Gibilterra – Alcune piccole verità (Autoproduzione)

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Duo acustico impressionato dai paesaggi che si stagliano all’orizzonte pur raccontando di verità urbane che aleggiano nell’etere e scaldano al calore della scoperta, di un’emozione, del piacere di ritrovarsi a cantare ritornelli che non si dimenticano di certo ad un cambio di stagione. L’esordio dei Gibilterra è un album trasparente e soggettivo, un disco che si misura con l’ironia, ma anche con la calma e l’introspezione tipiche di un cantautorato che raccoglie spunti dalla scena romana, Niccolò Fabi su tutti. Cinque pezzi soltanto che sono impressioni e parlano di verità, quel termine interpretabile che trova in canzoni come i singoli Da domani torno in me e Maledetto un passaggio importante, un giusto ponte, un giusto punto di transizione con la scoperta personale, con il senso vissuto del nostro profondo vivere. I Gibilterra che per l’occasione sono coadiuvati dalla batteria di Andrea Beccaro e dal basso di Maurino Dellacqua concepiscono un Ep che lascia spazio all’interpretazione per canzoni magistralmente suonate e che non deluderanno di certo dal vivo.

Public – Isole (Dischi Soviet Studio)

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Isole è il netto contrasto di un posto da occupare, di un posto da fare nostro intersecato da architetture geometriche e spigolose in grado di attraversare generi su generi, contaminazioni e valichi da affrontare in una musica che esplode in tutta la sua bellezza e noncuranza delle mode, ma che piuttosto ricerca un evidente grado di personalismo dopo anni di lunga attesa. I Public sono tornati, dopo quasi sette anni, con un disco impressionante dove il pop si fonde e confonde con il rock, il funk, il blues, in un approccio nervoso, immediato, diretto facendosi amare maggiormente dai predecessori e unendo alta capacità musicale con un assetto che assembla e scompone in un cut up emozionale capace di interagire con i singoli membri sino a creare qualcosa di originale, completo. Brani come Sciami, Apnea, Chiamami nel pieno della notte, Immagino, la finale Spopola sono solo alcuni pezzi del complicato puzzle che alla fine del disco si incastrano alla perfezione donandoci una visione d’insieme, un’immagine contrapposta in evoluzione che per la band veneta resta qualcosa di strepitoso e unico nel suo genere. Beraldo, già voce dei compianti North Pole, regala una timbrica coinvolgente, da assaporare soprattutto in chiave live creando saliscendi atmosferici e garantendo un risultato finale che rende Isole uno dei più bei dischi italiani usciti in questi ultimi anni. Impressionante.  


Red Lines – Paisley (Autoproduzione)

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Sonorità d’oltreoceano in grado di mantenere il filo teso della bellezza dalla prima all’ultima canzone, una musica matura per certi versi che incrocia il pop elettronico a suoni psichedelici concentrando l’azione tra lo stupore che tutto questo sia stato creato da una coppia giovanissima di musicisti e il risultato certo di un complesso che nella sua pienezza possiamo analizzare dalla prima all’ultima fatica. Paisley è un album che suona maledettamente bene, gli echi di band come Alt-J, Radiohead, Florence and the machine sono evidenti e l’impressione di fondo, ad un primo ascolto, si raccorda all’interezza di sensazioni che canzoni come l’apertura Talk to me, la sognante Tomorrow, lo sdoganamento in Control III e la finale Together lasciano intendere, in saliscendi emozionali alternati a soffi di pienezza percepibili. Paisley è un album prezioso, il primo di tanti spero, un disco capace di trafiggere in profondità attraverso una voce sottile, un mood disinvolto che è alla ricerca di una propria personalità, ma che getta le basi giorno dopo giorno per sempre nuove soddisfazioni. Bravi.

Lady Ubuntu – Signore se esistessi non sentirei più il ritmo orrendo del pensiero che si avvita (Cloudhead Records)

Profondità scardinata da grida e potenza incontrollata, ironia a sorte e traguardi imprescindibili da raggiungere sono forma e costanza di una band spettacolo che si diletta a rinvangare psichedelia e amore per un art rock d’annata complesso quanto basta per sperimentare ancora un bisogno di procedere al repentino cambiamento che ingabbia, costruisce e smantella modi di vita stravaganti in un’ampiezza di fondo che più di tanto non si domanda, ma che nel vagheggiare errante umano perquisisce a fondo le tasche della nostra mente e incasella una prova astrusa e irreplicabile.  I Lady ubuntu sono tornati con un disco che li vede ancora al fianco del Il Re Tarantola, questa volta nel pezzo He resigns per passare alla collaborazione con I Camillas e il loro pop minimalista, per un album a fasi alterne capace di aprire e chiudere il respiro, interagire con l’ascoltatore scuotendo un di dentro che è naturale prosecuzione di tutte quelle band che hanno sicuramente qualcosa di vero da dire. 


Scogli di zinco – Scogli di zinco (Autoproduzione)

Gli Scogli di zinco sono amore per gli spazi siderali a contemplare l’alba dopo un notte che noi chiamiamo oscurità in una ricerca, un tentativo di creare un’originalità di fondo che prende in prestito le lezioni dello shoegaze per approdarlo a melodie intessute di musica classica a riempire terre islandesi in un post rock che trova spiriti affini e similarità preponderante in band come Sigur Ros alla ricerca costante di emblematiche visioni che raccontano di terre lontanissime, di alberi, foreste, boschi e radici che sembrano non trovare punti di partenza e tanto meno di arrivo. La band di Macerata approda, con questo disco, in un altro pianeta, approda con originalità di fondo davvero impressionante, senza troppe contaminazioni, ma intessendo dal proprio interno uno stile importante che trova nel bisogno di uscire e di correre lontano un senso necessario per questa e altre scoperte. Scogli di zinco è un album maturo, un insieme di pezzi da rimanere abbagliati. 


Aurora D’Amico – So many things (800A Records)

Velati suoni soppesati dalla luce del sole entrano in contatto con un eterea visione tangibile di sogni abbandonati, di sogni da perseguire in un’incessante attesa che dura un’eternità e lascia dietro di sé polvere mattutina di bisogni da rincorrere e assaporare. Aurora D’Amico esce con il suo primo full album, canzoni acustiche edulcorate e piene di bellezza da sentire, passi leggeri all’interno di stanze vuote fanno da contorno ad un bisogno di comunicare con voce un paesaggio, un mondo lontano, partenze e abbandoni, ritorni e ancora amore per le proprie storie, quelle stesse storie che ora ritroviamo in questo So many things sotto forma di diario in musica. I riferimenti più diretti si rivolgono all’oltreoceano, Christina Courtin e Nerina Pallot su tutte, in un suono che passa dal folk al rock con immediatezza mai conclamata, ma piuttosto rende omogenea una proposta che snocciola con maturità dieci perle da collezione, dieci brani da ascoltare quando siamo alla ricerca di un qualcosa che forse non vedremo mai, ma che desideriamo con forza ogni ora, ogni giorno. 


Nimby – Nimby II (La Lumaca Dischi/Overdrive Rec)

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Suoni provenienti direttamente dagli anni ’90 per il nuovo dei Nimby in un concentrato atmosferico di psichedelia ben ponderata e post punk che si esprime grazie ad un suono anacronisticamente fresco, un suono davvero ben posizionato all’interno di un costrutto vissuto davvero eccezionale. Testi onirici e intrappolati in una realtà parallela poi fanno da contorno essenziale alle trovate di questa band in evoluzione che raccoglie ciò che di meglio è stato per trasformarlo, da veri artisti, in qualcosa che possa restare o perlomeno lasciare un segno tangibile di questo, loro, passaggio. Ad aiutare nell’impresa Manuel Fusaroli alla produzione artistica già con TARM, Nada, Il teatro degli orrori per un insieme di canzoni che in qualche modo si fa racconto di anni irripetibili. Gli Smiths o meglio i The Smiths perché magari qui qualcuno si incazza, sembrano attirare ricordi di suoni preponderanti, passando per i The Cure e i più recenti e italianissimi Stella Maris, senza dimenticare poi rarità underground del nostro panorama targate 3000 bruchi. Il disco dei Nimby è spettacolare sotto diversi punti di vista, fresco e diretto con melodie incalzanti, introspettivo nel contempo quanto basta per gridare al miracolo. In Nimby II c’è la fusione di qualcosa di bellissimo che ha il sapore del viaggio e delle cose belle da ascoltare, una fusione necessaria segno di maturità e capacità di condensare, in meno di un’ora, un pensiero cangiante e soprattutto libero. 


-FUMETTI- Sarah Mazzetti – I gioielli di Elsa (Canicola Edizioni)

Titolo: I gioielli di Elsa

Autore: Sarah Mazzetti

Casa Editrice: Canicola Edizioni

Caratteristiche: 48 pagine, colori, 17×24

Prezzo: 16 €

ISBN: 9788899524227

 

C’è della pazzia, della bellissima pazzia nelle costruzioni di Sarah Mazzetti e del suo I gioielli di Elsa, un fumetto destinato ai bambini che si fa apprezzare anche dagli adulti grazie all’originalità di fondo della proposta e grazie alla strampalata, ingegnosa vitalità di personaggi che catturano sin dalla prima lettura in una fiaba moderna che mostra in tutto il suo splendore e nel contempo in tutta la sua triste realtà un mondo dove la ricerca di un proprio stile, di un proprio essere si scontra inevitabile con il senso del superfluo e dell’estetica, dicotomia presente tra immagini quasi abbozzate, ma incisive e linguaggio altisonante a tratti, nel racconto.

La piccola Elsa si scopre un giorno creatrice di gioielli preziosi prendendo dal panettone i canditi che lei odia, infilandoli come perle commestibili su fili qualunque e indossandoli per sfilate immaginarie nella propria casa. Grazie poi a zie ambiziose e un designer di successo quegli stessi gioielli diventeranno moda imperante in tutto il mondo fino ad attirare le gelosie della rivale di turno che smonterà pian piano i progetti della bambina, ma soprattutto attirerà l’ira funesta delle zie fino ad un gran finale che riporterà tutto a casa nella normalità, quella normalità capace di attingere dalla bellezza dell’innocenza un proprio modo di vedere la quotidianità.

Dopo la Mela mascherata di Martoz e Hansel e Gretel di Sophia Martineck Canicola scommette su questo nuovo titolo per la collana Dino Buzzati. I gioielli di Elsa racchiude al proprio interno una potenza espressiva davvero unica, pochi colori presenti, il rosso, il verde e il nero a delimitare contorni, a riempire dialoghi frammentati, volti non definiti, ma personaggi alquanto contestualizzati sanno raccontare di una realtà non fatta per i bimbi, ma piuttosto manipolata dai grandi a proprio piacimento, nel bene e nel male, sempre e comunque. Un realtà in cui nel mondo dove tutto è commercio non c’è spazio per il pensiero ingenuo, il pensiero dei bambini, ma c’è piuttosto spazio per la frenesia della vendita ad ogni costo dimenticando per sempre i rapporti umani, dimenticando ciò che conta veramente.

Oltre che di ricercata bellezza in questo fumetto d’autore si parla, con un linguaggio semplice e comprensibile da tutti, di questo nostro tempo, di che cosa ci manca e di che cosa ricerchiamo guardando oltre la finestra fumosa della nostra realtà. Elsa in tutto questo insegna ad osservare un mondo nuovo, per certi versi naif, a tratti onirico e scomposto, ma per lei sicuramente reale, lontano dall’invidia, dal consumismo e dall’apparire, ma piuttosto vicino ad una semplicità di fondo reale che si farà ricordare.

Per info e per acquistare il fumetto:

http://www.canicola.net/i-gioielli-di-elsa/ 


Eradius – Eradius (Resisto)

Disco omonimo di debutto per il potente duo italo-britannico formato da Richard Dylan Ponte e da Edoardo Gomiero, un album espressivo al massimo che ingabbia lo stoner fino a disintegrarlo con sferzate di rock apocalittico da fine del mondo accentuato da fraseggi che ricordano band come Tool o RATM in un dominio esistenziale dei propri strumenti che rende il combo una perfetta macchina da palco pronta a suscitare emozioni impattanti e dal forte contrasto che non si lascia a momentanee illusioni, ma piuttosto trasforma il momento in qualcosa da assaporare, da vivere pienamente. La chitarra e la batteria quindi sono l’ossatura portante di questo duo composito a comprimere e successivamente a far esplodere decibel interiori, decibel di memoria in pezzi come Poison Eyes, Democracy, Desert, Raise and Resist o la finale Digital Puppetz in un crescendo continuo di soddisfazioni e di denuncia, di rabbia e di abbandono a scavare all’interno di ciò che abbiamo di più nascosto. Gli Eradius, ne sono certo, non ce li dimenticheremo facilmente.

Devil Whitin – Not Yet (Autoproduzione)

Potenza ossessionata e fuori controllo nel primo disco della super giovane band bergamasca Devil Whitin, un album graffiante che mescola elementi del passato con quelli di un presente che vede alternarsi nelle influenze gruppi come Iron Maiden passando le sonorità più attuali dei tedeschi Rammstein in un conflitto luce oscurità che impressiona per potenza espressiva e rarità da cogliere e far proprie. Not Yet non presenta nulla di nuovo sotto il sole, ma quello che già c’è è fatto bene davvero in un’esaltazione interessante che richiama energia correlata alle situazioni di vita e rende l’approccio di questo gruppo di sicuro impatto e dal forte potenziale intrinseco pronto ad esplodere in un eventuale full length. I nostri sono dotati di carte in regola per comunicare condizioni esistenziali da poter assaporare nella maturità condivisa e questo album resta comunque un grandissimo punto di partenza.