una trasposizione quindi ben ragionata che ha il pregio, non banale, di penetrare i cuori e fare in modo che i nostri occhi possano vedere i colori della vita in un altro modo.

Bea Zanin – A Torino come va (Libellula/Audioglobe)

Dopo l’omonimo ep autoprodotto del 2014 la vicentina di origini, ma torinese d’adozione, Bea Zanin, già violoncellista con Daniele Celona, Bianco e Luca Morino, solo per citarne alcuni, compie l’impresa di creare e dare vita ad un album multistrato in grado di essere diretto e nel contempo anche riflessivo, la nostra si abbandona a pensieri cittadini che inglobano l’energia di una città in costante e continuo cambiamento, raccontando di amori, disillusioni e speranze anticonformiste che superano la prova del già sentito per consegnare all’ascoltatore una poesia urbana deflagrante e nel contempo elegante, capace di coniugare le atmosfere elettroniche degli anni ’80 e ’90 in maniera sopraffina, tra ispirazioni analogiche e potenza espressiva cesellata a dovere da Diego Perrone già con Niagara, Medusa e Caparezza  la nostra si abbandona da Plaza Victoire, fino a Ci conosciamo già, passando per Ho nostalgia e Anni, in un disco suddiviso volutamente in tre capitoli: De Urbe/De Universitate, Ottimista mal ciapà e Musii o l’amore, tre capitoli che rispecchiano passati di vita che come un’illusione costante riescono a renderci più vivi e forse anche un po’ più liberi.

Tunguska – A glorious mess (Promorama/Audioglobe)

Claustrofobici labirinti mentali si posizionano al centro della foresta e scavano sotto le foglie, sotto il terreno alla ricerca di muri di suono da infrangere grazie ad impianti chitarristici che si dimenano creando intersezioni , strutture molecolari, ben udibili, aggrappate al filo del nostro mondo, un mondo risputato nella nebbia da dove tutto è venuto, un mondo intriso di significati, capace di mantenere disequilibri in continua evoluzione e confronti apparenti con la società ormai indistinguibile.

I Tunguska entrano di prepotenza in un concentrato di visioni sotterranee, lo fanno in maniera diretta senza fronzoli, grazie ad uno shoegaze che incontra le emozionalità degli anni ’80 per un duo che dopo un anno di lavoro riesce a scoprire la luce tra le lacrime della pioggia, in molecole proporzionali soltanto alla loro grandezza, per un disco che raccoglie l’enorme eredità del passato, la trasforma, la eviscera e ancora disubbidiente e insoddisfatta viene appesa al chiodo della ragione nel muro della nostra anima.

Ascoltare A glorious mess è far parte di un tutto incontrollato, stupefacente e magnifico, restarne senza sarebbe una privazione.

GOMMA – USCIAMO!ORA! (Libellula Label/Audioglobe)

E’ il momento di togliere la testa dalla sabbia e uscire allo scoperto, è il momento di fare il salto artistico e di qualità, perché qui la qualità è tanta e si respira in ogni traccia di questo EP dei GOMMA, duo bolognese giovanissimo all’anagrafe, 41 anni in due, in grado di ridare un senso alla parola pop fin dalle prime battute riscoprendo la bellezza della semplicità, dei testi diretti che si raccontano e si fanno raccontare e di quella capacità di immediatezza invidiabile e carica di sorprese per un piccolo disco che ha il sapore dell’estate, dei tavolini da bar posizionati lungo i quartieri storici delle città e porta con sé quel profumo post adolescenziale stratificato a chitarrine acustiche da spiaggia che non si chiedono troppo ma fanno un gran figurone intessendo piccole trame elettroniche ben studiate e soppesate in grado di esaltare il risultato finale in un’unica e grande festa che si muove molto bene in pezzi come la title track Usciamo!Ora! passando per Stasera, attraverso le apparenze ingannevoli di La pelle umana è tutta uguale, fino a ricongiungersi nel finale con un’ingenuità che fa scuola con Sapore per un disco che ha, come unico punto negativo, se lo si può definire tale, quello di essere uscito con l’inizio dell’Autunno.

Proclama – La mia migliore utopia (VREC/Audioglobe)

I Proclama si affacciano al futurismo con l’intenzione di trasportarlo dentro all’epoca della modernità, immagazzinando una capacità quasi unica ed essenziale nel fare un buon pop rock sottolineato da testi importanti che abbandonano una realtà non voluta, tentando di cambiare in modo indelebile la propria vita, lasciando da parte le mode e l’utopia della perfect life per riprendersi con presa sicura il momento in cui viviamo e consumandosi nell’ardore del raccontare cosa ci manca e per che cosa, siamo qui noi, a combattere.

Sono tredici pezzi per la band torinese attiva dal 2011, tredici pezzi che inglobano le macerie di una vita vissuta e scalciano al suolo l’immobilità del presente, un presente da vivere, un presente da assaporare e cambiare, ritornare al colore a cui siamo abituati, ritornare alla sostanziale bellezza, fuori dagli schemi precostituiti, fuori dall’edonismo sfrenato, tra convinzioni da sradicare e mete da raggiungere, tra l’iniziale e emblematica Come un film raggiungendo una Non è finita che racconta proprio di quegli occhi da riaprire per tornare a vedere finalmente i colori che ci sorprendono, per poter ritornare finalmente ancora indietro liberi, sentire in faccia il suono della vita e pensare ad un finale che non sarà mai e poi mai ineluttabile.

Endless Harmony – Hyperspace (VREC/Audioglobe)

Rock poderoso che coinvolge fin da subito grazie a cavalcate in grado di regalare emozioni provenienti direttamente dall’iperspazio e contagiando grazie a viaggi cosmici un mood e uno stile che non ha confini, anzi che respira di un’internazionalità altamente significativa in diretto contatto con band che hanno fatto la storia della musica rock anni ’90 come Skunk Anansie o Cranberries su tutte.

Il gruppo veronese degli Endless Harmony, che anagraficamente parlando come età si aggira attorno ai venti anni, intasca una prova di indubbio impatto emozionale grazie anche alla presenza di un produttore artistico dal nome importante, Pietro Foresti, già collaboratore di Korn e Guns N’Roses per citarne alcuni, riuscendo a valorizzare al meglio le doti canore dell’ italo/dominicana Pamela Pèrez accompagnata per l’occasione da degli ottimi strumentisti in grado di ridare luce al meglio del tempo trascorso e generando di conseguenza un punto essenziale da cui partire per formare una musica d’insieme di ampio respiro e sicuri traguardi.

Reduci i nostri da un’apparizione fugace al Pistoia Blues, vibrano fendenti con l’apertura I know fino a Slave inside, cover rivisitata in inglese di Schiavi Moderni, pezzo della band toscana Rhumornero, per un disco strappa applausi in grado di accontentare anche i palati più esigenti.

Circolo Lehmann – Dove nascono le balene (Libellula/Audioglobe)

Sanno parlare di posti lontani, di territori che fanno parte però del nostro vivere quotidiano, quei territori dell’anima da esplorare attraverso elucubrazioni prog che si spingono ben oltre le maree e ci lasciano con il fiato sospeso ad immortalare il momento, a segnare in modo indelebile una contaminazione che si innesta dentro al sogno psichedelico e attraverso una folata di vento, riesce a ristabilire equilibri scavando nelle passioni dei giorni perduti.

Ascoltare il Circolo Lehmann è prima di tutto fare un passo indietro, negli anni ’70 italiani, tra suite sonore che meritano più ascolti per essere interpretate, una musica che poi si proietta nei giorni nostri toccando le corde di un cantautorato alla Niccolò Fabi in divagazioni alla Paolo Beraldo con suoi Public, per passare prepotentemente ad una quiete acustica che ammalia e sincera commuove, in una ricerca stilistica dei pezzi che incontra la letteratura e il conflitto eterno tra il criptico e l’evidente in una dicotomia sogno e realtà che si respira in apnea lungo tutte le undici tracce che compongono questa piccola opera seducente, dalla bellissima e incontrastata Marlene fino a Cosa ci siamo persi a rincorrere un vuoto che ci vede protagonisti per passare ad osservare l’oceano in Dove nascono le balene, pezzo di pregevole fattura che da il nome al disco e che in qualche modo è il sunto di un pensiero a tratti oscuro e di denuncia, che si contorce nel suo abbaglio e ritorna nelle profondità degli abissi, a ristabilire una comunione d’intenti con le nostre aspirazioni future.