-LIVE REPORT- Afterhours – Castelfranco Veneto (TV) 17/03/17

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Locale disco liscio in quel di Castelfranco (TV) che per l’occasione ospita il concerto di una delle più rappresentative rock band che abbiamo nella nostra penisola dagli ’90 ad oggi, un live che vede di scena l’ultimo album della band milanese, Folfiri o Folfox, già recensito su queste pagine e che ha trovato, con piacere, un ritorno ad una musica viscerale, senza perdere la vena orecchiabile e diretta per suoni che si innestano a creare qualcosa di magico che resta lì sospeso e in bilico tra la vita e la morte.

Gli Afterhours, inutile dirlo, sono sempre e comunque sinonimo di garanzia, vuoi per la capacità di Manuel e famiglia di restare sul palco, vuoi per una cura musicale davvero notevole e invidiabile che ci troviamo alla fine dei conti, davanti a musicisti di grande talento e caratura, già presenti in band che hanno fatto la loro parte nella storia del rock nostrano degli ultimi anni e che dimostrano, come questa sera, la loro bravura nel ricreare dal vivo un disco stratificato, composito ed essenziale nel suo insieme.

Ad aprire il concerto il cantautore Andrea Biagioni, voce intensa, musiche e testi sofferti per nostalgici paesaggi da Terra d’Albione che non passano inosservati ma delineano una garanzia commovente che fa presa grazie a note acustiche e tanta sostanza espressa nelle composizioni che fanno parte dell’EP Il mare dentro, disco quasi interamente composto da cover, ma che evidenzia le capacità del cantautore/interprete toscano di delineare con bellezza d’insieme la totalità degli elementi che compongono la sua persona.

Afterhours eccoli sul palco, affiatati e intensi, capitanati dal carismatico Manuel Agnelli per un live impeccabile che attinge tutta la propria forza vitale dalle composizioni dell’ultimo disco più i classici senza tempo che oramai fanno parte degli ascolti necessari per comprendere cos’è e cos’è stato il rock in Italia. Una musica abrasiva e contorta che lascia spazio a ballate di rara intensità dove le parole e la voce graffiante del frontman sono coadiuvate dalla presenza indispensabile di Dell’Era al basso, D’Erasmo al violino, Iriondo e Pilia alle chitarre e Rondanini alla batteria, musicisti capaci di dare il giusto proseguo ad una band che si è saputa evolvere anche dopo i cambi di line up degli ultimi anni.

Ne esce un concerto davanti ad un pubblico carico e consapevole di essere davanti ad una band dal forte impatto emozionale che dopo i tentennamenti degli ultimi dischi ritorna in gran spolvero a segnare il cammino in rock troppe volte ultimamente soppiantato dal folk non sense italiano, lasciando presagire una maturità non solo estetica e d’insieme, ma dai forti contenuti intrinseci dove la poesia si trasforma in rabbia, una rabbia capace di cullare le nostre molteplici realtà.

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Foto: Raffaella Vismara

Set List:
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Cruel Experience – L.O.U.D. (Santavalvola/Brigante/Hopetone/Boscow)

Disco punk immaginario che abbraccia sonorità altamente lo-fi e trasformazioni acide per dare luce a canzoni dal forte appeal concentrico create ad arte, ma nel contempo senza preoccuparsi troppo in nome di un suono non curato, ma violentemente reale, in un comunione d’intenti che vede il Do it yourself prendere prepotentemente posizione per scaraventare al suolo gli orpelli di genere e per concentrarsi sulla sostanza materica espressa nelle forme e nei colori di queste otto tracce ad intensificare un rapporto con una musica che non c’è più, contro l’usa e getta dei tempi moderni e parallelamente, per attitudine, un suono che ha una bellezza quasi intrinseca e che ricorda tutte le produzioni di fine anni ’70 quando il punk sembrava nascere e dissolversi nello stesso tempo a ristabilire l’immaginato con il reale, come costante ripresa di un tempo che non c’è dove la necessità e l’urgenza lottano quotidianamente contro le mode del mercato.

Spleeners – A storm from a butterfly (Autoproduzione)

L’angoscia esistenziale cantata dagli Spleeners è un toccasana ai nostri tempi, è un modo per comunicare un disagio mettendolo in musica e odorando il tempo che passa partendo proprio dalla polvere che abita a terra e ci ammanta in modo da non farci vedere tutto quello che c’è dopo, tutto quello che possiamo immaginare. La band milanese confeziona un disco interessante sotto molti punti di vista, dai testi quasi nichilisti passando per una musica che abbraccia le chitarre di fine anni ’80 primi ’90 ricordando band come i The Smiths o i Rem riuscendo a variegare la proposta con un’interpretazione personale attraverso poesie di colori che stentano ad uscire e si dipanano nell’orizzonte del grigio e del nero per una prova dal sapore internazionale che attinge all’esperienza personale il proprio punto di partenza e che esplode in valvola di sfogo attraverso queste canzoni. Ciò che ne esce è un disco pensato dove il cantautorato va a braccetto con il rock d’oltremanica e in canzoni come la title track sa dare il meglio di sé in una continua evoluzione che porta appresso il sapore della pioggia e dell’abbandono.

Gospel – Gospel (Costello’s Records)

gospel

Rock di costruzione importante e di sicuro impatto che mescola la melodia al cantautorato in blues con chitarre acide e lisergiche che affondano le proprie radici nel garage di Jack White a comprimere gli spazi di realtà con i sapori d’altri tempi, ma riportando il tutto ad una modernità d’insieme che si accosta facilmente con le potenzialità espressive di band italiane come i Public, ad innovare un territorio con testi nostrani impreziositi da una formula internazionale dal forte spessore musicale. I Gospel sanno il fatto loro e ce lo fanno capire attraverso un indie rock davvero importante, dove le parole suono acquisiscono necessità vitale nel delineare quadri d’insieme che si stagliano all’orizzonte in maniera quasi comprimaria alla luce che emanano le canzoni stesse in un divenire che tesse le trame per soddisfazioni future e riesce ad imbrigliare nel cielo un rock mai scontato sottolineato dall’importanza dei testi, una scrittura che si fa veicolo emozionale, dalla bellissima Ogni piccola guerra fino a La mattina di Natale i nostri confezionano un disco che parla di umanità e di piccole cose mantenendo nel tempo i sogni inespressi.