Alteria – La vertigine prima di saltare (Autoproduzione)

L'immagine può contenere: una o più persone e primo piano

Rock al femminile graffiante quanto basta per accendere fiamme eterne di abbandono e solitudine, ma anche di riscatto proprio quando la forma canzone si trasforma in cantautorato gentile e sospeso al filo della memoria, al filo del ricordo che tutto lega e permette ai sogni di fare capolino nel bel mezzo della realtà. Alteria è il progetto sinuoso di Stefania Bianchi un vero e proprio salto nel vuoto alla ricerca di rapporti, legami, consuetudine e sperimentazioni in un equilibrio precario con l’esigenza di raccontare spaccati della propria vita e il bisogno di incanalare energie per esplodere ancora come super nova inabissata nell’oscurità. La vertigine prima di saltare è un disco composito, che rimanda a certe sonorità degli anni ’90 pur non trascurando una parte alquanto curata di filtraggio mnemonico che condiziona il risultato finale, smussando errori e dando vita ad un prodotto musicalmente importante sotto molteplici punti di vista. Brani come Premessa, Cuore Demonio, Passi Fermi sono solo alcuni accenni di un qualcosa che architettonicamente si estende ad altezze memorabili, in un susseguirsi di vicissitudini, emozioni, vita accostabili a quel senso di vissuto profondo che in un certo qual modo ci accomuna tutti quanti indistintamente.

Angelo Sicurella – Yuki-O (Urtovox Records)

Sintetizzatori minimali che lasciano tracce di polvere magica capace di comprimere gli spazi ed accendere bagliori, disegnare rapidamente brividi di calore accompagnati da una voce riempitiva che scalda e conduce attraverso un universo reale e tangibile. Yuki-O è il primo disco da solista di Angelo Sicurella, cantante e musicista di Palermo, già con Omosumo, un album notturno e meditativo in grado di rappresentare al meglio un’oscurità fatta di stelle e silenzio, di riappacificazione con il mondo dopo amori fuggiti lontano, oltre i nostri sguardi. In questa produzione ci possiamo sentire echi dei La Crus e degli ultimi lavori da solista di Cesare Malfatti, sfiorando le latitudini di Pieralberto Valli in composizioni che navigano tra i flutti della ragione e si stagliano lì nel mondo contemporaneo, in un mondo che non si ferma e che rappresenta, come specchio, le nostre fragilità più nascoste. Pezzi come l’apertura Fidati di me ci fanno comprendere l’importanza di questa abbondanza sonora che toglie l’eccesso e si concentra sulla sonorità delle parole, sul grado di pathos da mantenere lungo tutto l’arco dell’album, formando nel cielo composito un’attesa che si fa alba, un’attesa che confluisce all’interno dei nostri stati d’animo più nascosti e si trasforma poi in sostanza creativa in grado di creare connubi dinamici e moti ondosi sintetizzati d’amore.

Kaufman – Belmondo (INRI)

Omaggio a Jean Paul e alla Nouvelle Vague, alla bellezza da cogliere nell’attimo, all’istante che cattura sguardi e polaroid di un tempo andato pur proiettandosi in un futuro complesso, stratificato e ottenuto in una sostanziale ricerca musicale che fa della perfezione edulcorata un marchio di fabbrica davvero interessante e ricercato. I Kaufman sono tornati, sono tornati grazie a quella forza musicale che li aveva caratterizzati nel precedente e già recensito in queste pagine Le tempeste che abbiamo, i Kaufman sono tornati con un album meno oscuro, in parte più solare, ma comunque intriso di quella velata malinconia di fondo che racchiude gli anni migliori della nostra vita, del nostro essere vivi e ci conduce simultaneamente a scoprire le parti più nascoste di noi, le parti che non sapevamo di conoscere e che ora possiamo affrontare. 38 minuti di musica scritta con il sempre presente Alessandro Raina dei compianti Amor Fou, poco più di mezz’ora di canzoni che si inerpicano tra i singoli L’età difficile e Robert Smith fino ad attendere passioni in pezzi importanti come Senza Fiato, la bellissima Alpha Centauri o Ragazzi di vita. Citazionismo eclettico che assapora il momento, pop ben congegnato in un meccanismo che odora di emozioni per una produzione dal gusto cinematografico da osservare attraverso l’esplosione colorata di un caleidoscopio in divenire.

Stramare – Non preoccuparti (Autoproduzione)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Canzoni soppesate al filo del ricordo e pronte ad entrare in una semplicità di fondo che è maestra di scuola e maestra di vita in grado di far intercorrere pensieri d’amore mai ostinati, ma piuttosto leggeri e profondi che si affacciano alla quotidianità in costruzione e rendono il tutto un affresco di idee dolci/amare di inquietudine, ma anche di rimpianti e momenti che non torneranno più. Il nuovo di Ep di Matteo Palazzolo è un concentrato di suoni neo folk moderni, chitarre da spiagge attorno al falò della vita e tanto interesse nel comunicare significati e disillusione con un approccio volutamente scarno ed essenziale, tra un vecchio Battisti e un più moderno Colapesce nell’eterna ricerca di volar trovare la canzone perfetta, quella capace di racchiudere un concetto, una sensazione, uno stato d’animo. Quello che ne esce è un raffinato dischetto pop, mai gridato, ma piuttosto sussurrato in cui tutto è in ordine e nel contempo fuori posto, in direzione del vento su di un mare che bacia la sera e il sole pronto a ritornare.

Bang bang vegas – Party Animals (Autoproduzione)

Animali da palcoscenico sguinzagliati a mordere a suon di note un’energia isterica e contagiosa, quella della potenza di fuoco espressa nella musica anni ’70 quella che ti faceva ballare, sudare ed espellere il momento a suon di incontrollate vibrazioni e riff satanici. I Bang bang vegas sanno il fatto loro, lo si intuisce già dall’intro della title track, riescono a catalizzare il momento per estenderlo e farlo ansimare di fugace osservazione grazie ad un suono che attinge in modo anacronistico il proprio valore direttamente dagli anni in cui tutto è partito, gli anni del rock e inconsapevolmente, forse, attraggono ancora folte schiere di estimatori con pezzi che parlano del bisogno di vivere, delle strade infinite da percorrere e della libertà sempre più in costruzione, sempre più in divenire, una libertà mai celata, mai nascosta, ma piuttosto esibita a pieni polmoni in pezzi come Single, Sweetest crime o la finale I wanna be rich, senza nascondersi mai e soprattutto inglobando la lezione del tempo riuscendo poi ad espellerla in tutto il suo mirabile splendore.

One horse band – Let’s Gallop! (Autoproduzione)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Disco d’esordio per la one man band milanese, One horse band che sporca le canzoni di un blues atmosferico capace di infondere continuità ad una scia di ripresa cominciata qualche tempo fa che vede come protagonista dello show una chitarra, una vecchia batteria e una voce graffiante in grado di far ripercorrere in un solo istante la storia del blues e le varie influenze che lo stesso ha subito nel corso del tempo, per un disco questo che incrocia il Mississippi ai Navigli e fa diventare un garage rock qualcosa di più compiacente e meritatamente vissuto. Gli spiriti affini sono molti, ma un’essenzialità di fondo la possiamo scovare nei suoni di Tony la Muerte e di Elli de mon ad intensificare momenti di lucidità con assordante desiderio di trasformare il tutto in purezza di rumore dalla dichiarazione d’intenti iniziali Declaration of intent, fino al procedere nel finale di Altare per un disco che racchiude un animo oscuro e in decomposizione, un animo che affronta la realtà a testa alta, senza paura e senza vincoli precostituiti.

Modena City Ramblers – Mani come rami, ai piedi radici (Modena City Records)

Li senti provenire da lontano con quel suono di flauto che accompagna una produzione dopo quattro anni di silenzio, una musica composita d’insieme che spazi tra i generi e abbandona spesso le strade del folk per intersecarsi con un suono più moderno e generazionale dove la canzone si sposa con immagini, riflessioni di vita, sostanza e sudore del tempo che verrà. Mani come rami, ai piedi radici è il nuovo disco dei Modena City Ramblers, un album che parla di orizzonti indefiniti e di un errare che ingloba l’intero mondo che ci accomuna, dimenticando i fatti di cronaca che caratterizzavano il precedente lavoro e tornando sui passi di musiche contaminate dove il dialetto, l’inglese e lo spagnolo sono lingue necessarie di comunicazione e dove l’atmosfera desertica che si respira nella bellissima My ghost town assieme ai Calexico ridefinisce una sostanza che va a recuperarsi nella terra, da quelle radici che sono i nostri punti d’appoggio, ma anche il nostro bisogno di arrivare in alto, non per prevalere, ma piuttosto per respirare un cielo condiviso. Notevole la concessione del diritto musicale sul retro di copertina: “Riproducetelo, prestatelo, fatelo suonare in pubblico e trasmettetelo. La musica è come il vento, fa ondeggiare i rami, nutre le radici” e come, dico io, dargli torto?

MUTO – Independent (Prismopaco Records)

L'immagine può contenere: 6 persone, spazio al chiuso

Viaggio nello spazio profondo alla ricerca del beat giusto il beat perfetto in un anfratto stilistico che ricava la propria dimensione, la propria dimora attraverso le costellazioni e il buio in un divagare senza meta che costringe l’ascoltatore ad entrare in una purificazione fatta di luce e ombre misteriose, tra le compenetrazioni dei momenti e gli abbagli della vita quotidiana, per questo progetto di suoni e molteplicità che avanza, un nuovo disco che si fa percorso all’interno di una società automa alla ricerca del nostro essere veri e reali, esseri indipendenti e capaci di conquistare quelle piccole parti di vita che in verità ci appartengono fino nel profondo, per un album fatto di otto incursioni paranormali che rendono meno sfocata quell’idea di musica che si fa mezzo per comunicare attraverso ogni latitudine terrestre, un viaggio elettronico in balia del vento e del mare tra isole da conquistare e porti/canzoni in cui riposare.

Serena Abrami – Di Imperfezione (Nufabric)

Concezioni di vita quotidiana sussurrate in modo quasi rilassato capaci di inondare i costrutti che ci portiamo dentro e aprendo il cuore ad un qualcosa di indefinito, di notevole e costruito seguendo le emozioni, le sensazioni che il tempo solo sa dare nella sedimentazione del ricordo, nella preponderanza del nostro essere prima di tutto, nella ricerca testuale di parole che considerano l’universalità di intenti un atto di conquista che esplode già dal primo ascolto, scivola, accarezza, rasserena ricordando che la cantautrice marchigiana è tornata dopo l’esordio discografico di cinque anni fa Lontano da tutto è tornata più matura e introspettiva Serena, capace di ridare un senso al cantautorato femminile italiano sporcando la formula da un buon sound di matrice britpop e custodito gelosamente fino a convogliare in aperture che fanno capolino in pezzi di notevole trama come l’apertura di Di Imperfezione fino ad arrivare a quella Via di casa che chiude il cerchio, un cerchio fatto di sfumature, colori e impressioni, un cerchio fatto di vitree speranze e di futuri connessi ad una realtà che senza il cuore non porterebbe da nessuna parte, ecco allora che di imperfezione viviamo dentro a tutta questa vastità da costruire.

Plan de fuga – Fase 2 (Carosello Records)

Plan de fuga

Qui ci si tuffa nel buio della nostra spirale elicoidale per comprendere, in modo migliore, come siamo fatti, che cosa vogliamo diventare e che cosa potremmo fare di noi stessi davanti ad un futuro segnato dal buio e dalla fagocitante miseria dei sentimenti che sempre più avanza e ci relega ai margini, sconfitti, in cerca di un appiglio, di un punto su  cui fare leva per poter gridare la nostra sofferenza, ma nel contempo abbandonare il senso di sconfitta per risollevarci ancora una volta.

Grazie alla band bresciana Plan de fuga tutto questo è possibile, si lotta, ci si strappa, si ricuce e si ricostruisce insieme un mondo diverso e migliore in cui vivere, ricordando i vicentini Virgo, grazie a incisive produzioni di notevole caratura, una voce che convince in modo del tutto naturale, quasi fatta apposta per ricreare uno stato desertico in cui scavare una buca e riporre al centro di essa, tutte le nostre cose più importanti, tutto ciò in cui crediamo, alla ricerca, forse di una salvezza che possiamo osservare ancora da lontano, ma che possiamo comunque vedere.

Mi ucciderai è un pugno allo stomaco fino a Distruggi tutto che fa da apripista al ritorno del cantato in inglese con Change it, spiraglio per avvisagli futuri che vedrà la band abbandonare l’uso della lingua italiana per tornare al respiro internazionale caratterizzante gli esordi, forse per comprendersi maggiormente, per dare un senso diverso ai racconti creati, noi di certo saremo qui ad aspettarli.