Ambramarie – Bruciava Tutto (Autoproduzione)

Bruciava tutto è il suono rock mescolato alla poesia esistenziale, quella da assaporare nell’attimo, nelle incursioni della vita che inglobano il nostro stato mentale ed emozionale all’interno di periferici mondi da cui emergere, da cui lottare per poter vivere ancora, Bruciava tutto è la sostanza energica e allo stesso tempo fragile, distaccata, viva, da comprendere e far propria e dove l’energia incanalata è un susseguirsi di vicende personali che in modo del tutto naturale vengono trasposte in musica, lasciando contenere una forte dose di personalità, un desiderio di fondere le pulsioni primarie con il sapore di un qualcosa che non c’è più, con un qualcosa di freddo che ha bisogno di trovare la strada e il calore per riavvicinarsi alla propria casa; per spiegarci questo Ambramarie usa, a tratti, testi ermetici contrapposti ad un qualcosa di più diretto e consolatorio in un vago migrare verso forme di crescita personale che ambiscono alla fusione di un mondo che non le appartiene fino in fondo, da quell’essere Diversa passando per l’incantevole Nella stanza buia cantata con Omar Pedrini, fino al finale fulminante di Bruciava tutto per un insieme di pezzi che si affacciano alla vita e per la vita si consumano, creano, esistono.

Felidae – Baby Someday (Anaphora Records)

Omer Lichtenstein ormai qui sulle pagine di Indiepercui lo conosciamo bene, questo poliedrico personaggio musicale, originario di Tel Aviv, ma residente a Berlino, ci ha deliziato, in passato, con il suo personalissimo modo di intendere la musica e ora con questa nuova impresa, Baby someday, il nostro interagisce maggiormente con il mondo che lo circonda, consegnando agli ascoltatori un album che si affaccia costantemente sulla new wave, anche se, soprattutto in questa prova, la psichedelia di fondo e la cura del suono vintage targato ’70, non manca di certo, anzi questo lavoro denota una ricerca di fondo che acquisisce colore e pian piano si apre a cambi di prospettiva e aperture culturali verso l’oriente, un disco che già con la splendida traccia iniziale, Barbaria, mostra le proprie potenzialità, proseguendo il proprio percorso nell’infinita ricerca personalissima di un punto d’approdo alternative e multi-kulti, privo di barriere ideologiche e musicali, aperto ad ogni forma di sperimentazione e contaminazione dove appunto le innovazioni sonore sono all’ordine del giorno e dove le divagazioni tra passato e presente trovano qui espresso il concetto di apertura mentale, che travalica qualsiasi forma di pensiero concreto.

Brilla – Brilla (Autoproduzione)

Pensieri, legami e mancanza d’aria che si respira con fagocitante attesa per un cantautore che vive grazie ai rapporti, alla quotidianità, aspettando di essere parte preziosa del proprio cammino, una chitarra e una grancassa ad accompagnarlo nei live, un disco invece più raffinato e finemente elaborato questo, in grado di proiettare il nostro in una costruzione di un proprio stato mentale, tra gli intrecci dell’amore e l’opportunità da cogliere nel riuscire a far propri gli insegnamenti del tempo, sostanza quindi, ma anche amore per le cose più semplici e cristalline, quelle che ci fanno stare insieme, quelle che ci fanno abbracciare quando il mondo sembra caderci addosso, non a caso il nostro ama Battisti, l’immediatezza fatta canzone e gli spiragli pop di aperture da ascoltare, un cantautore che ci insegna a fermarci, a pensare, a guardarci attorno sorprendendoci, tra le avventure di Agapornis fino a 25 Aprile, passando a quella Il Surgelatore cantata con Verano, Anna Viganò, per un disco prodotto e arrangiato da Giuliano Dottori e mixato da Antonio Cooper Cupertino, un album pieno di vita e di rapporti, pieno di essenze da respirare e da lasciarsi vivere.

The GrOOming – Kontainer (Anaphora Records)

Si tendono geometrie esagerate e si impalca la sonorità sospesa sul filo del rasoio, di un colore cangiante, di un colore mutevole e appassionato, immagazzinato e arcano per un ep che vede un’evoluzione per la band dai mille volti The GrOOming, una band che ha saputo nel tempo darsi sempre nuovi slanci di sicurezza e malleabilità dichiarata, vigile presenza per intersezioni parallele e rapidità di viaggio innestate fino a Berlino, questa volta alla ricerca di una nuova voce e trovata in quella di Omer Lichtenstein già leader dei tedeschi Felidae Trick per un percorso sinuoso e prorompente che a tratti ha il sapore del nudo crepuscolare, di una bellezza quasi mistica e sospesa, di una bellezza color aurora che mescola i suoni elettronici ad una wave sintetizzata a dovere, senza troppo chiasso, ma piuttosto creando l’atmosfera giusta, da Alpha Dog fino a B.R.O, passando per la bellezza di Paris (Eternal Life) i nostri lanciano un disco che in fin dei conti è un EP, dove la sostanza sonora viene a patti con il nostro mondo interiore, cercando meraviglie e sgretolando il resto circostante.

Mike Spine – Forage&Glean (Global Seepej Records)

Listener

Album di consacrazione che incrocia il miglior folk passato e presente con un parte più oscura e cupa per il nuovo doppio volume di Mike Spine a raccogliere la testimonianza di tutto ciò che è stato dopo dieci album e più di venti anni di carriera in giro per il mondo ad aprire concerti di Mike Watt, Los Lobos, Stef Burns solo per citarne alcuni tra un mare di nomi in una biografia sterminata.

Le canzoni sono racconti di vita, sono le grida di una classe operaia tra i mattoni in costruzione dei quartieri industriali, sono i suoni che inglobano un paesaggio metropolitano e periferico, nella solitudine di un folk raccontato per immagini tra ingiustizie di ogni sorta e il desiderio di riscatto, il desiderio di difendere gli ultimi e i più deboli, senza chiedere nulla in cambio, ma piuttosto rinvigorendo una pura esigenza che si scontra con le necessità della vita di ogni giorno.

Due capitoli che virano quindi dal cantautorato più solitario, al contorcersi al suolo in un rock più oscuro che ricorda Jimmy Gnecco e i suoi Ours, parallelismi non scontati, per vicende in divenire pronte ad entrare nel cuore di chi ascolta; un ottimo modo per celebrare le avversità della vita, un ottimo modo per chiamare in causa grandi pezzi che per l’occasione sono stati raccolti in un unico, grande disco.

Abbracci Nucleari – Abbracci Nucleari (Autoproduzione)

Perdersi tra le braccia contaminate del futuro e scoprire che siamo cambiati, diversi, coscienziosamente lontani, ma fisicamente vicini, una carne che si strappa dolcemente per prendere un posto nell’immateriale vero, puro, per un suono leggero, calmo, introspettivo, un racconto che si fa narrazione per immagini, la volta celeste che si fa scenario al divenire e in fondo una strada da seguire.

Gli abbracci nucleari confezionano un EP stratificato e notturno, ricco di incursioni soul mescolate al cantautorato e all’elettronica, quella musica fatta per il cuore e con il cuore, che non riesce a stancare, ma che si immola in mescolanze dubstep e portatrici di ritmi corposi, seppur minimali, per quattro canzoni che sono un piccolo mondo da assaggiare, da scoprire.

Cinque pezzi soltanto, ma che pezzi, troviamo in apertura la bellissima Prenditi Cura di me ad aprire paesaggi decostruiti, passando per Neanche questo basta e le solitudini di Il giardino delle emozioni, per completare il cammino con l’importante Brucerei  e il finale di luce lasciato a Notte pluristellare, per un disco che porta con sé il sapore di ogni soddisfazione futura.

BOL&SNAH – “So?Now?” (Gigafon Records)

Gruppo meraviglia che incanta per atmosfere soppesate e oniriche, tra voci che si rincorrono nella neve e il tetro silenzio assoluto che scavalca ogni forma di preconcetto per accompagnarci in un mondo vasto,  irregolare, magnificamente illustrato grazie alle tavole sonore di SNAH, all’anagrafe Hans Magnus Ryan, fondatore e chitarrista dei MotorPsycho accompagnato dal trio norvegese BOL, un album che vede la partecipazione della voce alquanto misteriosa di Tone Anse e le poesie leggiadre che si muovono tra i concetti di uomo e natura di Rolf Jacobsen, per un mix a tensione volatile che incanala la lezione di un territorio per donarla attraverso questa opera di pura grandezza sonora, che riesce ad incantare l’ascoltatore implodendo gli estremi per un dream pop astratto e ricco di strutture da cui prelevare un bisogno quasi istintivo di ricerca della bellezza, sostenuto da musicisti d’eccezione e variegato quanto basta per dar vita ad un concept di elegante matrice nordica.

Sei tracce apparenti, dove l’istinto è di casa tra The sidewalks e Epilogue in una continua ricerca travolgente di sospirati addii e di bisogno metafisico nel trovare la via da seguire in un mondo sottosopra, quasi ostile, dove la natura è la vera sovrana di questo tempo.

Ottavia Brown – INFONDO (Autoproduzione)

Atmosfere crepuscolari e recondite che portano con sé il profumo di un altro tempo e il candore delle rose lasciate ad appassire al sole lungo un viale infinito chiamato vita, inondato da una polvere necessaria nel ricoprire ciò che è stato per abbandonarsi egregiamente alle braccia del futuro.

Ottavia Bruno in arte Ottavia Brown concepisce un disco che nasce dall’esigenza di legare la canzone d’autore italiana con le creazioni swing mescolate al blues-noir di un’altra epoca dove l’oscurità ammanta i pensieri più nascosti e ci porta alla conoscenza primordiale di una voce suadente e penetrante, capace di veicolare testi, che nella loro semplicità, trasportano un significato essenziale e di puro amore verso il mondo della fiaba e delle sue allegorie, un amore dichiaratamente espresso grazie anche alle illustrazioni della stessa cantautrice, immagini dal forte impatto visivo, dove la scelta cromatica è ben calibrata nel definire un mondo soppesato e magico, un luogo dove le canzoni prendono forma e lasciano intravedere paesaggi sonori congegnali ad un tipo di musica fatta con il cuore per il cuore e dove gli arrangiamenti sono parte essenziale del tutto, un nome a caso: Alessandro Asso Stefana è co-arrangiatore di Infondo e di Il mio cuore va e lo perderò, a dare un ulteriore valore aggiunto alla già bellezza raggiunta della proposta.

Una favola oscura quella di Ottavia, che porta con sé l’importanza del tempo e delle cose migliori lasciate a sedimentare nella nostra mente per donarci ancora quell’esigenza lontana, quasi di un’altra epoca, in grado di valorizzare il ricordo e tutte le sue sfumature.

Merkel Market – La tua catena (Prismopaco Records)

Diciassette pezzi contro un sistema malato, un album che scorre le infinite possibilità della vita annientando il superfluo e denunciando una realtà spesso opprimente e discostante, garantendo un punto friabile di roccia che scivola da una ripida montagna alla ricerca di un suolo dove infrangersi e distruggersi, un punto di contatto fatto di bassi pesanti e cantato a squarciagola pronto ad assicurare l’esigenza  dei Merkel Market di parlare di prodotti di consumo, di merci e capitalismo sfrenato, senza mezze direzioni o punti fermi, dove la violenza umana è realtà tangibile, è ciò che subiamo giorno dopo giorno, è memoria che si fa carne presente per una band che sa parlare, attraverso un post hardcore d’annata, delle esigenze di intere generazioni, afflitte dalla ripetuta presenza di stereotipi viventi da abbattere, per non subire ancora e soprattutto per essere responsabili appieno delle nostre, brevi vite.

Sono pezzi rapidi e hanno l’odore del fuoco che brucia tutto ciò che possiamo vedere davanti ai nostri occhi, da Il dittatore fino a Asesino i nostri ci convogliano all’interno del loro girone dantesco, cercando, tra le fiamme, una nuova via da seguire, emblema di questo tempo abbandonato al confine per una generazione che non conosce futuro.

Alkene – Etere (Moscow)

Etere è il secondo album della band triestina che riesce a dare un proseguimento naturale al proprio percorso musicale innovativo , in nome della ricerca che si fonde in modo quasi crepuscolare al pop e al rock, quest’ultimi non intesi come fenomeni commerciali, ma piuttosto come forme mutevoli che riempiono i vuoti della nostra solitudine, concentrando gli aspetti del comporre in una scrittura criptica e lacerante che passa dall’ultimo Thom Yorke di The Eraser fino a James Blake, toccando le desertificazioni dei Wilco fino a raggiungere le profondità dei Verdena di Requiem, per un disco che è esso stesso un flusso continuo di pensieri e musicalità affacciati su di un cornicione che guarda il buio marino da nuove e invitanti prospettive.

Un album sorprendente e stratificato, la figura del dodecaedro poi è invito per viaggi interstellari a comporre densamente la materia di una sostanza immateriale, una vibrante commistione di genialità elettroniche che prepotentemente si fanno sentire già in Crisalide fino a Inatteso, passando per pezzi memorabili come Lisbona o, a mio avviso, la più riuscita dell’album , Verbofobia, pezzo in grado di travalicare i confini che conosciamo per condurci verso una nuova casa, pezzo summa del disco che racchiude tutte le caratteristiche di questa band in continua evoluzione; senza la paura di un domani, senza la paura di rimanere soli.