Nitritono – Panta Rei (DGRecords/Vollmer Industries/Edison Box/Insonnia Lunare Records/Tadca Records/Brigante Records)

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Descrivere il disco dei Nitritono è un po’ un’impresa titanica, diciamo che nulla è dato per scontato e la loro musica composita e lacerante è sinonimo di questi tempi confusionari in cui ci troviamo a vivere, questo suono è un gesto, è un bisogno di incanalare una rabbia e districarla per poi espandere i confini del nostro essere, non ci sono rapporti di costanza, c’è solo tanta energia convogliata che ricorda i padovani Menrovescio o le inquietudini sonore di Morkobot in un tripudio nero petrolio che arricchisce lo stato situazionale in versi musicali destabilizzanti e che comprimono la realtà che ci gira intorno in un sodalizio che vede il duo formato da Luca Lavernicocca alla batteria e Siro Giri alla chitarra e alla voce, perpetuare una serie di episodi tanto immensi quanto potenti per un’avanguardia di risultati graffiante e affilata a gridare un segno di appartenenza e di intenti che si spinge oltre a tutto quello che pensiamo di sapere.

Freaky Mermaids – Everything could happen (Autoproduzione)

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Trio bresciano che incapsula poesie grondanti inquietudine e surrealismo per un suono proveniente dall’acqua e nell’acqua trova le sue forme di sovrapposizioni e di strutture create per l’occasione immagazzinando la lezione passata, un EP e un disco alle spalle e una sostanza ultraterrena che si consuma nell’ambientazione teatrale di spazi aperti ed echeggianti dove una formula compressa pian piano si apre a melodie dissonanti che colpiscono e rendono l’ascoltatore al centro di una progressione d’intenti mirabile e vibrante attesa, esplorando il mondo del folk in stato larvale, quasi a voler partire da radici e necessità che ben si sposano con le esigenze del nostro tempo alla ricerca di una libertà musicale e di costruzione dell’intero che non bada a certezze, ma coinvolge e capovolge lasciando nel contempo speranza e bagliore, tristezza solitaria e bellezza di un tempo andato, come su di un palco polveroso, come in un film in bianco e nero dove i protagonisti di quella tela siamo noi abbracciati in un campo cinematografico lungo una vita intera.

Mudimbi – Michel (NuFabric Records)

Album eterogeneo che mescola in qualsivoglia modo piccole perle sonore intrecciate ad una musica parlata, al rap contaminato e in continua evoluzione che si perde nei vicoli di una strada affollata per ritrovarsi grazie ad un teletrasporto emozionale su di una spiaggia deserta in compagnia di una bibita lunga una giornata intera. Quello di Mudimbi è un disco diretto che non si perde in orpelli di genere, ma piuttosto gioca molto sull’uso della parola, sui doppi sensi, regalandoci un album compatto che affronta la quotidianità in modo quasi esemplare, fregandosene un po’ di quello che ci circonda, ma nel contempo dando un senso importante alla vita che circola attorno alle parole del nostro quasi fosse una palestra in continua evoluzione da dove poter attingere linfa vitale per nuove e riuscite canzoni-simbolo che caratterizzano l’intera produzione che abbiamo tra le mani. Si parte con Scimmia e via via si raggiungono pezzi esilaranti e riflessivi, passando per Giostre, Donne, la stessa Schifo per un finale lasciato a Tutto, che ingloba quasi un pensiero per una musica che incorpora un disco composito e strutturato a dovere capace di donare freschezza notevole ad un panorama indie italiano abbastanza uniforme.

Vostok – La geometria delle abitudini (Nonomori)

Suoni eleganti che si perdono nella solitudine delle stanze abbandonate allo scorrere dei giorni dove poesie d’amore si intrecciano ad un suono prettamente acustico che solo nel finale si apre a considerazioni ritmate che danno senso e acquisiscono profondità, consegnando una proposta di classe neo folk mai conclamata, ma piuttosto un’evoluzione di intenti che ben si sposa e ben trova la propria dimensione nel cambiamento e soprattutto nell’introspezione coltivata ad arte e resa in qualche modo tangibile dal calare della sera che tutto ammanta e tutto rende più reale e più vero. I pugliesi Vostok a quattro anni di distanza da un’altra piccola perla: Lo spazio dell’assenza, ci regalano un album che segue il filone passato perpetuando il senso di solitudine e donando agli ascoltatori anfratti sonori di rara bellezza che si perdono e si ritrovano cercando una verità di fondo che in fin dei conti risiede dentro di noi e ci scruta da lontano come viaggiatori erranti in cerca di un po’ d’amore.