-LIBRI ILLUSTRATI- Roberta Zeta – Audrey (Hop!Edizioni)

Audrey sito

Titolo: Audrey

Autore: Roberta Zeta

Casa Editrice: Hop!Edizioni

Caratteristiche: pagine 88, cm.20×24

Prezzo: 18,00 €

ISBN: 9788897698272

 

Uno sguardo che guarda lontano, occhi grandi che si alzano a ricoprire un passato fatto di travagli e peregrinazioni nel mondo e poi un sorriso quel sorriso che a detta della stessa è il più bel accessorio che una donna possa portare e lo sappiamo bene perché dietro la maschera di un mito intramontabile come quello di Audrey Hepburn ci sta la fermezza di una donna che vive inseguendo il sogno della felicità, una felicità semplice, quasi genuina, lontana dai riflettori, ma nel contempo fautrice di una moda che è gusto per il bello e passione per la vita.

Audrey illustrato da Roberta Zeta ed edito dalla sempre rosa Hop!Edizioni è il terzo volume della collana Per aspera ad astra (attraverso le asperità, oltre le stelle), insieme di libri che raccolgono biografie davvero curate e originali dedicate al mondo femminile e capaci di immagazzinare storie di eroine del nostro tempo e di quello appena passato, una panoramica a tutto tondo sull’arte in grado di valorizzare volontà, ribellione, passione, caratteristiche peculiari di tutte quelle donne che hanno fatto la storia della pittura, della moda, del cinema, della letteratura e della musica. Una raccolta che è il fulcro di un cammino che nasce con la scoperta e si spinge oltre, tra lo stupore e l’essenza delle grandi immagini a ricoprire le intere pagine e i testi precisi e puntuali che lasciano al lettore la bellezza del perdersi per poi ritrovarsi raccogliendo informazioni necessarie, ma lontane dal nozionismo fine a se stesso.

Nello specifico Audrey è il racconto di chi ha rivoluzionato la visione femminile nel cinema di Hollywood a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60 segnando un passaggio indelebile dal mondo delle pin-up a quello di creazione di un’attrice più umana, esile, graziosa e gentile, un passaggio fondamentale che tra le pagine di questo volume acquisisce un senso maggiore grazie ai disegni della già citata Roberta Zeta, illustratrice per moda e magazine che grazie ad una tecnica mista davvero notevole intavola l’eleganza senza tempo di un mito e nello stesso momento ne sottolinea le fragilità, gli sguardi, la dolcezza attraverso un acquarello che non si perde nelle velature dell’istante, ma piuttosto è ben presente e fa da corollario ai testi di Lorenza Tonani: parole che permettono un excursus narrato e informale in grado di far comprendere chiaramente il messaggio più intimo da comunicare.

Audrey è l’osservare un panorama ricco di sfumature, dietro al volto della bella attrice ci stanno i vissuti, gli amori sgretolati, un’infanzia difficile, ma ci sta anche una tenacia di fondo che si fa conquista in un mondo non totalmente pronto ad accoglierla, ma che ha saputo, in un secondo momento, farne emblema di trasparenza e professionalità; un volto che ha saputo conquistare il proprio spazio di libertà non rinunciando ad essa, ma piuttosto trasformando la stessa libertà in un senso profondo di appartenenza alla vita.

Per info e per acquistare il libro:

http://www.hopedizioni.com/product/audrey-vita-di-audrey-hepburn-illustrata-da-roberta-zeta/

Mountains of the sun – Astro Blues (Autoproduzione)

album Astro Blues - Mountains Of The Sun

Suoni blues contaminati con la musica degli anni ’70 per un biglietto da visita che si espande attorno ad un caldo fuoco e brucia a guardare le stelle e a soffermarsi sui suoni pop e psichedelici che abbandonano la novità per riappropriarsi di un passato mellifluo e sostanzioso, in questo caso conciso, ma ricco di rimandi e di intersezioni con i grandi che hanno fatto la storia della musica. Dentro ad Astro Blues ci stanno costellazioni di suoni basilari: chitarre acustiche, armoniche, elettriche di fondo e basso e batteria fustellati direttamente dalla strumentazione di band come Beatles o i più recenti Wilco. Quattro pezzi che si fanno intersezione necessaria per comprendere la musica del gruppo di Varese, una musica che ha il sapore delle radici e anche di un qualcosa di moderno, più deciso, per suoni che chiedono e si lasciano contaminare, suoni che ingabbiano e rilasciano aria pura in un bosco d’estate, quaggiù a guardar le stelle così lontane, ma nel contempo mai così vicine.

Tenax∞ – Tenax∞ (Resisto)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Hard rock impazzito e ben calibrato che strappa graniticità di fondo e fa scatenare gli amanti del genere, tra motociclette su strade infinite e radio a volumi sovraumani che consentono di “addolcire” un viaggio lungo una vita intera. I Tenax∞ sono fatti per riempire il palcoscenico di ruvidità spigolosa, ben attanagliata in queste quattro canzoni che sono il biglietto da visita per un rock di matrice americana che spunta la dicitura hard proprio nel bisogno essenziale di comprimere suoni desueti per farli rivivere ancora nelle nostre orecchie e di tutti coloro che ascoltano questa potenza intensiva. Gogna, Club 27, Virtual Love, Vivo Libero sono i pezzi che compongono il quadro dell’essenzialità distorta coadiuvata da testi che parlano di noi e del mondo che forse non più ci appartiene, un album che si prefigge essere una nota d’incontro con tutto ciò che deve ancora succedere e che forse esploderà nella completezza di un full legth dalle tinte dure e forti.

Syncage – Unlike Here (Bad Elephant Music)

L'immagine può contenere: una o più persone

Syncage fin dal primo ascolto significa complessità, forse abusata, ricercata, ma sicuramente voluta in un vortice di sensazioni che si inerpicano attraverso le montagne della nostra anima e affondano i vissuti in un sostanziale bisogno di entrare in comunione con forze apparentemente lontane da noi. Syncage è la la natura sprigionata e attraverso Unlike here si può comprendere la potenza espressiva e del tutto controllata di un alternative rock mescolato al metal, al prog, al jazz in una fluttuante sensazione di connubio tra passato e presente dove le forze in campo si scontrano e incontrano in pezzi cosmici e stellari come l’apertura affidata a School, passando per Skyline Shift e poi via via intessendo trame ardite in pezzi come Redirect e la stessa title track che chiude il disco. Unlike here è un disco assai lungo, più di un’ora e dieci di musica per un totale di dieci canzoni, minutaggio necessario per far comprendere una complessità di certo non banale, ma piuttosto radicata su un territorio grande quanto il mondo che ci circonda. L’evoluzione dei Syncage parte da ciò che erano i Rising Horizons, un’evoluzione necessaria che in questo disco trova un punto di incontro, un punto di contatto tra i grandi del passato e una modernità sempre più sospinta che avanza, pur mantenendo di fondo un’importante dose di originalità necessaria nel garantire simili risultati.

One eyed jack – What’m I getting high on? (Fill 1933/Supernova Music)

Bombarde cosmiche di impatto sostanziale che prendono spunto dalla forza degli anni ’90, alzando il tiro e confezionando una prova dal sapore grunge e alternative rock dove la presenza di un power trio impattante regala soddisfazioni che riempiono di decibel le nostre orecchie e il nostro di dentro. I One eyed jack citano Twin Peaks già dal loro nome e in qualche modo ci fanno rivivere le situazioni musicali di quel periodo, nella loro musica si possono ascoltare echi di Nirvana, Pearl Jam, ma anche di Smashing Pumpkins e Soundgarden per un costrutto che si rifà all’epoca d’oro di Seattle, ma proiettato ai giorni nostri. I testi sono ridondanti per scelta, ripetizioni di frasi ad entrare e ad uscire fino a penetrare nel profondo della carne per un album che spazza via le incertezze e consegna un suono alquanto granitico dove i muri di chitarre sono riempitivo per una base ritmica solida e incalzante. What’m I getting high on? è un disco che potrebbe definirsi anacronistico, ma non lo è, perché piccoli elementi di contorno attuale rendono la proposta alquanto sincera e allettante, abbandonando i conformismi e ricercando una propria strada da seguire.

Fumonero – Dentro (Autoproduzione)

Terra che vibra in dissoluzione con il nostro io ed emerge a ricoprire ombre del passato che non passano inosservate, ma ci incatenano al suolo e ci rendono schiavi di un qualcosa da cui sentiamo il bisogno di fuggire, di andare lontano, di scomparire. Fumonero apre le tende del nostro cuore nero e ci guarda Dentro grazie ad una commistione ben dosata di musica rock mescolata all’elettronica d’insieme che intaglia a sufficienza elementi di teatralità per consegnarci una prova strutturata che ha il sapore del concept moderno capace di creare attesa e interesse suddividendo l’intero disco in cinque parti: Assuefazione, Perdizione, Resurrezione, Tentazione e Liberazione più la presenza della cover di Tutti i miei sbagli dei Subsonica a chiudere un album di percezione e di profondità alle massime speranze possibili. Dentro è un disco che si fa ascoltare, ma nel contempo attanaglia, estrapolando una rabbia primordiale che si può percepire già nella traccia d’apertura per poi culminare in un tramonto esperienziale che rende intrigante la poesia fin qui costruita.

Nico Gulino – Meglio morire d’amore (Seahorse Recordings)

La senti da lontano la spuma del mare infrangersi sugli scogli accarezzata dal vento, la senti che sprigiona gli attimi di un ricordo che non esiste o che magari non c’è più, intrappolato in un bisogno di appartenenza con il mondo circostante che riempie il nostro essere per ritrovarsi poi diversi e imbrigliati in un qualcosa a cui non siamo capaci di dare un nome, ma che ci tocca da vicino, ci rende vivi, liberi. Meglio morire d’amore è un disco che nella sua orecchiabilità d’esordio ricorda per certi versi le malinconie di Sergio Cammariere, la prosa di De André e gli attimi vissuti tra commistioni di generi che mescolano ska, swing e tango in un’esigenza naturale e necessaria di entrare in comunione con chi ascolta e soprattutto con la bellezza che non si accontenta di rime facili e ammiccanti, ma trova nello scavare a fondo dei sentimenti una propria apertura che si completa e si dissolve come brezza mattutina. La title track è pura poesia, ma non possiamo dimenticare la canzone d’apertura A volte gli occhi, piccolo capolavoro sonoro che permette all’ascoltatore di assaggiare i paesaggi che campeggiano nell’intero album. Si scorre poi con Il mondo fuori o nulla si muove per poi chiudere il cerchio con La tua poesia. Meglio morire d’amore è un disco di cantautorato completo capace di segnare indelebilmente una strada, un percorso, un romanticismo ritrovato che si fa largo in modo incisivo tra le produzioni odierne.

Twang – Nulla si può controllare (Autoproduzione)

album NULLA SI PUO' CONTROLLARE - TWANG

Quattro pezzi che sono la summa di un costrutto da cui partire per intavolare partenze blues e arrivare a ballate beat che strizzano l’occhio agli anni ’60 e si concedono in un dileguarsi metafisico e quasi psichedelico adombrando il mondo circostante e costringendo elementi in dissoluzione a fare la loro entrata trionfale. Sporco garage e nel contempo raffinato pervade la breve prova dei Twang, band torinese che con il loro primo disco sanno trasmettere energia in tutte le direzioni, partendo con Neanche un colpo e finendo con Maschera con il il chiaro intento di svelare una sottile e leggere parte di universo che ci sta attorno e che ci rappresenta, giocando un po’ con le parole, ma arrivando al punto in direzione quasi ostinata e contraria. Muri che levitano in distruzione e un martello e un giratubi in copertina a segnare una buona prova d’esordio che merita l’espansione naturale in un full legth che spero non si faccia attendere. I nostri sono sulla giusta strada.

-LIBRI ILLUSTRATI- Armin Greder – Mediterraneo (Orecchio Acerbo)

Titolo: Mediterraneo

Autori: Armin Greder

Casa Editrice: Orecchio Acerbo

Caratteristiche: pagine 40, cm.22×31,5

Prezzo: 16,00 €

ISBN: 9788899064587

 

C’è un mare profondo che ricopre l’orizzonte, un mare profondo petrolio che accoglie il perduto e stratifica il tempo attraverso le onde in divenire, un mare che non perdona e si rende esso stesso veicolo, un mare – trasporto di vite e vissuti che non possiamo comprendere appieno che non siamo in grado di attraversare con la nostra mente e ci rende molto più semplice pensarlo come naturale evento delle cose o in modo riduttivo come fotografia sbiadita dei nostri momenti migliori nelle vacanze canicolari estive.

L’acqua sopra e i pesci che accolgono i corpi in mare, i corpi di chi attraversa il confine e il Mediterraneo che si fa protagonista nell’incedere di migliaia di persone, il passaggio, la ricerca della vita, figure indistinte che portano con sé il bisogno di dare un senso al proprio destino e poi gli squali umani a barattare, comprare viaggi di disperazione, pescecani che troviamo anche nelle profondità degli abissi a cibarsi di ciò che resta, di ciò che prima era persona.

Armin Greder, illustratore nato in Svizzera e particolarmente sensibile alla condizione umana, consegna un’opera di impatto non indifferente, un’opera necessaria che non scade in pietismi, ma cattura istantanee di vita in un corollario di eventi attuali dove il viaggio acquisisce un senso diverso, una possibilità migliore, un ineluttabile seguire le onde per fuggire dalla fame, dalla povertà, altre volte dalla guerra sotto gli occhi inermi di beceri pensanti colmi d’odio e dalle pance riempite e troppo piene per comprendere appieno una condizione umana che chiede di essere nuovamente ascoltata.

Il livello grafico del racconto appare nella sua incompiuta completezza. Il personalismo indefinito di Greder delinea attraverso linee concentriche un senso chiaro di tensione straziante che rivela l’attesa e ci porta ad essere lì con il cuore, sullo stesso barcone, ad annusare gli odori e a scorgere in lontananza un miraggio di terra che può significare salvezza, un ammassarsi intrinseco di gente che ricorda le opere del veneto Murer nel suo solitario e introspettivo concedersi al mondo.

Orecchio Acerbo ormai da tempo è sinonimo di alta qualità sia nella ricerca di perle preziose da far leggere al grande pubblico che nel dare voce agli ultimi di questa nostra vita in un’affamata ricerca del necessario che in questo libro illustrato trova, forse, il suo massimo apice esponenziale. Un mare quindi veicolo di ciò che sarà, un mare profondo petrolio che ci chiama ad essere responsabili del suo colore e del suo destino.

Per info e per acquistare il libro:

http://www.orecchioacerbo.com/editore/index.php?option=com_oa&vista=catalogo&id=526

Il confine – Il cielo di Pryp’jat’ (ALKA Record Label)

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Potenza lirica controllata come fosse un’opera da esibire in una definizione primitiva di un suono rock ricercato e luccicante capace di imprimersi nei deserti della nostra mente in simultanea ricerca di un passato che non esiste, ma che si fa portatore di radici essenziali per comprendere appieno la poetica di questa band. I suoni sono granitici e si imprimono nella memoria ricordando per certi versi la potenza stellare e legata al palcoscenico del Teatro degli orrori anche se qui i testi sono quasi criptici e collegati ad un mondo in decadenza dove il respiro si fa corto e gli attimi di vita sono relegati al buio più profondo. In tutto l’album si respirano i dolori della centrale di Cernobyl e della sua esplosione; attorno a tutto questo sembra aleggiare un fantasma opalescente in decomposizione che annuncia la strada in salita da percorrere e quello che sembrava vano e irrecuperabile trova un senso perfetto dentro ad ogni dove e nelle laceranti canzoni di questo disco. La presenza inoltre, di validi strumentisti, ci accompagna negli anfratti più nascosti da Eccedere e cedere fino a Un giorno senza vita a chiudere un cerchio profondo di ciò che è stato nella nostra memoria. Il confine ci regala una prova alquanto strutturata e potente che si fa attimo di deflagrazione e ci consente di assaporare al meglio un suono forte e ruvido, mai banale nella sua ricerca costante.