The child of a creek – The earth cries blood (Seahorse recordings)

Rapiti dalla fantasia di un folk singer visionario ci accingiamo a recensire l’ultima fatica di “The child of a creek” intitolata “The earth cries blood”, quasi un concthe-child-of-a-creek_the-earth-cries-blood_1367498603ept album evocativo in cui lasciarsi andare a costanti echi e riverberi di terre lontane e dove la simpatia per gli anni ’70 è evidenziata dall’approccio prog e ricercato nei suoni e nei colori che l’album riesce ad evocare.

Il disco è composto da 11 canzoni ben strutturate, ma imprevedibili, dove anche la singola sfumatura è pensata per emozionare e lasciar posto ad un incedere vagamente Barrettiano in cui assoli elettrici psichedelici si intrecciano marcatamente a digressioni tastieristiche di archi sintetizzati e gocce di suoni a piovere dal cielo.

Il toscano Lorenzo Bracaloni nel suo quinto album in studio riscopre la passione per l’arte concettuale, l’ascetismo quasi profetico e un uso, il più disparato, ma magistrale, di strumenti digitali e fiati elettrizzati.

Questo giovane uomo esalta con coraggio la solitudine nascosta, una passeggiata su di un colle alla ricerca di se stesso e ogni incedere di passo riconduce a frammenti di memoria persa nel tempo, la quale solo attraverso parole come  abbandono e malinconia, riesce a dare un senso alla propria vita.

I pezzi rispecchiano appieno questo viaggio ultraterreno e gli attimi di riflessione sono costituiti da vere e proprie scariche sonore che toccano l’apice in pezzi quali “Morning comes” e “Terrestre”.

Un cantautore che ha scelto la propria via sofisticata, ma che in chiave live è in grado di creare bucoliche atmosfere utilizzando la sola voce e la sola chitarra, quest’ultime capaci di mantenere quell’equilibrio nel pensiero e nell’animo, accompagnandolo verso lo scorrere leggero dei giorni che verranno. Rapiti.

 

Le strade – Le strade (Autoproduzione)

Istinto primario che si attacca al suolo per prendere la terra e gettarla in aria a gran voce strutturando parole come spari che legano il vuoto attorno al mondo.

Andare in fuga verso il confine per non  sbagliare ancora, per trovare vie d’uscita dentro stanze senza porte, dentro territori racchiusi da confini naturali che non lascle-strade-musica-le-strade-epiano respirare.

Voci e ombre, sussurri nell’oscurità e pistole puntate per aver preteso di essere migliori in un Paese dove pochi lo sono o lo possono essere.

Le strade colpiscono per impegno sociale, impatto sonoro e per quella genuinità rivoltosa che fa saltare anche il pubblico più distratto.

Debitori di “Soniche Ministrate” i 5 bolognesi stupiscono in questo loro album d’esordio dove i sintetizzatori e i cori portanti risultano necessari per dare quel tocco di originalità ed energia che si lascia andare in refrain calcolati alla perfezione.

“In fuga verso il confine” è forse la traccia che imprime maggiormente il concetto di protesta mentre “Il prezzo” nel finale, regala attimi cupi di blues maledetto e vertigini sonore.

Gran novità questa, tra le fila della musica italiana; un gruppo che riesce nell’intento di andare diretto al bersaglio senza usare mezzi termini e mezze misure: sentiremo ancora parlare di loro.

La Clè – Via dalla routine (Autoproduzione)

copertina la clè

E’ un pugno allo stomaco l’album dei La Clè, formazione marchigiana che per sonorità ricorda i primi Litfiba e Negrita con tocchi internazionali e divagazioni post core e hard rock di suoni americani distorti e voce piena e comunicativa.

Il loro lavoro parte dal concetto di affrontare la realtà in modo diverso e questo “Via dalla routine” ne è l’esempio:  uno specchio dove poter lavare via la propria anima sporca di dolore e rabbia, di sogni infranti e pomeriggi andati a male.

Il suono è granitico e al basso e batteria, Nicola Serrani e Enrico Biagetti, fanno la loro meritata figura impreziosendo il tutto da cambi di ritmi consacrati al non troppo, ma fatto bene.

Michelle Bellini alla chitarra, per approccio costituisce parte integrante del gruppo, utilizzando sonorità che si intersecano tra ’70 e ’90, percorrendo sentieri post-punk in pezzi come “Ricomincio dal mi”.

In “Segno d’acqua” si disturbano involontariamente Gentle Giant e Yes o ancora meglio i nostri conterranei “Le Orme” riportando in voga usanze dimenticate che per una rock band sono marchio di fabbrica, nonché segno distintivo.

Infatti il loro pensiero di fondo abbraccia l’idea di un concept album che per certi versi viene toccato attraverso canzoni quali “La fine del mondo”, “Cose pop” e “Vivo” confluendo in un unico fiume che scorre trasportando acqua dalla foce alla sorgente.

Si perché questo è un percorso al contrario, si parte dalla chioma dell’albero per arrivare alle sue radici, solo così facendo potremo fuggire via dalla routine.

Adailysong – Una canzone giornaliera (Apogeo Records)

adailysongE’ la melodia portante marchio distintivo di questa band gli “Adailysong” che rinfranca i giorni spesi in bilico nel  tuffarsi o meno nel mondo del pop o nel più semplice, dai più conosciuto, universo di musica orecchiabile che in questo caso indossa l’abito per le grandi occasioni per rinnovare un invito a cena da tempo perduto.

Sono canzoni d’autore impreziosite da interventi di gran classe quelle della super band campana che annovera tra gli altri: il cantautore Bruno Bavota in veste di pianista e del cantautore Andrea de Rosa che caratterizza le canzoni con una voce pulita e leggera, la quale si divincola in modo spettacolare tra i mille arpeggi e gli altrettanti arrangiamenti originali.

Le 10 canzoni prendono al cuore e neppure il più insensibile ascoltatore può rimanere inalterato dopo l’ascolto di pezzi come “Aprile” o “Polvere” per non parlare della miracolosa e meditativa “Destino”.

Sembra di ascoltare i Non voglio che Clara che dialogano con Paolo Benvegnù nelle profondità di un abisso inesplorato, tanta è la distanza che percorriamo per raggiungere divagazioni di forme mutevoli, rimanendo incollati alle nostre sedie.

Un disco che guarda ai giorni con malinconia, il primo disco, questo, per Apogeo Records, con l’augurio che ce ne siano altrettanti  in grado di farci catapultare su pianeti senza un nome e dentro pensieri che non sono di questo mondo.

 

Melt Yourself Down – Melt Yourself Down (Leaf)

meltyourselfFusione ritmata e incalzante di generi spaziali, per gli inglesi Melt yourself down, che si scontrano su di una direttiva di pura improvvisazione lasciando a casa orpelli troppo eleganti e facce tristi da colazioni andate a male.

I melt yourself down nell’album omonimo fondono un qualcosa di mai sentito prima, sax ruvidi, batterie senza tempo e voci che si sovrappongono meditando uno scoppio profondo di viscere intestinali.

Claustrofobici e dirompenti passano con facilità da suoni rock al free jazz sottolineando la matrice sperimentale che li contraddistingue in mezzo a tanti altri gruppi.

L’elettronica è campionata e rende l’idea di un’onda pronta a spazzare via qualsiasi cosa che le si propone davanti.

8 tracce con il respiro alla gola, 8 tracce che sembrano tutte uguali, anche se dopo l’ascolto quelli diversi siamo noi.

Per saperne di più

http://meltyourselfdown.com/

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Neve su di lei – Cerco la bellezza (RPM produzioni musicali)

Un disco che affascina per maestria e coraggio in quest’epoca dove solo il rumore sembra condicerco la bellezzare la vita di ognuno.

Neve su di lei partendo con la sua chitarra da Genova tocca lidi e città, strade e piazze con l’intento di far conoscere all’Italia intera le sue dolci melodie e la sua voce vellutata fino ad incontrare un altro cantautore, veronese questa volta, Ruben, che le produce il disco in questione: “Cerco la bellezza”.

Stiamo parlando di 12 tracce colorate d’acquarello dove il sole filtra da una finestra isolata fino alla cima del tempo perduto in cui colline infantili di curve colorate si stagliano sullo sfondo a rincuorare, leggere, anime nostalgiche e lieti ritorni.

La cantantessa ligure fa uso di accordature aperte per riappropriarsi di un linguaggio influenzato da ballate che strizzano l’occhio a Tori Amos, Joni Mitchell e Smashing Pumpkins in un continuo divenire che le è proprio fin da quando era bambina, quando i colori dei suoi disegni rispecchiavano un’anima gentile e sognante.

Una cover di cartone impreziosita da immagini oniriche, ricalcano la bellezza in ogni sua forma tralasciando il superfluo e dando risalto alla natura.

“Cosa sono io ?” il singolo racchiude il significato del disco mentre pezzi più nostalgici come “Un viaggio stanotte” sono ricerca continua di un posto dove vivere.

Pura poesia poi si ascolta in “Torneranno alla terra (Vajont)” approdando nei minuti finali, in punta di piedi “Nel mio campo giochi”.

Sogni e speranze in questo disco che porta Neve a un abbraccio con il mondo intero in attesa che, anche tra i nostri palazzoni, cresca qualche fiore colorato.

Granprogetto – La cena del bestione (Millesseidischi)

Se prima si chiamavano “La camera migliore” ora si sono trasformati in “Granprogetto”, regalando all’ascoltatore nuvole fantasmagoriche di disequilibri quotidiani.

I 3 toscani confezigranprogettoonano 13 canzoni di immacolata intenzione dove conglobano pensieri moderni e ossessivi legati al quotidiano triste vivere tra appalti e falsari porta a porta che volendo si specchiano su una totalità catastrofica dal nome Italia.

Questi ragazzi si cimentano con gli strumenti più disparati: dai classici basso, chitarra e batteria passando per cembali, banjo e custodie rigide.

Marco Balducci, Francesco Fanciullacci e Davide Miano devono essere ascoltati ad alto volume, solo così la loro musica può arrivare direttamente ai circuiti neuronali passando per vie tortuose e psichedeliche dove il power rock si mescola al country e alla musica strumentale trascinando code infinite di bellezza da assaporare.

Canzoni come “Allo zoo” o “Roy Scheider” non possono passare inosservate come del resto altri pezzi dai titoli più strampalati come “Frateferroviere”.

Una prova che fa pensare al miracolo, anche perché il trio toscano meraviglia con una capacità rara di spaziare senza identificarsi in nessun genere prestabilito.

Aspetteremo l’uscita del disco il 27 maggio a cui seguirà il primo video di questo “Granprogetto”, un lavoro che fa forza su poche e semplici regole, un album che si inerpica su sentieri mai banali e di certo rigogliosi.

Per info:

https://www.facebook.com/granprogetto

This is head – The album ID (AdrianRecordings)

Ogni singola nota è stata ricomposta e creata per dare idea progressiva di una matrice mai stanca di innovarsi quando il rock indipendente sembrava morto e sepolto, logorato da tagli troppo profondi di giornalisti e critici della prima ora troppo avvezzi a stimolare parti neuronali lontane dal savoir fare e intrise di puro spirito dilettantistico.

I 4 rinascono da une sepa13702razione, la fatica di ricominciare, quando si è soli tutto in qualche modo sembra perduto; un lavoro fatto di cesello e perfezione questo “The album ID”.

Gli svedesi stupiscono con le loro sonorità, dal freddo sbarca un elettro-pop che scalda l’anima, ascolto dopo ascolto: provare per credere.

Tu puoi percepire ogni singola canzone e non ricordarti, alla fine, il motivo portante; io lo definirei pop-intellettuale in quanto non scade mai nella banalità e neppure nelle divagazioni tipiche di un suono tanto italico che ricorda la regola: se fai parti strumentali con cambi di tempo sei figo altrimenti caro sei fuori.

Legno e pietra sommersi da acqua che porta tutto con se, canzoni come”Staring Lenses” sono riempi-stadi, poi troviamo i cori e  le eccheggianti sillabe ripetute e sostenute da tappeti di riff semplici, ma efficaci in  “Illumination”, “A B – Version” è elettrizzante quanto basta per gridare al miracolo, tutto il disco è concentrato di Arcade Fire, MGMT coadiuvati dalla migliore scena indie-rock del momento.

La favola continua con “Time’s an Ocean” dal sapore marittimo e ricca di riverberi solari che preannuncia la sperimentale “Summertime”, degna di nota la finale “If I” che prenda spunto da film di Felliniana memoria per varcare la porta dell’infinito.

Henric, Tom, Adam e Bjorn raccolgono tutto ciò che di meglio si può trovare ora per riprodurlo in un unico disco dal sapore elettrico con sferzate pop curate al dettaglio, possono tranquillamente spedire una cartolina al migliore produttore di questa terra e dire: ti sei dimenticato di Noi vienici a trovare, ma vestiti leggero, qui in Svezia fa molto caldo.

Guarda il video della loro traccia:

A B – Version video

Fusch! – MONT CC 9.0 FIRST ACT (Jestrai)

Se con il precedente “Corinto” ci si chiedeva il pianeta di provenienza di questa band stellare ora con “Mont Cc 9.0 FIRST ACT” il dubbio è riposto in un angolo per lasciare spazio a sonorità di sicuro impatto e a vie segnate e continue.

I 4 bergamaschi rispolverano le  tute spaziali e ci consegnano 5 lunghe strade quasi del tutto strumentali per raggiungere galassie nascoste e inesplorate.

Il suono è una commistimont-cc-90-first-act-fuschone di generi soffocato da interventi atmosferici di deflagrazioni chitarristiche e sintetizzatori calibrati e sinceri che non scadono nell’ovvietà, ma che esaltano un cerchio in via di definizione  che si apre e si chiude nel migliore dei modi grazie anche al supporto di una solida base ritmica.

L’imprevedibile “Broken T-shirt” ci annienta con voci dall’oltretomba, mentre “Sbando alle Mancerie” è un gioco di parole da film di Tarantino dove la sonorità si sposa benissimo con la sequenza della pellicola.

“Sintesi” è eruzione vulcanica e orgasmica in progressione mentre “Cosmogenesi 9.0” è atterraggio senza fine; chiude l’ipnotica “Catherine Deneuve” a donare sprazzi di trombettistica follia.

E’ un progetto particolare il loro, composto da 3 atti, questo è il primo, che spero ci riserverà numerose sorprese come del resto lo è stato il disco d’esordio.

Un progetto diviso in tre che ci consegna le prime 5 strade per raggiungere lo spazio abissale, un rincorrere meno cupo il buio che avanza, un sodalizio tra sperimentazione e motori d’avviamento, per raggiungere, ancora, il pianeta “Fusch!”.

Chiara Jerì, Andrea Barsali – Mezzanota (Autoproduzione)

Con “Mezzanota” il cantautorato è uno sciogliere di antica poesia e parole che si scagliano vibrando aria di stagioni dimenticate, dove il bel canto la faceva da padrone e la poesia toccava intime corde regalando all’ascoltatore un altro pianeta dove porre le proprie radici e riposare allo spuntare del sole.

Chiara Jerì e Andrea Barsal1363961894Mezzanotacopertinawebi sono due che conoscono molto bene la canzone d’autore italiana e si ritagliano un posto importante sia nell’interpretazione di pezzi storici come “La donna cannone” di De Gregori, “Canzone II” di Pippo Pollina e “Fino all’ultimo minuto” di Piero Ciampi, sia nell’approccio di canzoni originali che il duo chitarra e voce propone senza scadere nella retorica e nella semplicità.

Le influenze stagionali si sentono eccome, primo fra tutti Fabrizio De Andrè che gioca a loro favore dopo la vittoria con il brano “Notturno dalle parole scomposte” del concorso nazionale “Un notturno per Faber”; tra i principali richiami italiani alla scomparsa del grande anarchico cantastorie.

Una poesia quindi che si fa struttura essenziale in una chitarra e una voce calda e accogliente, ma velata di raffinata aggressività in canzoni che prendono il sopravvento lasciando spazi a ricordi sospesi e disincantati.

Palpiti di attesa riecheggiano in “La ballata della ginestra”, mentre pace all’imbrunire si respira in “Notturno  dalle parole scomposte” che fraseggia perfettamente con gli arpeggi di “Innesco e sparo”.

Compito superato a pieni voti con la chiusura di “Vorrei”, nostalgico grido carico di rimpianti.

Ai due musicisti il merito di aver abbandonato le cover band da stuzzichini in fase aperitivo per andare alla ricerca continua di una strada d’autore personale e originale, con un tocco di classe raro e meritevole di nuovi traguardi.