Sir Rick Bowman – A quiet life (New Model Label)

Una vita tranquilla è l’insperabile idea di tutti noi esseri umani abbandonati al suolo dallo scorrere dei giorni, noi esseri così difficili e poco comprensivi nei confronti di un qualcosa che sta cambiando, ma che non sappiamo ancora interpretare, alla ricerca di un suono, una voce, una parola, che ci renda unici e importanti.

I Sir Rick Bowman, al secondo album, amplificano la lezione del brit pop d’oltremanica per aggiungere al costrutto musicale una parte elettronica che amplifica le vedute e rende il tutto di ampio respiro, percependo un’internazionalità che tocca i primi Coldplay di X&Y fino agli Oasis per come gli abbiamo conosciuti, rendendo la proposta non del tutto  originale, ma sicuramente frutto di studio e applicazione sul campo, una proposta che porta appresso l’idea di rinnovamento che la musica rock può veicolare a sé grazie alla tecnologia digitale e all’uso continuo di un’elettronica ben ponderata.

La band toscana si muove molto bene già nell’apertura Otis fino alla notevole Black Horizon che chiude il disco, passando per la title track avvolgente e intima nel suo piccolo splendore, tra esercizi di stile e altri brani che si aggrappano al filo dei ricordi e degli amori scomparsi.

Un album sincero e voluto, che riassume l’idea in parte compiuta da gruppi come gli Starsailor, di dare un tocco di rinnovamento ad un genere che negli anni ’90 andava per la maggiore, un gruppo, i Sir Rick Bowman, capace di sempre nuove evoluzioni per soddisfazioni, mi auguro, continue.

Le3corde – Na?! (New Model Label)

Un cantautorato che abbraccia il pop pur riscoprendosi capace di volare sopra il nostro Mediterraneo, voli d’uccello che profumano di libertà, odorano di una nuova casa e intersecano le lezioni del tempo con tanta capacità musicale, abbracciando un cantato fuori dal coro che convince già nell’apertura con Non è vero, a distruggere i corpi inutili di questa società, a rinascere verso forme nuove e condivise per dare significati pregni di esistenza ad un progetto che si sdoppia, anzi no si triplica, tra considerazioni importanti pizzicate dal vento dell’ironia e ricondotte al filo della pazzia grazie a trovate rocambolesche, ma allo stesso tempo composte e vive.

Le3corde si muovono molto bene nei territori musicali da loro creati e sanno ricostruire un sentire vissuto che ha il sapore della propria terra, la Puglia, conducendo l’ascoltatore verso una musica d’impegno che sa di rivoluzione quieta, portata dalle parole, dal significato che acquista il tutto dopo lunghe peregrinazioni e carenza di punti fermi e saldi da seguire e da dove poter gridare la propria indissolubile esigenza di affermare la propria libertà egualitaria attraverso un percorso d’amore che si muove tra  la musica cantautorale degli anni ’70 fino a raggiungere sonorità più attuali e di più moderno impatto.

Un buon disco, dove la rivisitazione di Ma che freddo fa di Nada è un’ ottima chiusura per questo racconto in musica capace di intavolare l’esigenza di ognuno di noi di appartenere ad un qualcosa che si chiama mondo: summa intelleggibile di tutte le nostre speranze.

Neverwhere – Alone Together (Dotto)

Ascoltare questo disco mi porta con la mente a quando io diciottenne divoravo una cassettina con le canzoni di un live registrato non so dove, di un certo Jimmy Gnecco, grandissimo cantante dei The ours, pezzi sputati al suolo assieme al sudore del momento, un bar e qualche bottiglia di sottofondo, una chitarra e le sovrapposizioni sonore che ricordavano il miglior Jeff Bucley, pezzi di storia malinconiche che creavano in me un indelebile segnale di inseparabilità con un certo modo di fare musica.

Oggi ascolto molto volentieri le note del nuovo progetto solista di Michele Sarda, già con i New Adventures in Lo-Fi e Caplan nonché chitarrista degli America Splendor, musica che parla al cuore, musica che trascina e si discosta dal suono della massa per creare ascolti di profondo impatto ed essenzialità, racconti bellissimi e puri che parlano di un mondo che non ci appartiene e cercano invano, un modo semplice per fuggire, o perlomeno  tentano di dare un senso diverso ad una vita che come un puzzle è sempre mancante del pezzo giusto per poter essere finalmente completa.

Sono undici pezzi che talvolta si abbandonano ad elettricità distorta per poi rientrare prepotentemente in una dimensione più raccolta e nitida, cristallina quanto basta per ricordare Damien Rice o Tom Mcrae, una musica che esce dalla stanza da dove è stata concepita per abbondare gli animi di nuova luce, in un’eterna ricerca di un posto nel mondo in cui vivere.

Adam Green – Aladdin (Rough Trade)

Il mondo colorato di Adam Green è un insieme di creature strampalate che prendono vita da una sostanza liquida che percorre tutto il tempo che va dalla musica dei Beatles fino ad oggi per una sostanziosa ricerca arrangiata per immagini in un film musicale spiazzante e delirante, una ricerca del pezzo giusto al momento giusto; una storia allucinata di un genio della lampada da mille e una notte, ma sotto anfetamine, che realizza i desideri di Aladino grazie ad una stampante 3D: la forma a cartoni prevale su tutto e dona alla musica una concezione alquanto interpretabile e destabilizzante.

Sono 19 canzoni, o meglio 19 pezzi che includono, a cadenza costante, dei momenti di dialogo presi direttamente dal film, in un concentrato surreale e onirico di brani che parlano di amori scaduti e andati a male, passando per argomenti, cari all’autore, come il sesso e la droga, il tutto coronato dalle ricercatezze quasi estreme di un Adam Green in ottima forma e pronto a lanciarsi verso orizzonti sempre nuovi e del tutto reali, ricordando il Badly drawn boy degli esordi con il suo magnifico The hour of bewilderbeast.

Un disco che nasconde grandi significati dietro ad una forma che può sembrare snodata ad un concetto essenziale e fondamentale, canzoni che hanno senza ombra di dubbio, la necessità di collegarsi alle immagini per rendere al meglio i pensieri di questo genio capace di mirabolanti imprese magiche stupendo il pubblico più eterogeneo volta per volta in un’ incessante ricerca ibrida tra cantautorato e vintage sopraffino.

 

RIJGS – The Rijgs Ep (Astio collettivo/Black Vagina Records)

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Un quadro emozionale dal colore bianco e nero che apre a profondità inusuali e si concentra sulla sostanza in divenire racchiusa da forme concentriche e minimali in una psichedelia che prende vita ascolto dopo ascolto, nella vibrante attesa che non ci possa essere un domani per un suonare che è prima di tutto sentirsi vivi, un suonare per sentirsi liberi.

  I Rijgs, quartetto di Bologna, raccolgono le lezioni del tempo per un piccolo disco, due pezzoni strumentali completamente diversi tra loro, Comet e Tauromachy, due lati della stessa medaglia che si aprono a sonorità spaziali e ricercate, passando facilmente di genere in genere fino ad un noise sperimentale che affonda le proprie radici nella scena americana; due soli tappeti che sono sferzata di vita pura prima del respiro finale.

Una musica non di massa che trova nel formato ridotto una chiave per aprire la porta del live d’impatto, una band che conosce la formula migliore per far volare le certezze lontano da occhi indiscreti, per una purezza d’intenti che porterà alle giuste soddisfazioni.