Stella Burns and The Lonesome Rabbits – Jukebox songs (Love&Thunder)

Immaginate che proprio nel bar sotto casa vostra ci sia ancora quell’armamentario pesantissimo chiamato jukebox, coperto magari dalla polvere degli anni, laggiù nell’angolo più nascosto dove la luce filtra sempre meno e dove le carezze del silenzio si affacciano al clamore dei passanti e delle macchine sulla strada, ecco immaginatevi che proprio dentro a quel juke box ci siano le rivisitazioni eccellenti di Stella Burns e dei suoi The Lonesome Rabbits, un concentrato di poesie sotterrane che mescolano sapientemente i The Handsome Family, Piero Ciampi, Calexico, i Radiohead, per citarne alcuni; pezzi polverosi per cuori infranti e introspezioni nascoste che si accavallano sul far della sera in un disegno equatoriale che si prepara al gelo impellente dell’inverno, una voce poi che scalda la nostra tazza da tè raffreddata, lì accovacciata timida su quel tavolino da cui ascoltare l’ intimità che si apre e ci porta via silenziosa, quasi fosse un respiro a cui non possiamo rinunciare, un nuovo volto acustico per un omaggio che sa di vita vissuta, una moneta spesa bene all’interno di quello scatolone di metallo che racchiude tutti i nostri sogni di gioventù.

Mike Spine – Forage&Glean (Global Seepej Records)

Listener

Album di consacrazione che incrocia il miglior folk passato e presente con un parte più oscura e cupa per il nuovo doppio volume di Mike Spine a raccogliere la testimonianza di tutto ciò che è stato dopo dieci album e più di venti anni di carriera in giro per il mondo ad aprire concerti di Mike Watt, Los Lobos, Stef Burns solo per citarne alcuni tra un mare di nomi in una biografia sterminata.

Le canzoni sono racconti di vita, sono le grida di una classe operaia tra i mattoni in costruzione dei quartieri industriali, sono i suoni che inglobano un paesaggio metropolitano e periferico, nella solitudine di un folk raccontato per immagini tra ingiustizie di ogni sorta e il desiderio di riscatto, il desiderio di difendere gli ultimi e i più deboli, senza chiedere nulla in cambio, ma piuttosto rinvigorendo una pura esigenza che si scontra con le necessità della vita di ogni giorno.

Due capitoli che virano quindi dal cantautorato più solitario, al contorcersi al suolo in un rock più oscuro che ricorda Jimmy Gnecco e i suoi Ours, parallelismi non scontati, per vicende in divenire pronte ad entrare nel cuore di chi ascolta; un ottimo modo per celebrare le avversità della vita, un ottimo modo per chiamare in causa grandi pezzi che per l’occasione sono stati raccolti in un unico, grande disco.

Abbracci Nucleari – Abbracci Nucleari (Autoproduzione)

Perdersi tra le braccia contaminate del futuro e scoprire che siamo cambiati, diversi, coscienziosamente lontani, ma fisicamente vicini, una carne che si strappa dolcemente per prendere un posto nell’immateriale vero, puro, per un suono leggero, calmo, introspettivo, un racconto che si fa narrazione per immagini, la volta celeste che si fa scenario al divenire e in fondo una strada da seguire.

Gli abbracci nucleari confezionano un EP stratificato e notturno, ricco di incursioni soul mescolate al cantautorato e all’elettronica, quella musica fatta per il cuore e con il cuore, che non riesce a stancare, ma che si immola in mescolanze dubstep e portatrici di ritmi corposi, seppur minimali, per quattro canzoni che sono un piccolo mondo da assaggiare, da scoprire.

Cinque pezzi soltanto, ma che pezzi, troviamo in apertura la bellissima Prenditi Cura di me ad aprire paesaggi decostruiti, passando per Neanche questo basta e le solitudini di Il giardino delle emozioni, per completare il cammino con l’importante Brucerei  e il finale di luce lasciato a Notte pluristellare, per un disco che porta con sé il sapore di ogni soddisfazione futura.

Pin Cushion Queen – Settings_2 (Autoproduzione)

14141683_10153835635416918_4506855049477558915_n

Continua la ricerca sonora per la band bolognese, persa nel tramonto della bellezza interiore, ricerca spaziale che altera l’elettronica e si protende nel cercare abitudini del passato e nel contempo cerca di voltare pagina impreziosendo queste nuove tre canzoni con nuove forme che prendono vita e si stagliano egregiamente a comporre un secondo pezzo di puzzle industriale, naturale compostezza che esplode e lascia particelle minimali in un’immedesimazione quasi simultanea all’idea che accompagnerà una terza stesura, un progetto quasi estremo, ma che si forma continuamente, una trilogia sonora che amalgama i maestri della composizione italiana, riportando il tutto ai giorni odierni, tra le abitudini sedimentate al vento che cancella e il bisogno sentito di dare forme nuove a tutto ciò che ci circonda, partendo in primis da quello che sentiamo dentro.

Lasciamo quindi andare i nostri a ricreare bellezza metropolitana tra il cemento logorante e i gas plumbei in cielo, forse ne guadagneremo tutti qualcosa.

Fabio Cinti – Forze Elastiche (MARVIS LabL)

fabiocinti-forzeelastiche

Forze elastiche è una prova che si affaccia sul mondo, è il sapore del lontano mirare un’attrazione verso un qualcosa di ingovernabile, ma allo stesso tempo vicino, strutturato e contestualizzato in una realtà grigia e plastica dove le correnti ascensionali mirano inevitabilmente all’alto e dove i substrati di coscienza intercorrono qua e là disegnando fiumi di parole in attimi musicali che si fanno intermezzi programmati e studiati, a ridare apertura mentale ad un’opera che ha il sapore anacronistico dei grandi album del passato, di quelle pietre miliari che si ascoltano attentamente e permettono di entrare nelle armoniche stanze esplorative per ogni spazio di vita vissuta, per ogni frammento di grigia fotografia rivisitata ad arte, regalando emozioni incontestabili e pure, grazie anche alla presenza di Paolo Benvegnù in veste di produttore artistico dell’intero album e grazie anche alle preziose collaborazioni, in brani raffinati e concentrici, di Nada, The Niro, Alessandro Grazian, Irene Ghiotto, Massimo Martellotta, Carlo Carcano, Giovanna Famulari, Matteo Panetta per un disco che affascina già con l’apertura Io Milano di te per passare a canzoni che fanno da contrappunti introspettivi ricordando il Battiato migliore in La gente che mente per scendere giù in un vortice legato ai ricordi: un estroso approccio brano/intermezzo che si lega con il vissuto e la comunicabilità metodica che Fabio vuole consegnare agli ascoltatori lasciando al gran finale sussurrato, registrato al Teatro Civico di Schio, in provincia di Vicenza, la consapevolezza di comprendere quegli spazi infiniti di luce su di un palco chiamato universo.

Redeem – Awake (Bob Media)

Svegliamoci prima che sia tropo tardi, grazie a suoni granitici e incisivi, compressi e dal puro sapore americano, distorti e aggressivi che ricordano le cavalcate poderose di band come Audioslave  e Foo Fighters; per il trio svizzero Redeem questa è la terza prova da studio e il gruppo riesce per l’occasione ad affiatarsi e ad affilarsi, in una continua ricerca di suoni che possono essere immediati, ma allo stesso tempo pesantemente rock, influenti e ben testati attraverso i dodici pezzi che si dipanano in un solo sospiro attraverso i canali della nostra mente, abbarbicandosi in un posto d’onore, tra le migliori cose di un certo spessore, ascoltate fino ad ora, un mix stritola cuori in grado di far apprezzare una musica ingegnosa e rigenerante, congegnata per l’occasione in un’ispirazione protesa a ricoprire attimi di luce nell’oscurità, una musica dal sapore anni ’90, che lascia spazio anche ad un pezzo totalmente cantato in italiano La Luna, prevedendo, forse, nuove e continue sorprese in futuro.

Un disco che apre con l’esaltante Insanity fino all’ultimo saluto di The last goodbye in versione acustica, un concentrato di forza ed energia, vitalità che si esprime tra il vibrante suolo e le aspettative per un futuro diverso.

Project-To – The White Side/The Black Side (Machiavelli Records)

Risultati immagini per project to black side white side

Opera a 360 gradi che coglie l’attimo e lo amplifica, incentrando una produzione artistica sul sulfureo bisogno di non dare alla musica una sola connotazione uditiva, ma una vera e propria immersione visiva attraverso paesaggi elettronici, ricchi di stimoli e alimentazioni contenutistiche, per questo progetto nato dal collettivo torinese e che spazia in modo superbo, altalenando i bisogni attuali e dando vita ad un doppio disco, bianco e nero, la classicità dei due opposti, qui proiettata verso il futuro, un live set duraturo che connota la capacità dei vari musicisti di creare substrati di materia che via via, con lo scorrere delle canzoni, si appropriano del loro modo di essere, più sincero, per un album monumentale, frutto di collaborazioni in diversi campi artistici: Riccardo Mazza alle manipolazioni elettroniche, Laura Pol alla fotografia e ai video fino a completarsi in toto con Carlo Bagini al piano e alle tastiere; un disco non di facile interpretazione che incontra per certi versi le esigenze dei Chemical Brothers, incorporate alle lisergiche ambientazioni dei Modeselektor per un viaggio interstellare tra galassie da scoprire e nuovi orizzonti da percepire, il tutto in una formula digitale e proiettata nel futuro, tra sensazioni post atomiche e rigenerazioni cosmiche.

BOL&SNAH – “So?Now?” (Gigafon Records)

Gruppo meraviglia che incanta per atmosfere soppesate e oniriche, tra voci che si rincorrono nella neve e il tetro silenzio assoluto che scavalca ogni forma di preconcetto per accompagnarci in un mondo vasto,  irregolare, magnificamente illustrato grazie alle tavole sonore di SNAH, all’anagrafe Hans Magnus Ryan, fondatore e chitarrista dei MotorPsycho accompagnato dal trio norvegese BOL, un album che vede la partecipazione della voce alquanto misteriosa di Tone Anse e le poesie leggiadre che si muovono tra i concetti di uomo e natura di Rolf Jacobsen, per un mix a tensione volatile che incanala la lezione di un territorio per donarla attraverso questa opera di pura grandezza sonora, che riesce ad incantare l’ascoltatore implodendo gli estremi per un dream pop astratto e ricco di strutture da cui prelevare un bisogno quasi istintivo di ricerca della bellezza, sostenuto da musicisti d’eccezione e variegato quanto basta per dar vita ad un concept di elegante matrice nordica.

Sei tracce apparenti, dove l’istinto è di casa tra The sidewalks e Epilogue in una continua ricerca travolgente di sospirati addii e di bisogno metafisico nel trovare la via da seguire in un mondo sottosopra, quasi ostile, dove la natura è la vera sovrana di questo tempo.

LOSBURLA – “Stupefacente!” (INRI/Ala Bianca)

Il ritorno di LOSBURLA è uno schiaffo al passato, è uno schiaffo verista che racchiude una compressione immediata, sporca, che non lascia spazio alle velleità e alle inutilità, ma si concentra con rinnovata forza nel creare una costante sovrapposizione di vita reale e viscerale, dove il cantato acquista vigore in primo piano, abbandonando i registri del primo disco per compiere un salto quasi nel vuoto, fino a cogliere le profondità più nascoste del genere umano.

Questo è un disco senza peli sulla lingua, è un disco difficile, ma dal forte carattere contenutistico, una prova che raccoglie le difficoltà dei nostri tempi, per poi spararle a raffica, una dopo l’altra, in pezzi come Le promesse, Il tuo cane veste Prada, Tutti uguali e I cittadini sono liberi, a rimarcare con forza quel senso di vera appartenenza al nostro essere più profondo, al nostro essere vita oltre ogni forma di consuetudine.

Roberto Sburlati confeziona con Carmelo Pipitone dei Marta sui Tubi e Davide Paolini un disco che trasforma l’amarezza in reazione, abbandonando il rimpianto e concentrando il grande desiderio di apparire, in un qualcosa di più dimesso, quasi leggero, dove la leggerezza è materia di gran pregio costruita per esaltare l’anima delle canzoni stesse.

Riforma – Ciao Carissimo (Autoproduzione)

L’esperienza che si fa fisicità per un disco d’esordio dall’altissimo peso emozionale che con forte capacità critica si espande verso orizzonti sedimentati nel tempo e si intromette di prepotenza per lasciare spazio ad un rock di matrice britannica intessuto a trame di new wave anni ’80 per una prova iniziale che ha il sapore della polvere e delle atmosfere in divenire, le atmosfere che si espandono lasciando a chi ascolta un’immedesimazione fuori controllo, il bisogno essenziale di essere se stessi, che poi tanto così non è, alla ricerca di un approccio immediato in una società che di immediato non ha proprio nulla e poi i sentimenti, quelli veri, che qui si spogliano di ogni struttura per denudarsi in un’introspezione che è quasi sussurro amichevole, alla scoperta di tracce che fanno da apripista a lavori futuri, un album che già dalla title track dimostra le potenzialità della band come attraverso gli esistenzialismi di Esserci o la scoperta di La tua metà fino a quella Io mi chiedo che è emblema di un lasciarsi senza capirne il perché.

Un disco intimo rock, dai toni cupi e misteriosi, i neuroni che si nutrono dello stesso sangue di vita che accarezza la sera, dopo la tempesta.