Salvario – Duemilacanzonette (Beta Produzioni)

Musica d’autore in grado di raccontare anfratti di vita necessaria tra ballate acustiche e introspezioni che scavano all’interno del proprio io per tirarne fuori la parte migliore, quella essenziale a cui non possiamo rinunciare e che lo stesso Salvario, all’anagrafe Salvatore Piccione, tenta di ricucire addosso alla sua pelle di cantasorie raffinato che si muove egregiamente tra la musica passata e il post duemila, ad intrecciare i suoni dei Perturbazione, dei Mambassa, dei Nadàr Solo presenti quest’ultimi nella grandissima Dinosauri a raccontare di un mondo amoroso in estinzione e a cercare nella grotta dentro di noi un barlume necessario per ricominciare. Tutta la poetica di Salvario si muove tra un dare e un ricevere, la voce calda riempie l’intero disco e le stratificazioni rock necessarie sono parte fondante di un tutto che si appresta ad incoronare canzoni come l’apripista Caro amico, Una parte di me, Lasciami così e il finale sospeso in Deja vu come pezzi di gran classe che rendono omogeneo l’intero album in un’intenzione che parte dal cuore e si solleva a ricoprire le nuvole sopra di noi.

7Marzo – Vorrei rinascere in un lama (Autoproduzione)

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Suoni punk rock viscerali che affrontano la realtà con caratterizzazioni orchestrali e lasciano al suono di ogni giorno la possibilità di ricomporre geometrie esistenziali strampalate, ma dal puro effetto scenico, capaci di progredire in suoni affilati e concentrici, in grado di maturare un concetto, raccontare una realtà in modo lucido e ironico, il tutto condito da un suono fresco e mai banale che permette alla band di registrare un disco fatto da numerose sfumature essenziali. Per comprendere la grandiosità di questa musica, alquanto stratificata, i nostri fanno appello alla quotidianità e alle esperienze vissute, lo fanno scherzandoci su, lo fanno caratterizzando un suono di grande qualità intrinseca che si muove bene già con l’iniziale Vorrei rinascere in un lama, passando per la corale e riuscita Grandissimi film americani per proseguire con pezzi come La chance o Ciao ad intensificare quel rapporto con il pubblico e ricordando per approccio band come Nobraino o Management del dolore post-operatorio in un disco che affronta la realtà lasciando alle spalle l’inutilità della serietà .

 

Heidi for president – Nostrils (La Rivolta Records)

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Cantautorato che ci accompagna nello scoprire la parte più nascosta e recondita di noi alzando il tiro in incursioni leggiadre ed evocative che parlano di eventi naturali come normale proseguimento della vita di cui facciamo parte, una musica fatta di sentimenti e buone cose tra la natura e l’uomo, l’essere ora e ciò che saremo per un disco d’esordio della band di Taranto: Heidi for president che riesce a fondere elementi alternative con la canzone d’autore in sodalizi davvero importanti che non lasciano nulla al caso, riuscendo a tessere trame importanti con l’aiuto di strumenti atmosferici come il violino e il vibrafono. Ciò che ne esce è un disco carico d’atmosfera che ricorda i migliori Damien Rice, Bon Iver e Iron & Wine, un minimal folk condito da spruzzate di lirismo orchestrale capace di posizionarsi tra la perdita della giovinezza e l’età matura, otto tracce che sono ritratti e richiami di una vita che si fa trasportare dalla bellezza di tutto ciò che ci circonda e che ci fa vedere le stelle da un’altra prospettiva.

David Lion – Mandala (Sugar Cane Records)

Pittura ricca di atmosfere in grado di compiere il giro del mondo attingendo la propria forza nella multiculturalità di genere e intensificando rapporti con suoni che non sono propriamente reggae, ma si fanno contaminare da un qualcosa di più ampio e vissuto, condiviso e sentito in un’innovazione sonora che il nostro David Lion, aka LIOND, sa domare, intensificare e distillare a dovere procedendo con suoni che provengono direttamente dal soul, dall’R’n’B, dall’elettronica spruzzata, da un rock mai conclamato, ma piuttosto sedimentato e fatto ad impalcatura per sorreggere questo disco impattante e ben ideato. Mandala è l’ineluttabilità della vita, è il giro continuo che non ha mai fine, è la ruota del nostro essere che si ripercuote con il nostro intorno raggiungendo apici notevoli in pezzi come Cast Away o Peaceful Warrior che vede la presenza di Antony B a supportare le note della canzone stessa. Il disco vede la partecipazione di numerosi artisti, tra gli altri Dean Fraser, Raphael, Piero Dread per un sodalizio musicale che abbatte le barriere e si pone come centro, fulcro fondamentale per una musica priva di confini; quadro essenziale e mutevole nella nostra vita.

Slowtide – Slowtide (Prismopaco Records)

Suoni che si confondono con il crepuscolo serale e lasciano spazio ad un’introspezione di fondo che si sposa bene con le note di elettronica mai conclamata, ma piuttosto lasciata a fermentare come un buon vino raggiungendo apici notevoli proprio quando l’indietronica passa ad un trip hop emozionale che ricorda per certi versi la musica degli italiani Amycanbe in una cura del suono e degli spazi aerei circostanti in grado di mantenere una certa tensione di fondo capace di penetrare nella carne e non lasciarci più. Quello degli Slowtide è un disco altamente contagioso, in grado di catturare l’ascoltatore al primo ascolto, complici le melodie portanti, complici le voci che percorrono, come un brivido lungo la schiena, le nostre vertebre dorsali, fino a salire nel punto di contatto con il nostro cervello, tra le pulsioni e la realtà da affrontare. Undici tracce di puro stampo internazionale che intensificano rapporti e capacità per una prova d’esordio davvero notevole e curata che si merita i primi posti tra le produzioni di genere in un sali scendi condiviso ricco di spunti e innovazioni in chiave pop.

Palinurus Elephas – Fame di niente (Autoproduzione)

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Giovani alle prese con il proprio scavare dentro per rilasciare pian piano una musica fatta di sogni e di speranze, improntata su di un indie rock che amplifica aspirazioni e volontà di costruire qualcosa di innovativo partendo dalle soggettività, dall’essere parte di un qualcosa che in queste otto tracce di annientamento cerca di trovare un proprio mondo, una propria via costruita ad arte e rilasciata pian piano per dare un senso diverso a tutto ciò che li circonda. Sono in quattro, provengono dall’Oltrepò pavese, si chiamano come gli antichi definivano l’aragosta mediterranea anche se abitano ai piedi delle montagne, fanno un indie rock genuino spruzzato dalle mode del momento stabilendo, attraverso testi  mai banali, una costruzione di forma canzone che si apre con Testa bassa e finisce con Secondo cervello, parlando di piante, di dio e di creazione, di mondi da comprendere, da allargare, trasformando tutto ciò che è banale in un qualcosa di necessario di cui nutrirsi, quasi fosse un respiro a cui non possiamo rinunciare.

Lekka – Lekka Ep (Autoproduzione)

Martellante autoproduzione che spicca per notevole risultato di fondo mescolando la scena indie rock con quella dance, soffermandosi forse maggiormente su quest’ultima e raggranellando un interesse per le commistioni davvero notevole e necessario per garantire un risultato sorprendente come questo. Ci si muove in modo sopraffino partendo da quella Following Euphoria che ricorda gli Air dei tempi migliori proseguendo attraverso una dance che non è di certo banale, ma piuttosto si sofferma sulla ricerca e sul giusto tramite tra già sentito e innovativo, aprendo porte sempre nuove e valorizzando l’intelletto musicale stuzzicandolo a dovere in un ep che raccoglie tre tracce originali e prosegue con la finale Lekka Rework che racchiude composizioni di Boys Noize e Gesaffelstein. Un disco che non è un punto d’arrivo, ma piuttosto è un insieme di brani che si fa ricerca mutevole in continua evoluzione e contaminazione senza dare mai nulla per scontato.

Vikowski – Beyond the skyline (Costello’s Records)

Poesia sonora dal gusto internazionale che abbraccia e si posiziona dietro la linea dell’orizzonte e protende le proprie aspirazioni a creare un suono curato, elettronico e sintetizzato quanto basta per dare vita ad un’emozione costante che si respira lungo le otto tracce che compongono questa prove davvero notevole. Un disco capace di incontrare le introspezioni dei The National, passando per James Blake e Bon Iver in sodalizi che vanno oltre le apparenze, concentrando nel testo vissuto e raccontato per immagini un amore nei confronti della solitudine, del tempo che scorre, degli amori senza fine, protendendo un concetto e accarezzandolo fino al calar della tenebre, fino a quella sera che è portatrice di luce buia nel crepuscolo, fino a quel minimale di fondo che parla di sentimenti mai raggiunti e speranze da ammirare per suoni pop che vanno oltre e intascano una gratitudine per la vita che come emblema stratifica il bisogno di maggior musica come questa per vivere in un mondo migliore: una musica pensata e sofferta, una musica che parla di noi.

12BBR – 12 Bars Blues Revolution (Autoproduzione)

Band dalle enormi potenzialità che ripercorre in soli cinque pezzi una storia del rock quasi dagli albori, omaggiando con il proprio stile e soprattutto con il proprio suono, una musica a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, suoni che si dimenano tra la chitarra di Hendrix fino alle esplosioni colorate e graffianti di band come gli Stones impreziosendo la proposta con il sapore polveroso di un grande Jack White fino a comprimere sforzi e successi con le lisergiche e sotterranee avventure dei Tama Impala in un concentrato di energia sonora che ben rappresenta una costante ricerca e un amore per la musica, per le cose fatte bene, per la cura quindi e anche per la sfrontatezza che i nostri mettono in pezzi come l’iniziale How does it end? fino al finale meditativo lasciato alla bellissima Cold Floor per un disco che rappresenta un punto di partenza davvero importante per una band che spero, farà ancora parlare di sé per molto tempo.

Luoghi Comuni – Blu (Phonarchia)

Suoni anni ’70 che riproducono con stile originale una perfezione quasi lisergica che contribuisce a creare in noi una sostanza dal forte impatto emozionale e interagiscono con una modernità di fondo che esplode in testi onirici, spiazzanti e nel contempo pronti a rispolverare un tempo andato, tra l’utilizzo sapiente di un cantautorato old style e l’intreccio degno di nota di una musica che attinge la propria sostanza vitale da un’epoca che non c’è più. Bello l’approccio corale, bella l’energia di fondo che trasforma con potenza mai gridata un cielo da blu in grigio e poi in nero in un cambiamento tangibile e reale, tra testi introspettivi e paura di vivere, tra eroi solitari che combattono contro i mulini a vento del nostro intelletto, attingendo la propria forza dalle esperienze; notevole l’apertura di Vinavyl e di Blu per poi proseguire con le riuscite Tra noi due o la finale Aurora, per un album altamente contagioso, che rispolvera, proiettandolo ai giorni nostri, un genere che non esiste più o che perlomeno esiste ancora nei nostri sogni.