Simone Lo Porto – Un viaggio nel magico (VREC193)

Prendi la tua chitarra e vai oltre l’orizzonte conosciuto, gettati dalle scogliere e ammira il mare da lassù, senti l’acqua che scivola e abbandona i corpi ad asciugarsi al sole di una spiaggia oltre la vista, oltre qualsivoglia forma di conoscenza, viaggia e sii padrone di te stesso, la conoscenza è caparbietà di scoprire e il bisogno di non accontentarsi mai, il gusto per l’avventura intriso di significato e per l’occasione valorizzato da queste tracce, dalle canzoni di Simone Lo Porto eterno cantautore avventuriere che grazie a questo disco incrocia il mondo e lo trasporta in un luogo onirico e carico di suggestioni, di ricordi, di realtà mescolata alla finzione, tra Venezuela, Cile, Perù, Bolivia, Ecuador: l’America latina, i suoni, gli odori e le immagini colorate, cariche di vita e di sensazioni, da Il bacio del Colibrì, fino alla citazione La fine è il mio inizio come direbbe Terzani, il nostro intasca una prova che sa di world music e di profonda conoscenza nei confronti di un mondo complesso e emotivamente diversificato, ma accomunato dalla stessa sostanziale sete d’amore.

Disperato Circo Musicale – Super Bomba (Azzurra Music)

Secondo disco festante d’apparato circense che si muove tra le emozioni della strada e quelle dello spettacolo, unendo sapientemente l’arte per il gusto mai banale e per il godereccio in divenire che riempie le piazze e fa sognare, donando concretezza alla proposta e parafrasando in mood riuscito tutti quei gruppi che fanno dell’irriverenza folk il loro marchio di fabbrica dai Gogol Bordello fino ad arrivare agli italiani Bandabardò, permettendo paragoni intuitivi e di facile appeal immortalati quest’ultimi in collaborazioni come con Furio degli Ska-j nella diametralmente opposta, ma di assonanza esplicita, 54-56 Porto de Garda, fino a inglobare la natura in festa delle composizioni che sfiorano il tema sociale in Metro per poi condurci fino alla fine in uno scoppiettante cielo illuminato a giorno da fuochi d’artificio  che ammantano quella Botte botte a chiudere il disco; un vorticoso arcobaleno di colori che fa dello scuotersi su di una pista baciata dal mare, il proprio motivo di esistere, la propria esigenza nel dichiarare nuovi sogni da costruire, una band che è la summa dell’allegria, concentrata per l’occasione all’interno di un album esageratamente floreale.

Marco Biasetti – Quadri d’autore (MB01)

Pennellate di una musica passata che incontra i grandi mostri sacri del tempo che fu in rivisitazioni silenziose, a tratti impercettibili, di una costante atmosfera vibrante che regala emozioni circoscritte nella scelta di pezzi storici in chiave jazz, rimodellati, pensati e arrangiati dal cantautore mantovano Marco Biasetti coadiuvato, per l’occasione nel disco, da Marco Vavassori al contrabbasso, Paolo Garbin al pianoforte, Enrico Smiderle alla batteria e ad Enrico Bentivoglio al sax.

Un album che si compone di otto cover e due brani inediti che si amalgamano, direi in maniera egregia con il tutto, brani che acquistano un significato preponderante nel cammino artistico del nostro, la prima Quadri e nel finale Ma poi non tornava più, si fondono con Era di Battisti/Mogol, Stelle di stelle di Baglioni, La Nave di Mia Martini e l’immensa Te lo leggo negli occhi di Endrigo lasciando spazio a Rita Pavone e a Neffa per una tavolozza di colori che ricopre cangianti stati emotivi sempre pronti a stupire, sempre pronti a ricreare la giusta atmosfera cromatica proiettata nel moderno e arricchita da contrappunti sonori da primo della classe, esercitando il fascino del tempo attraverso le sue innumerevoli sfumature.

Silenti Carnival – Drowning at Low Tide (Viceversa Records/Audioglobe)

Marco Giambrone in arte Silent Carnival costruisce panorami eccentrici dove lo slow folk si intreccia all’oscurità umana per regalarci una prova dal forte respiro internazionale e dove il folk dell’entroterra si apre a paesaggi deserti dove le desertificazioni appunto sono stati mentali che incorporano il nostro io e non permettono all’ascoltatore di trovare essenziali vie d’uscita, anzi il nostro crea substrati di una musica ad alto tasso emotivo che riunisce le sperimentazioni dei Velvet Undeground con i Low per passare alla lande desolate di Micah P Hinson, accostandosi al mare come fosse vera fonte di ispirazione per arrivare a cercare la fragilità umana dentro ad un fazzoletto di suolo a ricoprire gli abissi della nostra coscienza, della nostra casa, se ancora possiamo chiamarla casa; un’anima errabonda che coglie il significato delle parole e le concentra sino a farle diventare poesia, per un viaggio sempre in disequilibrio, tra la ricerca di nuove forme musicali e l’apparente senso di appartenenza ad un mondo che non è più nostro.

Cristina Meschia – Intra (IRD)

Lavoro sopraffino e incoraggiante questo di Cristina Meschia che riesce a coniugare il cantautorato folk delle radici con il jazz intimo ed elegante, una musica per luci soffuse a disegnare la scena e una sola voce a inglobare pensieri del tempo che fu, in un sodalizio tra dialetto e italiano che ben si esprime in questo album fatto di realtà e di immaginazione; storie, racconti, aneddoti che si dissolvono nella notte dei tempi per entrare con delicatezza nel vivere di ogni giorno, penetrante bisogno di narrare le cose semplici, quelle che per noi sono anche le più belle per quindici tracce che vedono l’avvicendarsi di nomi come Luca Alemanno e Gabriele Evangelista al contrabbasso, Alessandro Di Virgilio alla chitarra, Dario Terzuolo al flauto, Jacopo Albini al sax, gli Aether Quartet agli archi e Federico Sirianni in veste di cantautore.

Pezzi che si prestano al ricordo collettivo per un’esigenza di stringere la mano a tutto ciò che è stato, preservando solo le cose migliori e incoraggiando il futuro ad andare avanti seguendo una strada in grado di renderci partecipi di un tutto in continuo e mutevole cambiamento; grazie a Cristina, ora, questo è possibile, sulle orme della Laquidara, la nostra, ci prende per mano creando ponti immaginari tra anime erranti.

 

Angelo Sava – Addio Pimpa (Autoproduzione)

C’è la furia dell’urlo nella malinconia della vita in questo disco di Angelo Sava, c’è il bisogno sostanziale di rimettere le cose apposto dopo la tempesta, di ricucire il mondo oltre ogni aspettativa tra le onde del cantautorato e il noise distorto a ricoprire ogni forma di speranza per una vita migliore, una manciata di canzoni nascoste tra i lamenti dell’anima che impazzano gli abbandonati colori per entrare e farsi vedere, uscire allo scoperto, non aver paura di dimostrare la propria appartenenza ad un altro tipo di vita; Addio Pimpa è una scritta indelebile su di un muro, è l’abbraccio solitario con il passato che si consuma, attanaglia, stringe al cuore, Ritornerò su tutte è il pezzo più rappresentativo di questo lavoro, una Pesaro rumorosa che si fa sentire oltre il buio che avanza, oltre le grida laceranti di dolore, c’è un uomo, Angelo Sava che ripercorre i fili sottili della propri anima gridando al nuovo giorno che verrà.