Enrico Bevilacqua – Brooklyn (Music Force)

Passione per il funk per un bassista dal forte approccio purista che regala un sound calibrato a dovere e ricco di rimandi alla scena americana e alla motown di James Jamerson in un continuo crescendo emozionale che via via si dipana all’interno delle tracce proposte, alcune strumentali, altra accompagnate da voci femminili calde e soul in grado di creare atmosfera a dovere in un lounge sequenziale da oscurità che via via ricopre il nostro vivere. Un album notturno quello di Enrico Bevilacqua, un disco importante per uno dei più talentuosi bassisti italiani che riesce nell’intento di dare spazio a monologhi in rapida ascesa che approcciano ad uno stile introspettivo ed emozionale, uno stile che per rimando percepisce l’attesa e la fa esplodere attraverso un gioco di luci e ombre, di passione e dedizione sospirata e convinta. In Brooklyn ci sono gli ingredienti per un ottimo album, le canzoni scorrono e stupiscono dando forte connotazione internazionale ad un progetto che non sembra italiano, anzi il tutto crea un ponte d’incontro oceanico tra un sapere e una conquista e mette in tasca l’essenza stessa di una scena che nell’esterofilia pacata guadagna punti meritati.

Giò – Succederà (Music Force /Toks Records)

Passione implementata a dovere nella creazione di attimi, bagliori, poesie esistenziali che accomunano il nostro vivere e fanno della sensazione musicale un punto d’attracco per il nostro modo di pensare. L’album di Giò, Succederà, è un rincorrere gli eventi raccontandoli, attraverso un rock contaminato da diversi e numerosi stili come l’hip hop, senza preoccuparsi dell’eterogeneità del risultato finale, ma piuttosto inglobando energie per narrare il singolo attimo, il singolo momento proposto. Il cammino di Giordano Gondolo parte nel lontano 1986 quando le prime canzoni significavano possibilità di mettere su carta il proprio vivere, poi i dischi con le altre band e i riconoscimenti, fino ad ora con la prima prova solista che rappresenta una manciata di canzoni a dipingere un album dai colori energici e puntuali dove l’essenza stessa del ricordo si fa soggetto presente ed essenziale. Da Io sarò lì presentata in doppia versione si passa all’importanza di Quello che voglio e poi via via a convogliare pensieri nella bellissima Cose che non ho visto mai. Un album che parla di noi, un disco che non cerca le mezze misure, ma che piuttosto segna un traguardo di falso arrivo da dove forse bisogna partire per riuscire, con forza, a raccontare ancora ciò che più ci rappresenta.

Parco Lambro – Parco Lambro (Music Force/Toks Records)

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Sperimentazioni sonore a caccia di astratte concezione neuronali che si affacciano al mondo dell’onirica realtà in concentrati di jazz, elettronica, psichedelia rarefatta, gusto introspettivo e capacità migliore di far uscire dal cilindro magie strumentali di indubbio valore. I Parco Lambro intascano questa prova targata duemilasedici in un contesto di rilevanza e soprattutto in continua mutazione generale dove sentieri in discostante aumento e degrado vengono via via segnati nel ritrovare la strada verso casa. Sono cinque pezzi che accelerano a dismisura fino a trovare  dei punti di sbocco concentrici, tra la passione e le meraviglie del prog degli anni ’70 fino a convogliare al suolo l’inutilità che appare alla ricerca costante nel creare cattedrali sonore che riempiono di ibride teorie il mondo che essi stessi occupano. L’omonimo disco è un frullato di sensazioni arcane suonato egregiamente e convincente quanto basta da augurare loro una giusta, proficua e continua rappresentazione di uno stile di certo unico e originale.

Airt’o – Genus (Dimora Records)

album Genus - Airt'o

Cantautorato evoluto che guarda con occhi diversi al calore della sera instaurando un rapporto diretto e latineggiante con le fotografie di luoghi esotici e lontani, luoghi remoti che si ascoltano sottili all’interno delle tracce che compongo il primo disco di Airt’o: Genus, un album che ha il sapore malinconico e nel contempo magico del tramonto rosso cielo che ammalia e stupisce. Incrociatori sonori da Battisti a De Gregori passando per le acustiche melodie dei Kings of Convenience fanno da tramite nel veicolare le poesie del nostro Airto Pozzato in un susseguirsi lussureggiante di anfratti da scoprire, di cascate da ammirare e correnti su cui farsi trasportare, riscoprendo giorno dopo giorno, traccia dopo traccia sempre e comunque qualcosa di nuovo e di coerente con una realtà che per lo stesso cantautore è punto di partenza e mai d’arrivo. Personalmente, la traccia d’apertura, delinea spassionatamente un itinerario immaginato, passando poi per le importanti L’alba dei tramonti, La rosa fino a Qualcosa che non va a riempire un disco fatto di immagini e suoni inusuali. Airt’o apre la strada ad un nuovo tipo di cantautorato, una musica che va oltre i nostri miseri confini  pur rimanendo ben ancorata alle radici che caratterizzano lo stesso cantautore per un album che sa di leggera innovazione e fiducia nella semplicità del momento da cogliere ammirando lontano il giorno che muore.

The singer is dead- \\ (IDischiDelMinollo/La mansarda/Vollmer Industries/Backwater Transmission/Edison Box)

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Eclettico strumentale polveroso e di sostanza che si accinge a riempire di geometrie math rock un condensato di ambizioni favorevoli alla rinascita di uno stile proprio e sempre più ricercato all’interno di una musica in cui il cantante non c’è, il cantante è morto e tutto quello che possiamo ascoltare sono architetture fantastiche e ipnotiche che si dipano in decostruzioni al limite del pensiero imposto raggranellando sogni quando questi sembrano scomparire e non far parte più di questo mondo, una destrutturazione tale da rendere questo disco portante il nome di due, un insieme di pezzi incorniciati a dovere che si muovono su territori post rock e convincono sin dalle prime battute, ottenendo un’omogeneità di fondo a tratti granitica, a tratti cadenzata, ispirata, imbrigliata in quegli arpeggi ridondanti che fanno la differenza ipnotizzando e favorendo l’accesso a mondi lontanissimi e in continua evoluzione. Due è un lavoro importante sotto molti punti di vista, un lavoro che non cerca l’immediato riscontro, ma che piuttosto si fa proverbialmente assaporare lentamente in ogni sua singola sfaccettatura.

Volwo – Dieci viaggi veloci (Viceversa Records/Believe/Audioglobe)

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Pasquale De Fina riporta in vita il progetto Volwo dopo la parentesi Atleticodefina attraverso un disco che si dipana grazie ad una musica d’autore di ricerca sperimentale che non strizza l’occhio alla facile melodia, ma piuttosto instaura rapporti con il proprio essere e con il proprio credo interiore. Pasquale non ha bisogno di molte presentazioni, la sua carriera artistica rientra tra le più importanti della musica indipendente italiana pur rimanendo fedele ad un certo tipo di pensiero, un modo di pensare al suono come veicolo di sentimenti e stati d’animo che vanno oltre le trovate commerciali del momento instaurando un rapporto diretto con lo stesso ascoltatore che si trova immedesimato in contesti di vita disegnati e dipinti ad arte, tagliando e cucendo l’abito più adatto a noi e facendoci scoprire, ascolto dopo ascolto, sfumature sempre nuove e in evoluzione. Per accostamenti Dieci viaggi veloci lo si può paragonare a quel Plancton disturbante di Alessandro Fiori, anche se qui l’elettronica non è evidente anzi, il senso acustico del tutto fa trasparire maggiormente punti d’interesse e stati d’animo tra gli strati e le architetture delle canzoni proposte. Piccoli camei come le presenze di Luca Gemma, Paolo Benvegnù, Rachele Bastreghi, Ylenia Lucisano impreziosiscono la caratura dell’album in un vortice di sentimenti che si fanno punti d’incontro e di partenza, andate e ritorni, passando comunque per quel qualcosa che chiamiamo cuore che è al tempo stesso vita e morte, passione celata e capacità unica di arricchire.

Beppe Trabona – E’ tempo (Autoproduzione)

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E’ tempo di infilare i vestiti pesanti e di andare oltre il confine, tra la polvere, le sabbie sottili, le montagne inarrivabili e gli abissi più profondi del nostro essere. E’ tempo di scoprire un mondo all’interno di pagine mai più lasciate al caso, ma piuttosto raggiungere vertici di passione conclamata che sfocia nella bellezza del ricordo, donando piccoli spaccati di vita che assomigliano ai nostri vissuti, a quello che portiamo dentro, attraverso una fotografia posata sul comodino del tempo a raccontare e a raccontarsi giorno dopo giorno. Beppe Trabona è un cantautore vecchio stampo capace di incrociare le poesie di De André e di Massimo Bubola in un alternarsi di tranquillità che ha il sapore del viaggio, delle terre lontane, degli occhi della gente incontrata e da incontrare. Il sapore delle cose perdute e un po’ di tenerezza per il futuro la fanno da padrone in questo spaccato di vite racchiuso dalle dieci canzoni proposte, pezzi che si trasformano in carezza da ascoltare la sera o nel silenzio della nostra stanza prima di partire, prima di indossare il nostro cappotto pesante e andare là, oltre quello che abbiamo sempre e solo immaginato.

Daniele Braglia – Il silenzio è musica (Autoproduzione)

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Cantautorato sottile e vellutato che sposa le malinconie autunnali in un perdersi tra i colori della natura che ci circonda, soppesando le fragilità dell’animo umano e intessendo trame costruite a puntino per scendere gli abissi della nostra memoria e incanalare i pensieri laddove il mondo sembra non aver fine. Daniele Braglia confeziona un disco da introspettiva terra d’Albione in un crescendo sostanzioso di battiti e cuori lasciati a metà, lasciati a vagare nelle nebbie intrise di significati per noi e per lo stesso cantautore tra canzoni che abbracciano la musica d’autore e si incamminano lungo sentieri giù battuti, ma con un piglio alternative davvero essenziale e costruttivo, tra pezzi arpeggiati che sono quasi uno sfogo, un diario di vita da assaporare lentamente. Da Scuse fino a Come se, passando per significative poesie quali A luci spente o la stessa Title track il nostro porta a casa una prova che ha il colore della decadente bellezza pur annoverando con sé un bisogno di comunicare che attraverso i dieci pezzi presentati, si fa tangibile essenza per distillati armonici incorporati a dovere nel silenzio che ci circonda.

Godblesscomputers – Solchi (La Tempesta International / Fresh YO!)

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Incedere nel tempo e nello spazio attraverso flussi neuronali capaci di confondere ed infondere elementi compositi grazie ad un’elettronica che segue il disorientamento magmatico dei ricordi incanalando energie e stati d’animo di polvere sulla foto della nostra gioventù. Il nuovo di Godblesscomputers è amore per l’arte a trecentosessanta gradi, è un disco che seppur rimanendo nell’ambito dell’elettronica instaura rapporti con un mondo in continuo interscambio, incrociando le meraviglie di Moby, Air, James Blake, Tricky, Massive Attack, Radiohead solo per citarne alcuni in una vertigine sincopata in dub style che incontra le impressioni e le metamorfosi del jazz per elaborare un gusto per l’atmosfera davvero unico e invidiabile. Solchi è scavare all’interno del nostro organismo, all’interno della nostra mente per comprendere se tutto ciò che abbiamo fatto finora è ancora necessario, tra un caleidoscopio di musica colorata e in divenire e un funambolismo da primo della classe il nostro dà vita a sedici composizioni che ben rappresentano o che possono comunque rappresentare un viaggio onirico e spiazzante, lassù tra le galassie lontane, in un’esplosione radente suolo che si farà ricordare.

Piccola Orchestra Karasciò – Qualcosa mi sfugge (RadioCoop)

album Qualcosa mi sfugge - Piccola Orchestra Karasciò

Suoni che riempiono le piazze di vita diffusa e costringono ad alzare il tiro, ad alzare l’asticella del nostro pensiero inglobandoci in ambienti che si fanno e richiedono domande, domande di vita, per noi, per tutto quello che ci gira attorno e per il nostro futuro. Cambiamenti d’approccio e domande esistenziali quindi per il nuovo disco della Piccola orchestra Karasciò, un affresco dipinto tra il vociare, le grida quotidiane e quel prendersi del tempo per noi, per analizzare, valutare e costruire rapporti, tra folk d’arrembaggio e pensieri che vanno oltre tutto quello che possiamo analizzare, oltre tutto quello in cui possiamo sperare. In Qualcosa mi sfugge il tempo sembra prendere il sopravvento, pezzi come l’apertura affidata a A canzoni non si fan rivoluzioni o la stessa title track sono l’esemplificazione di questo concetto, mentre l’amore indissolubile per un cantautorato di un certo spessore ci trasporta in brani come Il nodo, Respira o Tabula rasa ad intrecciare storie, valori ed essenzialità fatta musica. Folk quindi che sfiora leggero i nostri mondi e li fa incontrare; una musica d’insieme vissuta e suonata con il cuore a ricordo di ciò che acquista valore e ritrova magicamente la propria utilità in una manciata di accordi acustici ripetuti e sostenuti fino a notte fonda inoltrata.