Gabrio Baldacci – Nina (Auand)

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Stravaganza eccentrica nel concepire una monumentale visione d’insieme attraverso un’unica creatura chiamata Nina contenente tre dischi, tre cd in un packaging sontuoso, elegante che racchiude al proprio interno la coscienza materiale del supporto fisico e la qualità costante di una musica che si respira traccia su traccia. Nina è un viaggio. Una scoperta. Un eterno bagliore che parte dalle visioni crepuscolari. Dal buio che pian piano fa intravedere una luce. Una poesia sonora futurista che ingloba elementi classici ad altri sintetizzati ed elettronici. Una commistione strumentale di Bachi da pietra e Gatto ciliegia contro il grande freddo in un eterno migrare, un eterno vivere. Tre dischi quindi che rappresentano probabilmente tre anime differenti. Prima da solo, poi in duo ed infine in trio ad immedesimare potenza mescolata ad arte nel ricreare una dedica reale alla figlia, al musicista Stefano Bartolini e riunendo in un senso comune un mistico migrare di sogni infranti e sogni ancora da costruire. Nina è un viaggio. Un viaggio bellissimo.


Matteo Bortone – No land’s (Auand)

No Land's

Suoni psichedelici rinfrescati da un jazz moderno in grado di consegnare un disco niente male che si affaccia, con grande decisione, su territori inesplorati e vergini. Punte sonore, ritmi a tratti tribali, condensazione a più non posso e profondità raggiunte a scavare introspezioni solitarie, introspezioni che non vanificano l’attesa, ma piuttosto, come onda trattengono l’andare e il venire  per consegnarci una musica che effettivamente trova nell’eterogeneità un tratto peculiare e altamente corrosivo. Sono dieci pezzi per una commistione d’intenti capitanata da Matteo Bortone che rimescola le carte in gioco e per l’occasione ci fa trovare, sul piatto della meraviglia, strumenti per così dire prettamente rock come il rhodes o l’eterea visione del glockenspiel coronando il tutto da elettronica, voci, impianti su impianti, tecnica sopraffina mescolata alle impressioni in divenire. No land’s è un disco che ha un forte spessore personale, uno spessore implementato da una capacità musicale che sa dare senza chiedere nulla in cambio.


Dario Piccioni – Carpet Stories (Auand)

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Elementi dell’infanzia intersecano la contemporaneità e alternano ricordi e presente attraverso uno stile che ci porta immediatamente con la nostra coscienza all’interno di quei meccanismi arcani che inevitabilmente e difficilmente riusciremo mai a scordare. Carpet Stories raccoglie spunti riflessivi in grado di attraversare il tempo per consegnarci uno spaccato di vita caro all’autore abbracciando in senso ampio un mondo sotterraneo per riemergere in un unico e sentito splendore. L’intera prodezza di Dario Piccioni mescola elementi jazz con musica da lounge club mediterraneo. L’odore del mare e il colore dei tramonti amplificano elementi di terra, di acqua e di aria. Tower of silence, Dounia, Canto di restanza uno e due, la stessa title track sono pezzi chiave per comprendere un’eterogeneità di fondo pronta a colpire. Carpet Stories è un diario aperto. Un diario di vita imprevedibile e sincero.


Ananasnna – Veloci come in 500 ( Auand)

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Pezzi di storia incastonati tra le lamiere solubili di una musica che non conosce tempi di scadenza, ma che piuttosto è un continuo rimando al vintage di classe, un continuo rimando ad un tempo che non c’è più. Ascoltare gli Ananasnna e il loro progredire musicale porta il cuore e la mente dell’ascoltatore al tempo passato del grande cinema italiano, delle commedie di un certo spessore, del bianco e nero e di un modo di fare i film che ora non esiste. Allo stesso tempo però in Veloci come in 500 analizziamo echi di corse poliziesche che ricordano i Calibro 35 e le scelte stilistiche intraprese di certo sono simbolo di qualità intrinseca davvero importante. Da Scatta il rosso passando per Spariglio, Il Gran San Bernardo, Arearitroso i nostri riescono nell’intento di dare vita ad una musica che non ricopre un ruolo effimero, ma che piuttosto diventa colonna sonora portante di un passato invidiabile.


Big Monitors – Knots and notes (Auand)

 

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Soluzioni per nulla scontate per un’improvvisazione sonora compatta e fluida in grado di spaziare, aprirsi e ricomporsi. Il disco dei Big Monitors rappresenta una sorta di summa free jazz dove incipit e personalismi fanno da contraltare ad una vibrante esibizione di immagini composite e unite che non lasciano indifferenti, alternando chiaro scuri e pezzi di concatenazioni dove la fantasia regna sovrana. Knots and notes è un insieme di appunti che scorrono via via ampliandosi. Una sorta di bolla d’aria pronta ad aprirsi che trova nel disintegrarsi della misura un punto da cui partire, un punto da cui fuggire per poi ricominciare a stupire. Un omaggio a William Parker, una solida concezione esistenziale dove i tredici pezzi proposti alternano visioni mai definite, ma cariche di quell’improvvisazione necessaria nel ricreare nuovi mondi possibili.


Urban Fabula – Movin’ (TRP Music)

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Concentriche visioni jazz impressionano per freschezza introspettiva che ha il sapore delle cose migliori, del tempo che passa, della vita che matura. Una storia di amicizia centrifugata attraverso visioni e impressioni da colonna sonora cinematografica capace di  perpetuare il ricordo attraverso fraseggi in divenire di calma apparente, di mutevole follia e dolce carezza. Gli Urban Fabula ci regalano otto tracce in bilico tra improvvisazione e meditazione. Uno squarcio sempre aperto all’interno di possibili scenari che amplificano l’essenza e si concentrano nel creare tappe nel cammino umano. Tappe che ritrovano nel senso del percorso un punto di raccordo non trascurabile. Movin’ è una sorta di concept che mescola voci e musica, eleganza e dinamicità, bellezza stilistica e quel pizzico di invettiva che non guasta, ma che guadagna punti sul palcoscenico della vita. Gli Urban Fabula, con questo album, riescono a dare voce alla parte più nascosta di noi grazie ad una musica eterogenea, imprevedibile, a tratti unica.


Moltheni – Senza eredità (La tempesta)

Ritrovare i cocci del passato e sintetizzarli all’interno di un disco emblema capace di catturare fotografie in bianco e nero in grado di accogliere la bellezza del tempo che passa e la sostanza metaforica del nostro essere vivi. Ritorna, dopo dieci anni, lo pseudonimo Moltheni a riempire di lirismo elevato una somma concentrata di episodi leggeri pescati nello scatolone del tempo e registrati e suonati con l’aiuto di musicisti importanti come Riccardo Tesio, Egle Sommacal, Massimo Roccaforte, Carmelo Pipitone ad impreziosire la scena. Ciò che ne esce è un album di buone canzoni. Ieri, Estate 1983, Nere geometrie paterne sono solo piccole parti di un disegno complesso che forse non riesce a prendere forma completamente, ma che nell’insieme regala una qualità intrinseca davvero invidiabile. Umberto Maria Giardini ritorna come fantasma di una vita passata per dare voce a quella parte di sé indimenticabile attraverso una sentita visione di ciò che è stato, di ciò che è.


Collettivo Ginsberg – Kintsugi (Ribéss Records)

album KINTSUGI collettivo Ginsberg

Monumentale disco commovente che riflette raggi di luna per raggiungere altitudini imponenti, riflessive, interiorizzate, maestose. Sesto disco per il Collettivo Ginsberg. Disco anomalo che toglie il superfluo per raggiungere un bisogno di comunicare che si esprime grazie alla potenza introspettiva di pezzi ammalianti e concentrici pronti ad osservare da vicino storie metafisiche di pace e abbandono. Una sorta di post rock che si apre all’ambient ricordando i veneti Nova sui prati notturni, Paolo Cattaneo di Una piccola tregua, i Marlene Kuntz di Uno in una sorta di ellisse temporale che abbraccia cicli di vita, un andare e un tornare. Fermarsi e poi riprendere nelle incertezze di ogni giorno. Kintsugi è un disco atemporale, raccoglie i pezzi di ciò che è stato per portarci in un’altra dimensione dove convive la morte e l’esistenza, il sogno e il reale. Al chiaro di luna, Chiedi alla polvere, la stessa title track sono oro che cola ad unire ciò che è stato distrutto e che oggi, grazie ad una bellezza profondamente unica, rivive ancora.


I casini di Shea – Parco Gonzo (Cabezon Recods/Xo Publishing)

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Terremoti punk rock noise che non si sentivano da molto tempo. Tanta qualità per un dischetto niente male che se ne frega principalmente delle mode imposte per regalarci soddisfazioni da cantina lercia e umida. Una sorta di grunge nostrano fatto di melodie schiacciasassi dure e pure. Musiche immediate che non cercano mezze misure e nemmeno si accontentano, cercano in qualche modo di entrare nel cuore dell’ascoltatore attraverso una linea direttrice, una bolla d’aria  pronta ad esplodere in qualsivoglia momento. Ecco allora che le quattro tracce proposte, l’ultima è chiamata Carlitos ed è da considerarsi una bonus track, scorrono gorgoglianti e tutt’altro che placide. Sono un fiume in piena, sostanza melmosa, pezzi di terra bagnata dove c’era arsura. Legami, elementi compositi di un’immediatezza alquanto invidiabile.


Monarkaotika – Psicanalisi (Autoproduzione)

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Rock cantautorale affossato nei meandri della mente pronto ad esplodere in un alternative d’oltreoceano che si incunea a dismisura a cavallo delle onde del mare. Distorsioni a non finire e pathos ricreato ad arte per un disco, il nuovo dei Monarkaotika, capace di convogliare forze ed energie lungo pensieri suadenti affacciati su nove pezzi, tra cui la cover di Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi di Lucio Battisti in versione hard. Canzoni che convincono per freschezza e semplicità di fondo. Niente di nuovo sul fronte occidentale certo, ma la musica di questo Psicanalisi riesce nell’intento di trasportare immediatezza grazie all’idea di registrare il tutto in chiave live così da poter assaporare una sorta di disco dal vivo costruito e levigato a dovere. I Monarkaotika ci regalano nove tracce, da Per lo meno fino ad Aldilà, per un album che apre la strada ad un nuovo bisogno di comunicare.