Didols – Raccolta differenziata (Free Recording Studio)

Stili che contaminano una musica senza direzione capace però di veicolare attraverso testi diretti e senza peli sulla lingua un modo diverso di pensare, un modo diverso per tentare di capire il mondo che ci gira attorno, alla ricerca, sempre viva, di uno spazio dove poter abitare intersecando con grande capacità il pop con il reggae, lo swing con il blues, per passare facilmente al rock’n roll e alla ballata d’autore in un costante divenire prima di tutto umano che scherza con i mali della vita moderna, che si prende in giro, ma nel contempo ricerca una perfezione musicale moderna che possa essere astuta forma di riempitivo intelligente per masse sempre più sprovviste di cultura, un non sense pensato e ridicolizzato a dovere che riesce a tirare in ballo anche la telefonista erotica Lea di Leo in un pezzo esilarante e riflessivo, per una capacità, quella della band di Pordenone, di segnare le prospettive e in qualche modo di dare un direzione e un punto di vista differente alle molteplici situazioni che ci troviamo davanti, sempre con il sorriso in bocca e una vita vissuta in cui sperare.

Little taver and his crazy alligators – Taver night (Autoproduzione)

Personaggio d’altri tempi che con grinta, determinazione, coraggio e pazzia ha fatto in modo di riportare in vita l’idea vera e propria degli urlatori targati anni ’60, una passione prima di tutto che si nota e si ascolta in questo disco Taver night dove i grandi di un tempo si immolano a diventare ricordo per questo mitico personaggio, un uomo che Ligabue conosce bene in quanto apparso in Radiofreccia vestito da Elvis mentre fa lo spettacolo durante il matrimonio, una vera e propria forza della natura che ha confezionato nel tempo forte stima e amore ricevuti dai fan di Correggio e non, aprendo e presentando i concerti di Ligabue al Palamalaguti a Bologna nel 2002, il Campovolo di Reggio Emila, i due super concerti  a San Siro, all’Olimpico e al Franchi di Firenze, dando la possibilità a questo incrocio vivente tra Elvis, Little Tony, Bobby Solo di diventare prima di tutto, un’icona italiana.

A livello musicale il nostro confeziona un disco ben suonato, con spruzzate di blues a confondere la melodia tipica delle musiche di Celentano e co. costruendo di gran lunga un album riuscito fin dalle prime battute, coadiuvato dai pazzi alligatori, chiaro riferimento al delta del blues per eccellenza, dove le radici di questa musica hanno  trovato terreno fertile per crescere rigogliose.

Un disco di tredici pezzi che separa il tempo e ci tuffa inesorabilmente in un florido passato, dove le semplici parole sono il veicolo necessario per una musica di puro trasporto e di sicuro e vissuto amarcord emozionale.

Miss Stereochemistry – Harlequin Ep (Spleen-Prod/rock & pop factory)

Continua la via della sperimentazione per Karla Hajman, in arte Miss Stereochemistry, una via sperimentale di profusione acustica, che abbandona, per certi versi, la strada dell’elettronica leggera per entrare in punta di piedi verso lidi più intimi e appartati, per un EP che è continuazione di un percorso iniziato nel passato, un EP che nasconde tracce remix e collaborazioni che si accavallano e lasciano comprendere la potenza espressiva di questa cantautrice dalla forte personalità e dalle ottime potenzialità, per un disco multietnico e multiculturale che incrocia Barcellona, Istanbul, Belgrado e Berlino, un suono cosmopolita di periferia che invita a lasciare in disparte pregiudizi di ogni sorta per un pensiero comune che deve andare oltre le barriere precostituite e deve farsi carico di un’esigenza essenziale che è racchiusa prepotentemente nella vita stessa, oltre i confini della vita e della morte, per una tavolozza di colori a ridisegnare quell’arlecchino goliardico segno dei tempi che stanno cambiando.

Tra le quattro tracce originali proposte, c’è una bellissima reinterpretazione di Smells like teen spirit dei Nirvana, un omaggio all’odore pregno di gioventù, un profumo quasi mistico che si abbandona in altri cinque remix che sondano le strade anche del trip hop per un eterogeneità mai conclamata, ma piuttosto ben studiata ed esposta.

Un disco che è pura anima di una cantautrice in divenire che sa sorprendere con delicatezza ad ogni uscita, un album che osa nel profondo alla ricerca di una narrazione spontanea e nel contempo vicina a tutto ciò che possiamo chiamare vita.

Baryonyx – Fuori il blizzard (Ghost Label Record)

Interpretazione sonora che scandisce le esperienze di vita vissuta attraverso un indie rock ben congegnato e composito con una forte presenza di elettronica  a scandagliare impossibilità sopravvenute e bisogno essenziale di materia che va oltre il nostro pensiero quotidiano per inglobarsi in un esercizio di stile che ben si appresta ad aprirsi per la band Baryonyx, gruppo toscano che per l’occasione getta al suolo un disco fatto di otto tracce ben pensate e studiate che apprendono la lezione del tempo per tentare di rievocare espressioni di una realtà fallita attorno a noi, un pensiero degno di essere interpretato e pragmatico nella propria introspezione tra pezzi evocativi come Luci bianche oltre lo Zenit fino a P.P.F., passando per una potenziale Mondo a Colori e Trilobyte a dare un senso maggiore alla proposta che abbiamo davanti, in un lucido quadro multisfaccettato e rappresentato, energico e pensante, condivisione sonora di attimi di vita vissuta per una band che vede nell’evoluzione pensata, la sola ed un’unica via di fuga.

LIVE REPORT – Blonde Redhead – Anfiteatro del Vittoriale/Gardone Riviera – 22 Luglio 2016

La perfezione del suono torna stasera sul palco del Vittoriale, qui a Gardone Riviera, ospitando per l’occasione una band che è riuscita a rimanere indie fino al midollo, mantenendo un forte grado di rispettabilità nel mondo musicale, sia tra i critici che tra gli appasionati, una band newyorkese che porta il nome di Blonde Redhead, riuscita nel corso del tempo a far proprio un certo tipo di linguaggio, una forte dose di coraggio e intraprendenza che ha permesso di scardinare gli incasellamenti musicali iniziali, relegati soprattutto a similitudini d’appartenenza con gruppi come Sonic Youth, per dare nuova voce ad un genere che abbraccia la musica d’autore e la profonda ammirazione per il dream pop e lo shoegaze.

Una band che ha conquistato schiere nutrite di intenditori dopo l’uscita di due album fondamentali dei primi duemila, quel Melody certain damaged lemons, caratterizzato proprio da una sorta di melodie in stato di emergenza, capace di scavare le profondità siderali nella miglior introspezione mai sentita e quel Misery is a butterfly, proposto per l’occasione proprio stasera per un tour a ricrearlo con archi annessi, per un disco che è opera complessa e composita in stato di grazia, tra chiaro scuri e stratificazioni chitarristiche tipiche della band americana, in grado di rappresentare al meglio le trasposizioni simultanee e dilatate di una voce sognante sorretta da una base musicale levitante e leggera, ferma nel tempo e nello spazio, a raccontare angolature e nuove prospettive, una voce acuta quella di Kazu che ben si amalgama alle sovrastrutture dei due gemelli Pace, Amedeo e Simone.

Sul palco raggiungono un grado di intimità che poche band al mondo riescono a trasmettere, una maestosità che si apre quando ascolti il primo movimento dell’arco ad incentrare una bellezza nascosta, recondita, racchiusa e vibrante in divagazioni e basi in loop elettronico che colpiscono per ermeticità e capacità nel destreggiarsi e far uscire un suono il quanto più perfetto possibile, merito anche degli strumentisti presenti sul palco, merito di un’acustica pressoché immacolata e ripagante delle attese, tranne forse che per alcuni problemi di amplificazione di viole e violini nei pezzi iniziali; attese che si specchiano in canzoni sciolte in divenire, grazie ad una proposta mirata nel riproporre un album che ha fatto la storia della musica per come la conosciamo, dalla suadente Elephant woman, passando, tra le altre, per le bellezze cosmiche che si incrociano in contrappunti e aprono a Falling man, Doll is mine e Magic mountain, incursioni chitarristiche di alieni paranoici e il mellotron atmosferico che insegue il suono della batteria capace di veicolare un finale, in piedi, sotto il palco a cantare.

Un live degno di essere ricordato per una band che fa della perfezione interpretativa un modo per svincolarsi dai colleghi internazionali, un live speciale che ha riproposto per intero quel disco tanto caro a Guy Picciotto, loro produttore del tempo, nonché membro dei Fugazi, per una serata che non segna sulla carta il pienone, ma consegna agli ascoltatori una realtà immaginata e rispecchiata nel presente vissuto, concentrando l’attenzione su di un album tormentato, malinconico e quasi ossessivo, riproposto nella sua intera sostanza in un luogo che racchiude tutto questo; emblema dell’arte per l’arte, lontano da simulacri ultraterreni e donato, questa sera, per dare un senso diverso al raffinato e conteso vortice di emozioni.

Testo: Marco Zordan

Fotografie: Giovanni Vanoglio

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-FUMETTO- Chris Oliveros – Il fabbricante di buste (Coconino Press/Fandango)

Il-fabbricante-di-buste---webTitolo: Il fabbricante di buste

Autore: Chris Oliveros

Casa Editrice: Coconino Press/Fandango

Caratteristiche: Brossura, 17×21, 104 p., bianco e nero

Prezzo: 17,00 €

ISBN: 9788876183089

Chris Oliveros dopo aver fondato la Drawn e Quarterly, casa editrice indipendente canadese da sempre attenta a pubblicare opere raffinate dei grandi del mondo del fumetto, decide dopo venticinque anni di lavoro, di dedicare tempo per se stesso raccontando le disillusioni della vita moderna in una storia pubblicata in Italia da Coconino Press: Il fabbricante di buste, un romanzo grafico che racconta di un tempo passato non troppo lontano, che probabilmente rispecchierà il futuro sempre più imminente, un futuro in cui il cosiddetto capitale umano lascerà posto al valore economico in nome di un denaro che governa il mondo e in grado di veicolare il destino di intere vite umane.

E’ bello poter leggere questo fumetto su due piani, uno legato all’inesorabile vicenda di Jack Cluthers e della sua piccola azienda artigiana sul baratro del fallimento, l’altro non meno importante,  attraverso le divagazioni immaginarie dello stesso protagonista perso in un mondo che si fa metodo per esorcizzare le fatiche e le tristezze quotidiane; proprio in questo ultimo punto la scrittura di Oliveros si intensifica e trova un conglomerarsi esemplare tra i due parallelismi, incentrando la storia sulla parabola discendente verso il fallimento e l’inevitabile chiusura di una realtà che nell’uso tangibile della magia artigiana vede spegnersi un sogno, quello stesso sogno che viene raccontato  attraverso la quotidianità curiosa nell’America degli anni ’50 e che vede per protagonista un eterno e bellissimo sognatore.

Leggendo questa graphic novel sembra di poter sentire l’odore della carta e il rumore delle macchine a pressione, l’aria attraverso l’inchiostro e le grida di richiamo tra le varie stanze, sinonimo quest’ultime di vita vissuta oltre ogni forma di meccanismo moderno, dove la forza lavoro e l’interazione tra le persone fanno da base ad un qualcosa di tangibile che non è pura alienazione, ma piuttosto un accostarsi continuo ai sentimenti che caratterizzano l’essere umano lanciando messaggi forse di un’altra epoca, ma sempre e comunque messaggi di amore verso un’umanità in sfacelo.

Un fumetto che per tratti grafici ricorda il Frank King di Gasoline Alley, volutamente immerso in un contesto che sapientemente è veicolo di emozioni presenti e tangibili, un Oliveros in forma splendida che sa comunicare un messaggio assai importante e condivisibile,  come diceva Titta di Girolamo nel Sorrentiniano Le conseguenze dell’amore: Non bisogna mai smettere di avere fiducia negli uomini. Il giorno che accadrà, sarà un giorno sbagliato e forse questo fumetto racchiude in sè il significato di queste imprescindibili parole.

Dan Cavalca – Cinematic (Autoproduzione)

Cinematic_fronte_1440E’ un viaggio onirico quello di Dan Cavalca, è un viaggio fatto di intenzioni e mutismo da sciogliere per imprimere sonoramente virtù esagerate che si accendono lungo i binari di un suono cosmico, che sembra non avere direzione, ma si fa portatore dei sentimenti della galassia; un ambient regalato a dovere, che punta al cuore della creazione e non stanca, anzi, permette all’ascoltatore di entrare in profondità con un io interiore ancora da scoprire.

Dan Cavalca è un polistrumentista a tutto tondo, che dopo una borsa di studio al Berklee College e dopo aver condiviso il palco  con personaggi del calibro di Annie Lennox e Carole King, si tuffa in un’avventura meditata e meditativa, in grado di rappresentare al meglio l’idea sovradimensionale che abbraccia tutta la sua intensa e sentita produzione, indistintamente, senza tralasciare nessun pezzo e valorizzando ogni singola perla confezionata per l’occasione, da Life time lapse fino a Blues in E (lectronic), per sette pezzi che sono il risultato di un percorso che emoziona grazie ad una capacità artistica da non sottovalutare e grazie anche alla capacità del nostro di tuffarsi nel buio delle produzioni strumentali, alla ricerca della sonorità perfetta, di quella che resta, di quella in grado di illuminare.

 In bilico tra jazz, ambient e colonna sonora per il cinema, Dan Cavalca segna una nuova tappa importante nel suo cammino di artista, raggiungendo una poliedricità invidiabile.

-LIVE REPORT- Niccolò Fabi – Campana dei Caduti – Rovereto – 21 Luglio 2016

fabi1Fondere il suono bellicoso dei cannoni di diciannove nazioni per dare vita ad una campana dalle enormi dimensioni, trasportata su di un colle a testimoniare i caduti della grande guerra, utilizzare poi quella piazza ricreata ad arte per ospitare eventi che hanno significati ben oltre gli anni, ben oltre qualsivoglia forma temporale, in nome di una pace da preservare, sempre e comunque, ma che oramai è solo un ricordo in qualche vocabolario d’italiano delle scuole elementari; un luogo carico di storia e di fascino che per l’occasione vede protagonista un cantautore che nel tempo si è affermato come tra i più grandi in Italia, in grado ancora di emozionare, dando un senso sempre diverso al proprio lavoro e reinventandosi costantemente, giorno dopo giorno.

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Ci sono già passato per Rovereto a vedere Niccolò Fabi in occasione di un live, in un piccolo teatro, qualche anno fa, un concerto con i GnuQuartet, praticamente indimenticabile, ci sono state altre occasioni poi per vedere dal vivo il cantautore romano all’opera, ma la bellezza di questa serata è una fotografia da preservare e curare nel tempo, come quelle foto in bianco e nero a testimoniare il tempo che fu, proiettandolo per l’occasione in una cornice di rara bellezza, che perlomeno deve essere ricordata in quanto tale, lontano dal chiacchiericcio moderno e mirando all’essenza delle cose che contano.

Niccolò Fabi continua il suo tour, spesso sold out in tutta la penisola, regalando quella somma di piccole cose che lo caratterizza come eroe anticonvenzionale e fruitore di una leggerezza mirabile al punto da far scuola, una persona semplice e nel contempo talentuosa che dopo anni di gavetta e periodi meno fortunati, è riuscita a costruire e costruirsi, incantando sempre più, il numeroso pubblico presente ai suoi concerti.

E’ una serata calda, il onemanband Marco Zitelli in arte Wrongonyou apre il concerto con una bella proposta di respiro internazionale incrociando con raffinatezza sentita le evoluzioni di Bon Iver con il primo James Blake, per un mini live ben suonato e contestualizzato anche se parte del pubblico non si dimostra sempre presente, complice forse il fatto, che alle 21.20 molte persone dovevano ancora prendere posto e l’andirivieni generale ha rovinato per così dire un’atmosfera da terra d’Albione che meritava maggiore attenzione, peccato.

Dopo i rintocchi, quasi surreali della campana, il concerto ha inizio, i primi sei pezzi sono affidati a rievocare le atmosfere dell’ultima fatica, dalla title track d’apertura fino a Una mano sugli occhi, la band c’è anche se i suoni sono volutamente in sordina, richiamando una coralità radiohediana tanto apprezzata quanto sincera, che per approccio ricorda proprio l’ultimo album della band di Oxford, una musicalità che si apre poi largamente con la bellissima Ostinatamente, un pezzo di quasi trent’anni, ma che non ha mai perso un secondo del fascino che porta appresso, si snocciolano perle a non finire da una versione pianistica di Il negozio di antiquariato, passando per Ecco e i classici Oriente, Vento d’estate, Solo un uomo, Costruire, Offeso e la corale Lasciarsi un giorno a Roma per la momentanea fine del concerto e l’arrivo del primo bis con Niccolò ancora al piano ad incantare con Vince chi molla e successivamente un Alberto Bianco, cantautore e membro della band, a proporre sul palco Aeroplano per poi tornare diligentemente alla chitarra d’accompagnamento per lasciare a Niccolò il finale del primo bis con Una buona idea; si ritorna in scena per l’ultima Lontano da me che apre a divagazioni americaneggianti rivisitate con la coda Take me home country roads di John Denver.

bu1rmqLUn concerto emozionante e allo stesso tempo raccolto, che vede il cantautore romano lasciarsi spesso ad intrattenimenti che vanno ben oltre le apparenze, in bilico tra rock e cantautorato la formula testata con band al completo si garantisce un posto d’onore tra i live più riusciti della musica pop d’autore in Italia, confermando la bellezza semplice di un respiro comune, un battito di mani, uno sguardo al tempo passato e a tutto ciò che deve arrivare, ricordando che in mezzo c’è tutto il…

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Testo: Marco Zordan

Foto: Martina Colpo / Elisabetta Turra / Sara Longhi

Consigli preziosi: Martina Colpo / Sara Longhi / Elisabetta Turra

Setlist

Una somma di piccole cose / Ha perso la città /Facciamo finta / Filosofia agricola / Non vale più /Una mano sugli occhi /Ostinatamente / E’ non è / Indipendente / Il negozio di antiquariato / Ecco / Sedici modi di dire verde / Oriente / Vento d’estate / Giovanni sulla terra / Solo un uomo / Costruire / Offeso / Lasciarsi un giorno a Roma ENCORE 1 Vince chi molla / Aeroplano (Alberto Bianco) / Una buona idea ENCORE 2 Lontano da me – Take me home country roads

Fùrnari – Abusivi sognatori (Terre Sommerse)

Furnari

Il mondo di Furnari è un mondo da scoprire, pieno di immagini oniriche che affacciano i pensieri al cielo di Magritte, in evoluzioni cantautorali moderne mescolate all’elettronica dimessa, che non entra di prepotenza, ma aiuta, come coadiuvante, nell’intento di ricreare una maglia sognante di belle intenzioni che preannunciano testi pindarici ed espressivi, non troppo macchinosi, ma semplici e diretti, dove l’introspezione lascia spazio, il più delle volte, ad un’esternazione importante di stati d’animo e racconti di vita, pezzi che vibrano e scaldano, canzoni che sono la summa di un percorso artistico che raccoglie l’eredità del passato, raccoglie i migliori frutti di un mondo lontano, per farceli assaporare in pezzi come l’iniziale Sopravvissuti, Chimere, Siamo Meteore, Pellicole e l’essenziale I segreti di Settembre, un disco che guarda lo spazio e si ferma oltre, sogna e rende realtà una dimensione acustica amplificata, lassù dove tutto è oscuro, lassù dove il suono non esiste, ma la sostanza è materia che rimane nel tempo.

Un album che delicatamente mescola la musica d’autore con i suoni più moderni intascando le esigenze del momento e ricreandole fuori da ogni logica precostituita.

Stalker – Hai più di un’ombra (Autoproduzione)

Canzoni al fulmicotone che affrontano la realtà in modo aggressivo e dirompente, trascinando urla corali in refrain dal sapore d’altri tempi che si affacciano nell’intersezione degli anni ’90 a cavallo con il 2000 per un suono che risulta essere fresco e moderno, un misto tra punk e rock oltre le aspettative e apparentemente legato, con un filo sottile, alle soluzioni moderne e nel contempo vintage, spudorate e inoltrate allo stoner rock di gruppi come QOTSE e alla scena americana in un’evoluzione ben precisa e combinata, un’evoluzione concentrica e sospesa che permette di assaporare al meglio l’importanza della proposta senza chiedersi troppo, senza chiedere nulla al futuro, dalla title track Hai più di un’ombra, convincendo con pezzi come Seduzione incontrollata, Porno e Amarcord, apprezzando il cantato in italiano e tirando in ballo band del calibro dei Ministri, ma virati ad un lato meno commerciale e direi più sostanzioso.

I nostri Stalker confezionano una bella prova impattante, granitica e dai forti contenuti, in grado di sbaragliare facilmente la concorrenza ed esprimendo al meglio una passione per un’evoluzione mista al passato che non aspetta altro che essere compresa e assaporata fino all’ultima goccia.