Joseph Martone – Honey Birds (Freak House)

Honey Birds, l'album di Joseph Martone - Il Giornale OFF

Panorami indissolubili capaci di fondersi con radici del passato a ricreare l’illusione di un cantautorato pregno di storie da raccontare e in grado di attraversare decenni di musica interiore per scaraventarla, oggi più che mai, all’interno di concetti e strutture mai ben delineate, ma piuttosto cariche di atmosfere, cariche di sovrapposizioni e di veridicità. L’album di Joseph Martone si affida all’introspezione americana per dare vita ad un insieme di canzoni che catturano l’attenzione e non si stancano di creare paesaggi in evoluzione, ma piuttosto catturano sguardi e interpretazioni di un mondo che non c’è più. In questo Honey Birds troviamo lo Springsteen solitario, Bob Dylan, Micah P. Hinson, ma anche il nostro Stella Burns. Da Working on me fino ad arrivare a Firefly il nostro riesce a trovare una leggera luce all’interno dell’oscurità che avanza, tessendo trame da primo della classe per un disco davvero importante.


Angelo Daddelli & I picciotti – Angelo Daddelli & I picciotti (800A Records)

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Otto pezzi che infrangono i muri di confine per consegnarci un suono pregno di risultato, pieno di influenze, di storie e di vita. Sembra di ascoltare un miscuglio eterogeneo di world music conficcata nelle ultime produzioni di De André in una ricerca mediterranea di amore per la musica, amore per l’arte, amore per la gente. Angelo Daddelli & I picciotti riescono nell’impresa di mettere in musica una vitalità davvero sorprendente. In questo album ci sono storie di lavoro, di emigrazione, storie di sudore e abbandoni. Lo si percepisce da un sole che consuma le rughe e si fa nel contempo sorriso oltre le difficoltà quotidiane. Ci sono canzoni sorprendentemente cariche di una forza oltre ogni aspettativa. Un disco che sa far ballare, sa far riflettere, imprigionando l’attimo in una tradizione che diventa contemporaneità  e non delude, ma piuttosto incarna un pensiero in canzoni come l’apertura di U puddicinu passando per la bellissima Ti ti ti, Abballati, Comu si beddra, Vicariota. Ciò che ne esce è un insieme di pezzi che prende spunto dalla vita di tutti i giorni raccontando di una terra mai spezzata, ma bisognosa di un punto condiviso da cui ripartire.


I Trillici – Così underground che mi vorrei seppellire (Upupa Produzioni)

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Suoni provenienti dalla cameretta domestica che percorrono l’etere di storie e vicende, passi incontrollati, valvole di sfogo sempre pronte ad esplodere. Il lo-fi inscatolato a dovere de I Trillici fa la sua bella figura in ambientazioni scarne che pian piano riempiono i nostri vissuti dei poster di ciò che è stato, raccontando una realtà dolce amara piena di sorprese ascolto su ascolto. Una voce che parte in sordina si apre in un secondo momento nell’illusione di sperimentare e raccontare storie che alla fine riguardano un po’ tutti noi. I Trillici confezionano un dischetto sincero, senza velleità, un album a tratti strampalato che raccoglie nell’illusione dell’esistenza pezzi folkeggianti inglobati da un ukulele da spiaggia distorta pronto a lasciare il segno. Così underground che mi vorrei seppellire diverte con introspettiva solitudine e non è cosa da poco.


Belzeboss – L’ora dell’acquario (New Model Label)

Cantautorato senza peli sulla lingua che parla a gran voce di una quotidianità criptica e separata da ogni qualsivoglia forma di perbenismo in un tessuto sociale da ricomporre e da far nostro. Il disco di Belzeboss, all’anagrafe Paolo Capetta, consolida un amore verso un racconto, verso la prosa, verso una protesta che diventa parte di un abisso da esplorare e si rifà inevitabile al mondo circostante attraverso una canzone d’autore poderosa e sporcata da un blues sempre pronto ad accendere, sempre pronto a regalare emozioni pezzo su pezzo. Il disco, prodotto da Alberto Nemo che lo vede protagonista anche degli arrangiamenti, è un viscerale impianto di bisogni che produce sudate cosmiche ben proiettate in questa nostra vita. L’ora dell’acquario è un album per chi è alla ricerca di un’immediatezza contaminata e ricca di rimandi, ma altamente corrosiva e mai amante delle mezze misure.


Radio Lausberg – Terre di mezzo (VREC)

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Folk condensato e concentrato all’interno di una Terra di mezzo chiamata vita dove anime errabonde si scontrano e si confondono con le essenzialità di un vivere che ci pone sempre al centro, sempre nel mezzo di una necessità a cui non riusciamo a dare un nome. La musica priva di barriere dei Radio Lausberg, per l’occasione prodotta da Erriquez della Bandabardò, esplode in necessità e si afferma capace di comprendere sensazioni moderne di una contemporaneità messa in discussione dalle prove della vita. Terre di mezzo è un disco immediato, bellissima l’apertura affidata a Paraculo Caterì che concentra le idee di un intero album, di una intera prova. I Radio Lausberg ci consegnano una manciate di pezzi ispirati quanto basta per lasciare in disparte l’inutile di ciò che ci gira intorno e focalizzando punti di vista e ruoli all’interno di una quotidianità da rilanciare e da rielaborare in un’ottica diversa e condivisa.


Joe Pansa – What’matter? (Autoproduzione)

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Suoni profondi che rispecchiano un’anima errante capace di incrociare con fare del tutto personale l’intimità del folk con una musica parlata stratificata a volontà che non riconduce ad un unico genere, ma intesse trame di ordito concatenate regalando meraviglia ascolto su ascolto. Il disco di Joe Pansa riesce a suscitare emozioni costruttive e interessate al mondo in cambiamento. Un artista di strada che mette a disposizione il proprio bagaglio di illusioni e veridicità impresse nella mente di chi ascolta, impresse attraverso i muri che ci sentiamo nostri, muri da abbattere, frontiere che non esistono. Nella formula indie proposta il nostro riesce a svelare i segreti dell’anima, riesce a veicolare un pensiero fatto di speranze per il futuro. What’matter? è un disco ben strutturato che in pezzi come la title track d’apertura, Take me, Merry old soul riesce a conquistare un posto nel mondo da occupare, una propria strada di interiorità lasciata a decantare nei meandri della vita.


DEUT – A running start (Autoproduzione)

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DEUT è pronto alla rincorsa per la vita attraverso una musica d’insieme che nelle note d’autore ritrova il giusto modo per spingere l’intelletto oltre i propri confini. Una musica immediata, una musica sensibile a questo nostro tempo, intessuta attraverso le trame esigenti di una ricerca che nella semplicità trova il suo punto più alto, un punto d’appeal fatto di folk malinconico e ballate capaci di percepire una notte che porta con sé il cambiamento e il sapore delle cose migliori. A running start sembra quasi una corsa contro il tempo, un gesto, una carezza, prima che sia troppo tardi. Cinque pezzi soltanto che compongono un EP a tratti immacolato. Un racconto del nostro DEUT, all’anagrafe Giuseppe Vitale, capace di percorrere in modo del tutto naturale, strade d’amore verso la vita che ci portiamo dentro.


Simone Piva e I Viola Velluto – Fabbriche, polvere e un campanile nel mezzo (Toks Records/Music Force)

Periferie cariche di ecomostri, fabbriche sempre aperte che si stagliano all’orizzonte grazie a fumi inquinanti, luci abbaglianti che trasformano il nostro stare al mondo in una pubblicità continua, in una desolante discesa verso il nulla totale. Fabbriche, polvere e un campanile nel mezzo è l’incontro con il nostro stare al mondo. Una polaroid scattata nell’opulento nord est italiano, una fotografia lineare di ciò che ci circonda raccontata con maestria e ironia a coronare un’esigenza di rappresentare in musica uno spaccato di questa società. Simona Piva e I Viola Velluto ritornano con un nuovo album. Un disco pregno di storie dall’animo westernato e folk, impregnate di cantautorato da osteria che ricorda i primi TARM per freschezza e genuinità e per ciò che viene raccontato. La battaglia infuria che fa da apripista al disco è forse la canzone più riuscita. Un pezzo da mandare in loop a tutto volume fino all’indigestione totale. Il mondo rappresentato dai nostri rispecchia inesorabilmente quello che si respira nelle regioni del nord Italia. Raccontano di una provincia inglobata, raccontano di questo nostro tempo infame, dove forse i sentimenti saranno l’unica cosa che ci potrà salvare.


Impermeabili – Non ci siamo per nessuno (IRD/Artist First)

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Musica inglobata all’interno di schemi che di certo non possiamo dire definiti, ma piuttosto frutto di un lavoro di cambiamento continuo e necessità di affondare radici nei generi più disparati e comunque concentrici. Il disco del duo Impermeabili è un insieme autorale di bisogni sempre nuovi nel raccontare la nostra realtà attraverso uno stile che diventa emblema, uno stile che si evince nei pezzi proposti. Si passa con facilità da un folk d’autore, all’introspezione sincera, fino ad arrivare allo swing e al blues passando per il pop e attraverso tutto ciò che risulta essere necessario per parlare di un mondo in cambiamento. Tre temi centrali: l’amore, la morte e il fraintendimento, tre temi essenziali per capire una poetica che si dipana tra le nebbie moderne. Da Una mini ballata postmoderna metropolitana fino a La canzone bipolare i nostri riescono nell’intento di creare sapori e percezioni sempre nuove partendo da un mondo in dissolvenza.


 

 

Orlando Manfredi – Storifilìa (Mexicat/IRD)

album Storifilìa - Orlando Manfredi & Duemanosinistra

Disco pregno di parole, contorto, labirintico, avvinghiato ad una costante di ricerca, ad una costante tangibile che passa dal soul al cantautorato a riscoprire arte, pensieri in successione, melodie che si fondono con la complessità di un’opera rara di questi tempi. Torna Orlando Manfredi con un disco affamato di musica. Una musica d’autore che non si sentiva da un secco di tempo. Fossati che incrocia De André e poesie a ricoprire strade di realtà. Asfaltando il cemento con l’erba e occupando cieli a non finire con un suono d’insieme avvolgente e a tratti disincantato. Storifilìa parla di questa realtà. Parla di questa vita da televisione, parla di elettronica da confine. Racconta con capacità uniche di un’esistenza al limite che deve essere recuperata nella sua attuale essenzialità. Orlando Manfredi dalla title track fino al finale concesso a Rosetta entra di prepotenza all’interno delle nostre vite, lasciando un segno tangibile del suo passaggio. Bravo davvero.