L’inferno di Orfeo – L’idiota (HertzBridge Records – LibellulaMusic)

Un cantautorato che abbraccia sensazioni lontane di rock più classic senza tempo per ricordare che parole e intreccio fiabesco si possono schierare dalla parte di chi l’idiota vuole essere, apparire o chi si atteggia in modo così tale da far credere agli altri di esserlo veramente.

Un disco maturo e lagato in qualche modo alle origini di questi quattro torinesi che ora come ora stanno raccogliendo i frutti tanto sperati, affermandosi tra le migliori proposte della scena alternativa piemontese.

Musica che si mescola con un vissuto in cui il colore dominante il rosso si scontra con il giallo per creare quel tenue arancione di copertina che regala emozioni contrapposte da uno stile unico e certamente originale.

I testi denotano una sapiente ricerca, fulcro esistenziale per gridare le proprie idee senza essere calpestati, senza essere giudicati e in qualche modo per fare quadrare il cerchio della memoria, sempre cara al Silotto frontman.

Un incrocio quindi tra Non Voglio che Clara e Paolo Benvegnù, tra Manuel Agnelli del Quello che non c’è e la poesia musicale di Valentina dorme.

Pezzi che si fanno ricordare per la loro armonia d’insieme sono certamente l’apertura con “La Manovra”,  “Arrampicate” con un cameo DeAndreiano in sferzata elettrica e la title track “L’idiota”, mentre la chiusura affidata alla struggente “Paola” non delude le aspettative di un bellissimo finale.

Un disco che guarda al cambiamento con stile, racchiudendo piccole perle quotidiane da digerire sciogliendole dolcemente dentro al bicchiere di una vita troppo amara in cui sperare di vedere nascere, di tanto in tanto, qualche bel fiore.

 

IValium – Revolution (Venus dischi)

Revolution un album che ammicca ai suoni più classic punk e beat con venature brit pop  di stampo sixties.

Una carrellata di 12 canzoni ballabili fino ad avere male ai piedi, quelle dei Salernitani IValium che fanno dell’orecchiabilità una matrice di sfogo alle esigenze adolescenziali senza mettere in campo folk writer targati anni zero.

Per voce e stile, anche se meno elaborati, ma più diretti, ricordano i padovani MiSaCheNevica.

Canzoni quindi che scivolano come acqua di un fiume in piena che non lascia scampo nemmeno al più imperturbabile degli eroi.

Tracce che si fanno di certo ricordare sono “Io sono un Punk” con un ritornello strappa capelli, mentre il singolo “15 anni” fresco di un video che uscirà il 16 dicembre, è pura denuncia verso un mondo tanto stretto da far pensare che in qualcosa di meglio si può certamente sperare.

Bellissima nel finale la corale “Giochi Perfetti”, mentre attimi di psichedelia a colori fluorescenti si respira in”Syd + Lou barret”.

Un album fresco e genuino che non si sentiva da tempo, un disco che non si fossilizza nelle note oscure, ma regala attimi di gioia pura e pensieri che non sfiorano la materia cerebrale, ma che si snodano su, in alto, fino a toccare il cielo.

The singers – The singers (Cosecomuni)

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Succede spesso di incontrare gruppi che hanno un buon tiro, registrazioni impeccabili e andirivieni di fraseggi chitarristici da cori da stadio.

Capita però con meno frequenza di imbattersi in band con un sound maturo, seppur al secondo disco, portanti di un’energia che involontariamente esplode come fosse un modo per assistere ad un live nella poltrona di casa.

I The Singers nel loro omonimo regalano 10 canzoni di incrocio tra pop e new wave, a tratti sembra di stare dentro al film Kellyano “Donnie Darko”, altre nella colonna sonora di “Beverly Hills” o “Dawson’s Creek”, il che non ha nulla di negativo anzi il gruppo è sempre alla ricerca della canzone alternativa perfetta: orecchiabile, ma allo stesso tempo con appeal underground.

I cinque mantengono quindi le promesse, sanno cosa vogliono e lo sanno fare bene, canzoni che colpiscono sono certamente “Toronto” e “Flowers in Navona” altre ricordano invece evocativi ricordi come in “Maestro” e “Alice”.

Un miscuglio quindi eterogeneo di stili da “Spandau Ballet” a “Tears for fears”, dai più attuali o quasi Placebo alle cavalcate potenti di Nickelback.

Unica pecca dell’album a mio avviso, è che ad un certo punto le canzoni suonano un po’ tutte uguali: l’originalità nel complesso si sente eccome, un po’ meno manca la canzone che emerga in modo preponderante rispetto alle altre.

Resta comunque una bella prova, velata di rosa e conturbante quanto basta: creata per far innamorare.

Facciascura – Stile di Vita (Cabezon Records) SuperAnteprima!!!

Facciascura – Stile Di VitaPotenza e illusione del volo, capienza di stili che vanno a confluire in unico corpo fin dentro le ossa di un cercatore di tesori nascosti.

Ci sono band che colpiscono al cuore e alle viscere, che ti lasciano senza scampo colpendo precisamente i punti vitali, i punti emozionali e lasciandoti a bocca aperta per un bel po’ di tempo.

Tra questi ci sono i “Facciascura” band veronese che al secondo album, prodotto da Andrea Viti ex Karma e Afterhours, mette la firma per entrare a pieno titolo nel circuito indie italiano.

Rock e psichedelia, cantato sporco e attitudine punk contornata da suoni studiati a tavolino e cori impeccabili.

Il disco vanta 3 partecipazioni importanti: “Uragano” con Paolo Benvegnù, “New songs are no good” con Shawn Lee polistrumentista già collaboratore di Jeff Buckley, Amy Winehouse, Alicia Keys e Kylie Minogue ed infine la presenza di Alessandro “Pacho” Rossi nella bella rivisitazione di “Maggie M’Gill” brano degli storici Doors.

Il tutto suona come un enorme vortice scomposto e ricomposto per creare una trama indefinibile e inarrivabile.

I 5 veronesi Carlo Cappiotti, Francesco Cappiotti, Christian Meggiolaro, Simone Marchioretti e Philip Romano si arrichiscono di suoni di canzone in canzone culminando il tutto nella bellissima “Alaska”.

Un disco profondo, intenso e velato da quella tristezza nel nulla che avanza.

Un preciso istante, un balzo verso la luce e poi tutto si ferma nella parte scura della luna.

Emmanuele Gattuso – Plaything (Autoproduzione)

emanueleSolo 6 tracce per entrare in un mondo e non uscirne più, solo 6 i passi che accompagnano nell’inconscio e nelle terre inesplorate, solo 6 i brani che racchiudono un’energia segreta e misteriosa, potenza nascosta dietro a foglie di alberi plurisecolari.
Emmanuele Gattuso scardina la forma canzone per far parlar di se con un album strumentale e onirico, fatto di sintetizzatori e parole rigenerate in bilico tra il primo James Blake e il Kid A passando per Massive Attack su tutti.

Un incrocio di stili che già si pongono con accento meditativo nella traccia di apertura “Loser” accompagnata da rumori disturbanti e intrecci chitarristici a quietare animi pronti al sussulto quotidiano che ti fa capire quanto perdenti possiamo essere nella vita di tutti i giorni.

“Bist du auch in meinem Traum?” tradotta “Sei nel mio sogno” romba di colore invernale, calpestata da una batteria e un synth schizzato e cerebrale.

“Ocean” è pura bellezza sonora legata a mescolanze lunari, mentre la spiazzante “Plaything” sembra una ninna nanna robotica dove nulla è affidato al caso aprendo il campo a “Your Sunday” l’altro pezzo cantato del disco che incrocia Kings of Convenience a Jimmy Gnecco.

Nel finale l’aria si fa leggera con “Wire Field”: 6 minuti di pura catarsi.

Questo disco ha del magico perchè conquista per le atmosfere e le trame sonore eleganti ed essenziali, un quadro dipinto su di un tablet dove i colori sono bit sonori impressi su di una tela infinita.

ASCOLTA IL DISCO QUI

http://emmanuelegattuso.bandcamp.com/

Kalweit and the Spokes – Mulch (Irma Records)

kalKalweit è tornata assieme agli amati Spokes.

Una voce ammaliante e quasi imprevedibile dove il cantautorato più raffinato si mescola ad intrecci di elettronica meravigliata da sali e scendi di tastiere in refrain che si permettono il lusso, stilisticamente parlando, di creare ambiziosi intrecci di synth e percussioni suggestive che si perdono in lontananza per poi entrare inesorabilmente come sveglia del mattino.

Atmosfere quindi oniriche, chitarre e lievi sussurri alla Kings of Convenience supportati dal ritmo delle 6 corde in roll and rock e preferendo piccoli interventi a momenti suonati allo stremo.

Un disco che rimanda al passato, il sapore vintage di questa piccola opera traspira a dismisura negli anfratti e nei solchi di questo laser cd, mentre come un lento carillon il tempo si scaglia con respiri a polmoni aperti.

Presenze in questo disco di un certo livello come Gnu Quartet in Fifth Daughter la fanno da padrone per impreziosire maggiormente la qualità totale dell’album.

12 pezzi che strizzano l’occhio a Velvet Underground e Radiohead, Cure e Jeff Beck.

Meraviglie sonore le possiamo toccare con mano in tracce come Kate and Joan o nella leggiadra Appliances, No need ricorda Placebo e Corgan classe 1979 mentre la pre – chiusura è affidata in Wetutanka con il clarinetto di Nicola Masciullo e il violino di Eloisa Manera.

Un album per tutte le stagioni che racchiude in un cuore di metallo una piccola fiammella che riscalda anche i cuori più gelidi, regalando attimi di luce prima del buio.

Les Fleurs Des Maladives – Medioevo (ZetaFactory) Super Anteprima!!!

Un disco di puro stoner rock che fa saltare dalla sedia anche il più profano del genere.

Medioevo uscirà il 12 Novembre, ma noi di IndiePerCui abbiamo deciso di recensire l’album in anteprima.

les-fleurs-des-maladives-musica-medioevoIl trio lombardo è una realtà fresca e orientata ad un rock granitico caratterizzato da passaggi-assaggi di pura poesia emozionale.

Si perché al fragore elettrico è associato un convincimento di liriche che va oltre la media ascoltata nell’ultimo periodo.

I tre sono un misto tra Elettrofandango e Teatro degli Orrori con occhi oltreoceanici rivolti ad Alice in chains e Audioslave.

Il suono che ne esce è potente e deciso: una tempesta perfetta che si scaglia con violenza e precisione all’interno di ogni cuore che ascolta.

Le canzoni più incisive sono “Medioevo” a cui è accompagnato un significativo video uscito in questi giorni, “Novembre” invece è canzone scelta da Nada per essere cantata nel suo “Live stazione birra”, poi la scaletta si fa sempre più viva con “L’alchimista” passando per “La bellezza” spartiacque perfetta che apre letteralmente le menti e lascia con un amaro in bocca indescrivibile.

“Ennio” è apertura spasmodica all’indefinito in una strumentale che ci porta a “Dharmasala” canzone di protesta che comprende piccole suite di sperimentazioni ingegnose.

In conclusione la ballata leggera e decadente “21 grammi di cenere” con tanto di arcobaleniana ghost track acustica nel finale.

Un disco che appassiona fin dal primo ascolto, sarà un po’ per i suoni curati, i testi ricercati e la voce gridata, ma pulita che “Les fleurs des maladives” donano e fanno trasparire da tutti i brani una passione sviscerale per il cambiamento, un percorso che crea alternative  possibili dove ognuno è libero di fare le proprie scelte con consapevolezza scavalcando ogni barriera esistenziale, unico vincolo per un’Italia da cambiare.

 

Calvino – Occhi pieni occhi vuoti (Autoproduzione)

Ascoltatevi il primo Vinicio Capossela con sprazzi del miglio Battisti intimista, aggiungete poi i Non voglio che Clara e l’elettronica puntuale e di sottofondo dei Gatto Ciliegia e vi ritroverete in un mondo fatto di impressioni e gesti veri, tra i più puri che si possano ascoltare in questo periodo di forte rumore e frastuono.

calvino

Mauro Ermanno Giovanardi e Mario Venuti avrebbero qualcosa da dire ascoltando i Calvino, progetto del cantautore milanese Niccolò Lavelli, che ricorda i La Crus per stile e impostazione canora.

Solo quattro pezzi di presentazione per entrare in un mondo di impressioni e visioni di vita che si sposano perfettamente con il passato facendo da tramite, da ponte con un punto di vista sempre originale e mai banale.

 

Bellissima “Nella città”, più movimentata “L’amore in aria”, mentre si ritorna nelle atmosfere sognanti con “Il clochard e la Senna” canzone amara quanto reale.

A concludere la preziosa “I fantasmi”: ballata orecchiabile dal sapore retrò.

I Calvino a mio avviso sono una bella realtà con numerosi punti di forza e grandi capacità personali, gli arrangiamenti si fondono in groove pacati e azzeccati e la linea melodica rispetta un certo rigore ed essenzialità.

Un piccolo disco prezioso da custodire e da far ascoltare solo a chi può cogliere fino in fondo il profumo di queste canzoni.

Galleria Margò – Giro di vite (Rocketman Records)

Un album sicuramente per il nostro tempo, questo del quartetto “Galleria Margò”, che si muove geograficamente tra Milano, BolGalleria-Margò-Fuori-Tuttoogna e Varese.

Un disco di debutto fatto i ironia e cantautorato che si mescola al folk e al rock passando delicatamente alla forma-canzone più espressiva e ricca di sfumature e similitudini con il grande passato.

Una prova che rimane personalissima, soprattutto in pezzi come “Giro di vite” e “Paga tu” a sancire doppi sensi che polemizzano in modo discreto sulla situazione attuale della vita.

Una voce asciutta e carica di fendenti quindi, che coadiuvata da una base ritmica sempre precisa, regala a chi ascolta il gusto di sentirsi in un veloce giro di giostra che non ha mai fine.

In questo disco si assaporano i colori di una passeggiata nel verde interrotta dalla spazzatura scaricata lungo i fiumi, si perchè la “Galleria Margò” sa cosa vuole colpire e lo fa in modo elegante e disincantato.

In poco tempo ci accorgiamo di essere spettatori quotidiani di un mondo che non è nostro.

 

Les enfants – Persi nella notte (Via Audio Records)

Oggi 20 Settembre 2013 i “Les enfants” presentano il loro disco all’ “ARCI Biko”.

Per ironia della sorte, senza saperlo, io mi sono messo a scrivere di loro, un album preso a caso tra le decine che sono lì in attesa di essere recensiti.

Dalla prima nota morbidlesenfantsa e avvolgente il disco mi è piaciuto, sono quei pezzi che creano con l’ascoltatore qualcosa di unico e magico e rendono necessario un continuo ascolto per entrare nell’immaginario di questi 4 giovani milanesi che sembrano vivere in una piccola casa su di un alto albero avvolti da nuvole e turbinii leggeri e autunnali.

5 canzoni, tra cui una strumentale, una voce particolarissima che mescola il miglior Finardi ad atmosfere più cupe e nascoste.

L’ep apre con “Milano” dirompente quanto basta per distruggere argini di vita racchiusa in condomini monotoni e uniformi.

“Dammi un nome” è pura poesia per quadri leggeri appesi in aria da fili immaginari.

“Cash” raccoglie atmosfere più eteree e sognanti accompagnate da vibrafoni e melodie orientali.

Chiude bene la speranzosa “Prendi tempo”.

Un disco che sicuramente vuole essere ascoltato, uno stile che sta prendendo una precisa direzione e spazialità, un album da rincorrere giorno dopo giorno, voce dopo  voce, per un respiro che può abbracciare la solitudine metropolitana.