gaLoni – Incontinenti alla deriva (Goodfellas)

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Bellissima rappresentazione di una realtà vicina al nostro vivere racchiusa all’interno di poesie contemporanee capaci di scardinare l’idea di cantautorato moderno e tuffarsi con stile unico e necessario in una trasposizione originale di ciò che è stato il passato. gaLoni, con questa nuova prova, racconta le fragilità della vita umana attraverso acquerelli sporcati di terra e di visioni, racconta di geografie territoriali e di inutilità dei confini, racconta di amori lontani e desideri da raggiungere sopra ogni cosa. Incontinenti alla deriva sembra un disco di De André trasportato nei giorni nostri. La timbrica del nostro ricorda il cantautore genovese e le tematiche trattate sembrano racchiudere al proprio interno un senso di società e cultura che si espande ad ogni latitudine conosciuta. Si snocciolano perle con grande facilità, pensiamo alla stessa traccia d’apertura Bansky o L’America è una truffa per poi approdare a canzoni come Trattato monetario, Mi resterà il tuo nome a dare peso materiale ad una proposta emozionante. Il nuovo di gaLoni è un pugno al perbenismo, un pugno dato con stile ed eleganza contro ogni cliché e ordine precostituito. 


Terso – Fuori dalla giungla (Vulcano)

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Scappare a perdifiato, correre, lacerarsi, andare oltre per trovare un appiglio sicuro, una nuova strada da seguire, un pezzo di cielo da poter ammirare ancora. Tornano i bolognesi Terso, tornano con un rock altamente elettronico dove i sintetizzatori la fanno da padrone e dove ritmi sincopati e trascinanti ci rendono partecipi inevitabilmente di un mondo raccontato che come metafora immagina giungle metropolitane da dove poter fuggire e non ritornare più. Fuori dalla giungla è un disco complesso e arricchito, ma nel contempo racchiude al proprio interno canzoni dirette e cariche di una bellezza da cogliere in una poetica che si rinnova e usa costrutti contemporanei per raccontare qualcosa di universale e unico. Da Le frasi fino a La tigre bianca passando per le riuscite Lynch, Le promesse, Metamorfosi, i nostri ci regalano un disco alternativo nella forma e nella sostanza, ma vicino alle cose che stringiamo e ci sentiamo accanto ogni giorno. 


Lapingra – Amore e soldi (Bassa Fedeltà/Artist First)

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Ritorno del duo formato da Angela Pomassone e Paolo Testa, ritorno raccontato attraverso gli occhi di chi scruta la realtà partendo dalla vita reale, quella di tutti i giorni, intensificando rapporti e dando un senso esplicito, sin dal titolo, a ciò che manca ai giovani di oggi: l’amore e i soldi. I Lapingra confezionano un disco fatto di canzoni che ti fanno tornare irrimediabilmente all’era post adolescenziale dove le notti sembrano non finire mai e il desiderio sempre acceso di una vita unica è il punto di contatto essenziale con quel fuoco interiore capace di bruciare all’infinito. La dilatazione del tempo poi prende il sopravvento e la velocità del mondo raccontato rappresenta un punto fermo in una poetica metropolitana che si dipana da Porco mondo fino a Ciao come ti chiami passando per pezzi come 1993,  San Calisto, Male attraversando distese di gioventù in un vortice che via via si assottiglia per scaraventarci inesorabilmente nell’età adulta. I Lapingra danno forma ad una prova d’insieme introspettiva e concentrica, un album di bisogni sul far della sera. 


I figli dell’officina – Parlamente (Autoproduzione)

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Viaggi, incontri e attimi di vita recuperati in un connubio importante ed espressi a velocità balcanica in un disco davvero formidabile e pregno di narrazione condensata grazie ad una musica diretta e senza fronzoli, ma carica di orpelli eleganti e di sicuro effetto costante. I figli dell’officina pubblicano un disco d’amore nei confronti di un credo che sembra non trova attimi di tregua. Dopo la fortunata campagna di Musicraiser esce Parlamente un inno alla vita e alle partenze che sperimentiamo nel quotidiano ogni giorno, tra vissuti e arrivi, tra bisogno di recuperare l’irrecuperabile e quel senso materico d’affetto che sembra essersi perso nei meandri di questa nostra società. Canzoni che si sciolgono come neve al sole fanno da contraltare alle speranza di una band che sa contaminare e legare con un pubblico grazie a messaggi da veicolare e pensieri che si dipanano tra il miglior folk degli  ultimi anni e un cantautorato che sembra non avere confini. 


Caravita – Come sempre (Autoproduzione)

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Sostanza leggera, vivida e reale per un cantautorato capace di ricreare sovrapposizioni e arpeggi di chitarra con voce in primo piano ad attenuare i dolori della vita raccontando, con intensità variabile, un senso costante di distacco e partecipazione, un destrutturazione della realtà che trova nei chiaro scuri quotidiani la formula per raccontare di un mondo in dissoluzione. Come sempre è un disco che affonda radici nel cantautorato più classico, sembra quasi di sentire una rincorsa continua alla sostanza di Bennato che trova De Gregori senza disdegnare le incursioni nei confronti di una musica più sofistica che ricerca nelle atmosfere elettroniche divincolate degli anni ’80 il proprio cancello d’entrata, il proprio punto di partenza. Da Colori a Fino in fondo il nostro riesce a dipingere, con intensità crescente, un affresco di vissuti che parlano indissolubilmente di una vita intera, travalicando quel confine sfumato tra sogno e realtà. 


Finister – Please, take your time (Red Cat Records)

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Album dal gusto internazionale davvero ineccepibile sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista compositivo in un sodalizio con la musica d’atmosfera che rende questo lavoro un punto di continuità con il passato, pur percependo e mantenendo un certo grado di sperimentazione davvero entusiasmante. Il nuovo dei fiorentini Finister è un album complesso e davvero intrigante che si avvale della collaborazione di Howie B già con Bjork, U2, Marlene Kuntz, Elisa per un suono dal forte carattere personale e nel contempo veicolo di sensazioni e ispirazioni utili a fuggire da questa realtà. Please, take your time è una corsa lontano dall’alienazione di questi giorni, un allontanarsi dalla frenesia per trovare il proprio punto di benessere, il proprio stare meglio all’interno di questo mondo in dissoluzione, all’interno di questa bolla di vetro che ci vuole sempre forti e attenti. Da Tricky ai Cousteau passando per le sperimentazioni dei Radiohead i nostri incasellano una qualità ineccepibile e dal forte impatto emozionale che stupisce già dopo il primo ascolto. 


Babbutzi Orkestar – Babbutzi Orkestar (Autoproduzione)

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Suoni contagiosi e irruenti capaci di far alzare i piedi per poter ballare fino a notte inoltrata, un connubio inesauribile di stile che direttamente dalla penisola balcanica prende la giusta linfa vitale per portare sulle nostre tavole piatti sonori di vivace allegria contagiosa mai banale, ma piuttosto ragionata e servita con classe da vendere. La Babbutzi Orkestar è tornata abbastanza carica direi, con un suono definito da loro stessi Crossover da osteria perché riesce in qualche mondo ad unire in un’unica commistione vivacità e folclore combattivo in un vortice dall’approccio punk inesauribile e preponderante. Importanti pezzi come ChikyChiky e Tony Makkeroni non passano di certo inosservati, anzi consegnano all’ascoltatore una prova densa e irriverente per cinque brani in totale che si lasciano trangugiare come otre di vino. Il risultato è un suono avvolgente che ambisce a diventare un punto fermo, ma nel contempo in evoluzione per la band milanese che sa di continuo reinventarsi affacciandosi sul mare delle produzioni odierne con giusta arguzia e con una formula sensibile, divertente e ampiamente collaudata. 


Bruno Belissimo – Ghetto Falsetto (La Tempesta/Stradischi)

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Musica da terrazze ricostituite e rinvigorite per l’occasione, approccio elegante, sofisticato, malizioso e mai banale per un concentrato di house sporcata dai beat elettronici in secondo piano che in questa nuova prova sedimentano chitarrine funk oserei dire geniali e capaci di spruzzare l’etere di risveglio post’ 70 in una bellissima e avvolgente lezione di stile che ricopre a dismisura i canali delle nostre convinzioni. Con Ghetto Falsetto Bruno Belissimo ritorna a far ballare a manetta. Dopo più di cento date in Italia e all’estero il nostro prosegue una propria ricerca stilistica che non ha eguali concedendosi sprazzi alternativi veicolati dal suono, dalle impressioni che sentono il desiderio di uscire, dall’intrinseca visione atmosferica di procedure analogiche in loop alquanto digitale e altamente contagioso. C’è un potente marchio di fabbrica in tutto questo, c’è la profonda convinzione di aver fatto qualcosa di veramente essenziale, di veramente unico e strabiliante, ma nel contempo c’è di fondo la semplicità di una persona che attraverso impulsi sonori riesce a smuovere qualcosa dal di dentro che non ha confini. Bravo davvero. 


Tita – Andare oltre (Prismopaco Records)

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Il senso del viaggio e della lontananza da raggiungere, delle strade raccolte al filo rosso della memoria, al filo che ingloba e ci conduce verso un’altra realtà fatta di sogni, paure e speranze, fatta di substrati di ricordi e vita da vivere in tutta la sua importante ragione d’essere; momenti quindi inconfutabili, istantanee, raccolte, visioni. Il disco di Tita, all’anagrafe Cristina Malvestiti è un concentrato emozionale che intesse chitarre gitane in arpeggi preponderanti che fanno scattare scintille di intersezioni con un pop cantautorale raffinato e davvero mai urlato, ma piuttosto incamerato in un suono energico, ma nel contempo introspettivo, denso. Una musica piena che nella voce trova un’intimità avvolgente disintegrando al suolo qualsiasi forma di banalità per ritrovare un proprio stile in una manciata di brani, in un insieme concreto di avventure che sono vita e costruzione, ossatura stabile e fragilità in bilico. Pezzi come I nomi delle cose, Bambina, Sono nati fiori a volte, Io sono io fanno da collante fondamentale in questo viaggio nel contemporaneo, apprendendo al meglio la lezione del less is more e consegnando all’ascoltatore un gusto d’insieme che nella sua interezza raggiunge l’inaspettata eleganza. 


The Yellow traffic light – Worlds Within Walls (WWNBB Collective)

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Shoegaze espresso in emozioni pulsanti attraverso un circolo tumultuoso che scuote dal di dentro e rinfranca percependo gli istanti, gli attimi simultanei di una musica proveniente dal passato, circondata dagli anni ’80 e approdata inesorabile al nuovo millennio in una ricerca che si fa costanza divampata e immortalata per l’occasione attraverso una gran bella rappresentazione di undici pezzi stellari che toccano l’indicibile e che di base approdano su lidi trasversali. Le capacità di fondo dei The yellow traffic light si sentono eccome, c’è in questo sfogo musicale un desiderio maturo di creazione e di sodalizio, di psichedelia interculturale che affronta la realtà attraverso uno studio approfondito e ricco di citazioni, mai affranto al suolo, ma piuttosto convincente fin dalla traccia d’apertura Constance per passare alle riuscite Eveything you’ll need, Care, Flower of Yugao, Silver Filum o la finale Merovingii attraverso un viaggio che sembra non concedere spazi all’abbandonato. Di costruzioni parliamo, di architetture sonore di rara bellezza che accostano le luci del traffico notturno ad un profumo maestoso, tra i The Jesus and Mary Chain e i My Bloody Valentine passando per Lush fino ai A place to bury strangers i nostri intascano una prova che come specchio interiore analizza i campionamenti umorali di un credo rarefatto e in dissolvenza.