Megàle – Imperfezioni (Area51 Records)

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Buttarsi nell’acqua più profonda, cercare radici, alghe marine, suoni sott’acqua divincolati dalle mode del momento a ritrovare bellezza, a spargere essenzialità. Il duo Megàle formato da Stefania Megale e Francesco Paolino confeziona un primo full lenght dalle tinte noir impreziosite che attraversano le circostanze e ammaliano per essenzialità espressa e poetica da veicolare. Imperfezioni, come declamato dal titolo, non è un disco perfetto. Racchiude al proprio interno un mondo onirico e sognante, molto soggettivo, ma nel contempo carico di pathos e atmosfera. Canzoni come la stessa title track, Stato di quiete, Mormora la luna, Sull’acqua ne sono l’esemplificazione. Quella dei Megàle è una ricerca, un universo creato che si discosta dal nostro e riempie di colori introspettivi una luce che tarda ad arrivare. A tratti un insieme cupo di canzoni, a tratti un album mistico che ha dell’interiore e che ambisce a sfiorare il cielo osservandolo da lontano. 


Carlo Martinelli – Caratteri Mobili (AREA51 Records)

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Canzoni da solitudine post spiaggia, che accarezzano il molo dopo il tramonto e raccolgono le stelle che cadono dal cielo, magari con una rete da pescatore, magari con la forza di volontà di chi non ha nulla da perdere e si concede a sbilenche poesie musicali prettamente acustiche che scalzano il cielo plumbeo mattutino e con inflessione solare, lasciano al nuovo giorno, un nuovo spazio di vista oltre l’orizzonte.

Carlo Martinelli ci regala cinque canzoni estrapolate da un arco di tempo che copre la bellezza di dieci anni, canzoni d’amore con tocchi di classe lo-fi per un ep che racconta le vicissitudini del cuore in modo del tutto inusuale, trasparente e cristallino; avvenimenti interiori e introspettivi, pronti a rinascere sotto una nuova luce.

Abbandonati per un momento i grandi Luminal, il nostro, attraverso le peripezie dell’anima e con buoni compagni d’avventura come Jenny Burnazzi al violoncello, Cristiano De Fabritiis alla batteria e Milo Scaglioni al basso, registra un disco che ha il sapore della fine dell’estate e di quella risacca mattutina che trasforma il frangente creato in qualcosa di nuovo e perpetuo.

Uyuni/Ronin – SPLIT #1 (Area51 Records)

Condividere speranze, passioni, amalgamare i  diversi e fonderli per creare una sostanza senza fine e in piena espansione.

Area 51 records nasce ora, nasce con questo disco, per dare un senso maggiore al mercato della discografia indie italiana, una serie di Split per creare un laboratorio artistico in piena espansione e capace di imprime il proprio nome nell’immenso panorama delle produzioni attuali.

Questo split per l’appunto vede coinvolte due band: gli Uyuni e i Ronin, band di stampo strumentale e dilatato che convergono in un sogno ad occhi aperti che apre a fantasia post umane fino ad addentrare lungo profondità scovate con grande capacità di improvvisazione e gusto, in un continuo ricevere impressioni positive fin dai primi ascolti.

I Ronin intrecciano il Morricone d’annata con i western in dissolvenza perpetuando il tutto e sancendo ancora una volta la propria capacità; oltre ad essere ottimi musicisti, anche dotati di una forte malleabilità nelle diverse situazioni che si compongono all’ascolto.

Gli Uyuni invece intrecciano il folk-blues alle nordiche espansioni sonore, con una voce percepibile e quasi cadenzata a ricordare le migliori produzioni del passato con sguardo attento al futuro, intrecciando attimi di psichedelia allucinogena.

Lungo vita quindi a questo tipo di sfide raccolte, lunga vita alla collaborazione artistica sempre più necessaria nel mondo di squali che vivono alle spalle di chi la musica la fa ogni giorno, senza chiedersi troppo, per il gusto di far conoscere, per il gusto di sperimentare, per il desiderio e il bisogno fondamentale di stare bene.