Simone Piva e I viola velluto – Il bastardo (Music Force/Toks Records)

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Sentimenti westernati per anfratti polverosi in caverne della nostra realtà che centrifugano con vicissitudine desiderosa lo scoprire il nostro venire al mondo tra teatro canzone, parlato, sussurrato, gridato con forza e mai mascherato, in un’arte che si fa musica ed è essa stessa musica per l’arte e dove il folk riunisce e convince decretando spazi d’azione che nell’attimo si fanno portatori solari e canicolari di desideri psichdelici. Simone Piva e I viola velluto confezionano un album dal forte carattere deciso dove le metafore all’interno dei pezzi sono spaccati di vita che rispecchiano una società da cambiare con forza oltre le regole precostituite. Una formazione di batteria, percussioni, contrabbasso, trombe, piano e chitarre fanno da base ad un disco composto di sette pezzi dove il sentimento predominate verso luoghi lontani fa da contraltare ad un bisogno innato di scrivere la realtà con parole da cinema ormai dimenticato. Dalla title track di presentazione Il bastardo fino alla finale Noi che vede la presenza del cantautore Giò, i nostri riescono a registrare un amore incanalato all’interno di un saloon del vecchio west, un amore polveroso per tutto quello che non c’è più, ma che trova dei rimandi evidenti ed essenziali con tutto ciò che invece ci circonda.

Enrico Bevilacqua – Brooklyn (Music Force)

Passione per il funk per un bassista dal forte approccio purista che regala un sound calibrato a dovere e ricco di rimandi alla scena americana e alla motown di James Jamerson in un continuo crescendo emozionale che via via si dipana all’interno delle tracce proposte, alcune strumentali, altra accompagnate da voci femminili calde e soul in grado di creare atmosfera a dovere in un lounge sequenziale da oscurità che via via ricopre il nostro vivere. Un album notturno quello di Enrico Bevilacqua, un disco importante per uno dei più talentuosi bassisti italiani che riesce nell’intento di dare spazio a monologhi in rapida ascesa che approcciano ad uno stile introspettivo ed emozionale, uno stile che per rimando percepisce l’attesa e la fa esplodere attraverso un gioco di luci e ombre, di passione e dedizione sospirata e convinta. In Brooklyn ci sono gli ingredienti per un ottimo album, le canzoni scorrono e stupiscono dando forte connotazione internazionale ad un progetto che non sembra italiano, anzi il tutto crea un ponte d’incontro oceanico tra un sapere e una conquista e mette in tasca l’essenza stessa di una scena che nell’esterofilia pacata guadagna punti meritati.

Giò – Succederà (Music Force /Toks Records)

Passione implementata a dovere nella creazione di attimi, bagliori, poesie esistenziali che accomunano il nostro vivere e fanno della sensazione musicale un punto d’attracco per il nostro modo di pensare. L’album di Giò, Succederà, è un rincorrere gli eventi raccontandoli, attraverso un rock contaminato da diversi e numerosi stili come l’hip hop, senza preoccuparsi dell’eterogeneità del risultato finale, ma piuttosto inglobando energie per narrare il singolo attimo, il singolo momento proposto. Il cammino di Giordano Gondolo parte nel lontano 1986 quando le prime canzoni significavano possibilità di mettere su carta il proprio vivere, poi i dischi con le altre band e i riconoscimenti, fino ad ora con la prima prova solista che rappresenta una manciata di canzoni a dipingere un album dai colori energici e puntuali dove l’essenza stessa del ricordo si fa soggetto presente ed essenziale. Da Io sarò lì presentata in doppia versione si passa all’importanza di Quello che voglio e poi via via a convogliare pensieri nella bellissima Cose che non ho visto mai. Un album che parla di noi, un disco che non cerca le mezze misure, ma che piuttosto segna un traguardo di falso arrivo da dove forse bisogna partire per riuscire, con forza, a raccontare ancora ciò che più ci rappresenta.

Parco Lambro – Parco Lambro (Music Force/Toks Records)

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Sperimentazioni sonore a caccia di astratte concezione neuronali che si affacciano al mondo dell’onirica realtà in concentrati di jazz, elettronica, psichedelia rarefatta, gusto introspettivo e capacità migliore di far uscire dal cilindro magie strumentali di indubbio valore. I Parco Lambro intascano questa prova targata duemilasedici in un contesto di rilevanza e soprattutto in continua mutazione generale dove sentieri in discostante aumento e degrado vengono via via segnati nel ritrovare la strada verso casa. Sono cinque pezzi che accelerano a dismisura fino a trovare  dei punti di sbocco concentrici, tra la passione e le meraviglie del prog degli anni ’70 fino a convogliare al suolo l’inutilità che appare alla ricerca costante nel creare cattedrali sonore che riempiono di ibride teorie il mondo che essi stessi occupano. L’omonimo disco è un frullato di sensazioni arcane suonato egregiamente e convincente quanto basta da augurare loro una giusta, proficua e continua rappresentazione di uno stile di certo unico e originale.