Pyjamarama – Fuoco di sbarramento (Autoproduzione)

Il ritorno presente per un suono passato che intasca la prova del tempo e si concede un piccolo ep di cinque canzoni, dove le ceneri dei Melt, guidate dal cantastorie punk Teo e dal batterista Diego si mescolano ai rif chitarristici di Pol, per un appeal che è pura e diretta continuazione con ciò che è stato in racconti amorosi consumati, quasi in modo anacronistico, fuori dal tempo, un bisogno mai sazio di gridare la propria appartenenza, il proprio bisogno di stare al mondo, attraverso chitarre spaventosamente distorte e power chord all’ennesima potenza in grado di attivare dinamiche sempre e comunque apprezzabili per un io che scava nelle viscere e affronta la realtà in modo quasi simbiotico, con approccio verista e anticonformista, in modo critico e in parte analitico, alla ricerca speranzosa che prima o poi qualcosa possa cambiare all’orizzonte; ne sono a testimonianza di questo, i pezzi che trovano in l’apripista Piazza Syntagma un punto di svolta con il passato fino a quella Pioggia Acida, nel finale, che sembra quasi servire da monito per ciò che ci sta succedendo attorno: un disco, per i vicentini Pyjamarama, che suona conforme al loro essere schierati, laggiù oltre le barricate.

Free Nelson MandoomJazz – The organ grinder (RareNoiseRecords)

Sperimentazioni d’oltretomba accarezzate dallo spirito dell’illusione sonora, marcati contrappunti in grado di destabilizzare le armonie, verificando l’immortale presenza scenica di una commistione di generi che tende ad aprire nuove porte e nuove idee, di comunicabilità oltre la comunicabilità, un pensiero omogeneo e cangiante che deriva direttamente dalle incursioni sonore del trio scozzese in grado di creare una sorta di implacabile jazz sopraffino incrociato al doom metal ispirato di band come Black Sabbath, per un martellante desiderio di ascesa negli inferi e sicura consapevolezza di creare con il proprio strumento qualsivoglia geometria istintiva atta a maturare le scelte e a distogliere lo sguardo dalle futilità della vita per renderci partecipi di un viaggio trainato da Caronte stesso, lungo il fiume che ricopre le esigenze stesse di un mondo in piena evoluzione e di certo alquanto personale per una manciata di pezzi che sono vorticose salite in assenza di gravità, al centro della nostra terra.

Chisco – Ital (JamRockRecords)

Un mondo esploso in moltitudini colorate newroot per uno dei più rappresentativi, reggaeman italiani, Chisco, già voce dei Working Vibes , vincitori del Premio Ciampi nel 2009 e fautori di collaborazioni nonché condivisioni dello stesso palco con Manu Chao, Negrita, Ziggy Marley, Bluebeaters tanto per citarne alcuni, nomi sensazionali che hanno saputo dare piccoli insegnamenti di vita al nostro che ritorna e prosegue il suo cammino in solitaria, una cammino che è fusione della tavolozza cromatica originaria con nuovi suoni e nuove idee, dal piglio più deciso e incalzante, un ritmo che regala emozioni conquistando platee gremite, per una musica senza barriere e confini, quasi rivoluzionaria e molto appariscente, un palco colorato per giorni che sembrano non finire mai, sotto il segno del ritmo e del cantato in italiano per pezzi che si snocciolano al sole e che vantano la presenza di nomi illustri del panorama di genere come Terron Fabio dei Sud Sound System, KGMan, Papa Massi e Jaka, Sistah Franzy, Queen Mary, Francisca e Mis Tilla,una festa dentro la festa che crea un’armonia legata al filo della musica da Come il reggae fino A calci e pugni, passando per un frullato post estivo di musica da ballare anche in pieno inverno, in ricordo di questa estate, in ricordo di una vita da vivere ancora.

Julia Mente – Non c’è proprio niente da ridere (Autoproduzione)

Rabbia lacerante dolore che intrisa di aceto ci fa gettare al suolo ogni speranza del mondo attuale, ma nel contempo ci fa sperare che qualcosa possa cambiare, urla strazianti fanno da incrociatori che tendono la mano all’orizzonte stereofonico giunto fino ad oggi per rimarcare la volontà di essere indipendenti, di essere fuori dagli schemi e soprattutto fuori controllo per una voce dentro ad una scatola incontrollata, capace di desquamare il passato, di renderlo vitale, poderosa ricerca sulfurea attesa fino ad ora, dove i tempi sono cambiati, dove i Julian Mente fanno un balzo emozionale rispetto al passato, rendendo la produzione più incisiva e corrosiva, da microfoni gettati al suolo arrugginiti, che segnano il tempo, ma non la fine, perché questi dodici pezzi in bilico tra FASK, Blonde Redhead, Il Buio, sono pezzi che assumono le fattezze di un toccasana per le nostre viscere per molta carne al fuoco direi, dalla bellissima ouverture di Mentre lei dorme, fino al finale di Ottomila, per dirci ancora una volta che in questo mondo, per avere qualcosa, bisogna lottare amaramente e i Julian Mente, sono tra i gruppi italiani, portatori di questo assunto vitale.

LinFante – Piccolo e Malato Ep (LaFameDischi/Sinusite Records/Winter Beach)

Scaraventato nel mondo quotidiano, dopo peregrinazioni europee, il cantautore lo-fi LinFante ci permette di entrare nel suo mondo in punta di piedi tra chitarre sghembe e sperimentazioni da cameretta per un album che vede la luce dopo il disco d’esordio Non mi piace per niente, cinque canzoni per un Ep in grado di portarci a ritrovare una via di fuga dalla città, in maniera diretta e allo stesso tempo dimessa, raccontando di luoghi che non esistono più o che sono frutto di una fantasia leggendaria, capaci questi, di infondere una storia dentro la storia, passaggio necessario per comprendere una poetica che narra l’amore come causa di una sofferenza interiore che ha bisogno di uscire, di penetrare e di renderci partecipi di tutto questo, dalla notturna Serenata ai grilli, passando per la città attuale dove il nostro vive, Roma, le allucinazioni di Una pianta carnivora mi ha detto che non mi ami più fino alla conclusione di L’amaro e della poetica title track per un disco che ha il sapore fanciullesco di una larva che può e che deve diventare farfalla.

-FUMETTO- Stefano Alghisi – Il porto delle anime (MalEdizioni)

 

Titolo: Il porto delle anime

Autori: Stefano Alghisi

Casa Editrice: MalEdizioni

Caratteristiche: brossura, 21 x 29, 56 pag.

Prezzo: 14,00

ISBN: 9788897483113

 

Rivoluzionare gli anfratti della nostra coscienza è sempre un’opera alquanto difficile da comprendere, attuare e completare, soprattutto quando tutto ciò che è presente non da la possibilità di fare un tuffo pindarico in ciò che è stato, prendere il tempo vissuto e in qualche modo ricrearlo in una modalità alquanto arcaica e rumorosa, in nome di una ricerca viscerale del nostro modo di essere, della parte estrema, dalla parte di chi la musica la consuma in un gioco suadente, misterioso e rapace, in un’estasi terribile senza punti di luce o vie di fuga.

Agli inizi degli anni ’80 c’erano dei gruppi in circolazione che sporcavano il punk and roll dei Clash con maleodoranti riff blues capaci di creare uno spettacolo dentro allo spettacolo, soprattutto in chiave live, dove l’abuso del vivere era materia per seminare spore di racconti che affondavano le proprie radici direttamente nei bisogni primordiali e oscuri, nell’esigenza di dimostrarsi estremi su di un palco come nella vita stessa; tra i gruppi presenti in questo ruvidissimo racconto ci sono proprio loro, quelli che la musica, in quegli anni, l’hanno digerita e sputata: i Cramps, i Gun Club, i Birthday Party e in disparte l’anacronistica figura misteriosa di Sigfrido Mantovani, suonatore ambulante del nord Italia dei primi ‘900, il cosiddetto “torototella”, inventore di uno strumento monocorde chiamato da lui stesso “radio trasportabile”.

Cosa c’entra allora, direte voi, il nostro Mantovani con capisaldi del punk rock mondiale di sempre?La linea di demarcazione è talmente sottile che solo attraverso la lente di questo fumetto, scritto e disegnato da Stefano Alghisi, riusciamo a cogliere le sfumature underground di un racconto per immagini che ingloba pensieri, carne, maledizioni e sconforto, in un vortice che non incrocia le vite dei musicisti presi in esame, ma piuttosto ne traccia sommariamente un identikit per dare al lettore la possibilità di scavare all’interno della propria pancia e perdersi dentro a chiaro scuri di effetto marcato, in nome di ciò che fu, quasi a condurci per mano dentro a quell’epoca, dove il racconto non segue nessun filo preciso e il brain storming di nere poesie colpisce allo stomaco  e non lascia scampo.

Un fumetto che sembra quasi un monumento dipinto in nome degli anni passati, tra Lux Interior e Poison Ivy, Jeffrey Lee Pierce e gli esordi oscuri di Nick Cave, un racconto dove l’originalità è di casa grazie anche alle scelte stilistiche di Stefano Alghisi che si concede ad un amarcord punk dalle tinte pulp in grado di lasciare il segno.

Per info e per acquistare il fumetto:

https://www.maledizioni.eu/IT/pages/detail/id/3/Catalogo.html

Oppure:

MusicaManovella – Chiedi all’orizzonte (iCompany)

Ballare riflettendo o riflettere ballando, questo è il motto dei MusicaManovella che con la loro nuova prova continuano il percorso di esternazione quasi magica e dal grande senso di appeal che consente all’ascoltatore di entrare in un mondo fatto di impalcature stabili e valori universali capaci di scardinare ogni qualsivoglia forma di inutilità quotidiana per arricchire la nostra testa di costrutti sedimentati da tempo e che hanno solo il quieto bisogno di uscire allo scoperto per farci assaporare ancora l’aria di novità, l’aria sbarazzina che caratterizza questo tipo di produzioni, inglobando diversi stili, ma consentendo al pop di fare la propria entrata di scena per liriche che difficilmente passano inosservate e danno la possibilità di far parte di qualcosa di grande e universalmente condiviso.

Sono dieci pezzi, per un un album che alterna momenti frenetici ad altri più quieti, inseguendo l’onda del movimento, inseguendo quella parte di noi che vuole gridare al mondo la propria diversità e nel contempo il proprio senso di appartenenza, portando a conoscenza racconti di vita che altrimenti rimarrebbero rinchiusi nel cassetto della memoria e che invece per l’occasione si fanno pagine reali di questo esistere.

Carlo Martinelli – Caratteri Mobili (AREA51 Records)

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Canzoni da solitudine post spiaggia, che accarezzano il molo dopo il tramonto e raccolgono le stelle che cadono dal cielo, magari con una rete da pescatore, magari con la forza di volontà di chi non ha nulla da perdere e si concede a sbilenche poesie musicali prettamente acustiche che scalzano il cielo plumbeo mattutino e con inflessione solare, lasciano al nuovo giorno, un nuovo spazio di vista oltre l’orizzonte.

Carlo Martinelli ci regala cinque canzoni estrapolate da un arco di tempo che copre la bellezza di dieci anni, canzoni d’amore con tocchi di classe lo-fi per un ep che racconta le vicissitudini del cuore in modo del tutto inusuale, trasparente e cristallino; avvenimenti interiori e introspettivi, pronti a rinascere sotto una nuova luce.

Abbandonati per un momento i grandi Luminal, il nostro, attraverso le peripezie dell’anima e con buoni compagni d’avventura come Jenny Burnazzi al violoncello, Cristiano De Fabritiis alla batteria e Milo Scaglioni al basso, registra un disco che ha il sapore della fine dell’estate e di quella risacca mattutina che trasforma il frangente creato in qualcosa di nuovo e perpetuo.

Collettivo Ginsberg – Tropico (L’amor mio non muore/IRMA)

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Danze tropicali che amalgamano vissuti e si stagliano fino in profondità, dentro alle nostre vene, per farci ballare contaminati dal suono poliedrico di questa band capace nel confezionare una prova multisfaccettata ad alto tasso emotivo, che non risparmia nulla, anzi si dona prepotentemente nel fondere assieme diversi generi, diverse culture di terra e di mare in un cerchio caleidoscopico che grida la sua presenza e ci fa entrare al proprio interno.

La band romagnola, dopo tre anni di silenzio, ritorna con un disco che un solo ascolto non basta per capirne i livelli di scrittura, un disco si per ballare, ma un disco allo stesso tempo stratificato, che unisce la lezione del funk con il mambo voodoo, passando per una musica più tradizionale e mediterranea fino a conglobare samba spruzzata di nero; un mix emozionale che conquista sin dalle prime battute e ci dona la possibilità di fare nostra l’occasione di una vita, un giro completo attorno al mondo percependone il profumo e soprattutto i colori.

Un albume emozionante, composto da dieci tracce ritmate, da Con due monete fino a Danza Macabra, testi cut-up che racchiudono il mistero nello scoprire una band che fa della mescolanza cromatica il proprio punto di forza; tra Battisti, Jannacci e Dalla, un disco registrato in analogico che con piglio anacronistico ci infoderà la forza per ballare ancora.

Sara Piolanti – Farfalle e Falene (Autoproduzione)

Sara è una creatura notturna che si nutre di stelle e di sogni ad occhi semi chiusi, un piccolo essere delizioso che si posa di fiore in fiore per carpirne i segreti e le profondità, ingigantendo gli occhi e respirando a pieni polmoni l’aria rarefatta di un mondo nuovo, decostruito, un camminare leggero sopra ai campi metropolitani, lasciati incustoditi e abbandonati a riprova del fatto che qualcosa qui intorno non funziona e che quel qualcosa deve essere rimodellato e ricostruito, partendo dal passato, partendo da ciò che eravamo.

Sara, già cantante dei Caravane de ville e dei New Cherry, ora in veste solista ritorna a rimarcare la propria bravura in un’intimità serale da tapparelle abbassate, dove il clamore è lasciato ben fuori e dove ogni canzone è anche uno scavare dentro all’animo di chi non riesce a sentire, un processo in fase mutevole, in continuo cambiamento: Muore di me è apertura elegante passando per la meraviglia della title track e giù a rincorrere i pensieri in Io ero fino all’ultima e pregevole perla di un Endrigo d’annata, rivisitato per l’occasione nel pezzo Canzone per te; un disco che accoglie il profumo del cambiamento, in punta di piedi, circoscritto e dimesso, un’involuzione che sa di evoluzione, tipica caratteristica di chi ha tanta classe da vendere e Sara, di certo, possiede tutte le carte in regola per trovare, in una dimensione più contenuta, la propria via di fuga.