The Lemon Squeezers – Pop hurt (Autoproduzione)

Un miscuglio eterogeno di musica e colori, capaci di infondere un’esigenza floreale di creare situazioni oltre ogni aspettativa e oltre ogni forma precostituita di già sentito, un pop dalle sonorità alquanto moderne e alquanto considerevoli che si lascia coinvolgere dalle speranze di un incrocio con il soul, l’electro e lo swing per un suono che accende la pista e riesce a dare energia considerevole ad un progetto mutevole e in continuo cambiamento.

Il raccontare di personaggi surreali porta l’ascoltatore ad entrare in un mondo parallelo e incantato che è scosso dall’elettricità del momento, tra Caravan Palace e Moloko e in un saliscendi emozionale che si rispecchia nei pezzi proposti, dal magnifico singolo Reload fino all’oscurità di The line per passare, nel finale, alla savana cittadina di Monkey per un disco che attira l’attenzione sin dalle prime note e prosegue nella ricerca ininterrotta di una propria originale strada.

Canzoni che incantano e intrappolano, canzoni che non stanno di certo ad osservare il mondo in continua evoluzione, ma si fanno esse stessi evoluzione per un bisogno, sempre reale ed essenziale, di rinnovamento e possibilità, da ascoltare ad alto volume, da gridare a squarciagola, per essere veicoli contagiosi di buon’umore da infondere e regalare.

Empatee du Weiss – Old tricks for Young dogs (Autoproduzione)

emptee

Sperimentazione sonora che non ha mai fine tendendo a ricostruire degnamente una colonna sonora d’avanguardia e ricercata nell’unire i fiati ska all’improvvisazione jazz, addolcendo l’atmosfera con melodie a tratti malinconiche, a tratti sostenute e divincolate dalla realtà per un sogno psichedelico ad occhi aperti che permette l’ascoltatore di entrare in mondi spruzzati di rarefazione e soprattutto di note stilistiche che sorprendono per l’acutezza nell’accostare i paradigmi e i costrutti musicali in levare inglobati dal reggae, dallo ska fino ad arrivare al funk, passando per lo swing e l’hip hop.

Un disco d’avanguardia sonora che colpisce per capacità compositiva e lettura musicale di strati intellegibili di vita che non guardano al passato, ma si proiettano in un futuro carico di speranze e di attese, un futuro migliore in cui scavare nella ricerca della propria casa, l’idea di svecchiamento costante e l’essenza della materia che ci porta a tendere verso qualcosa che sa di fresco e nuovo.

Un album che prima di tutto è una dedica a Omar Saad, che ha rifiutato la leva militare israeliana, un disco che nasconde una velata protesta e impegno soprattutto sociale, oggi più che mai, oggi più di allora.

Tra collaborazioni illustri, Luigi de Gaspari degli Africa Unite e The Bluebeaters, Matilda De Angelis dei Rumba de Bodas e Max Collini degli Offlaga e dell’ultimo progetto Spartiti, i nostri sanno raccontare, attraverso i suoni, un istante che  di sgretola e si ricompone, abbandonando il vecchio e dando un senso maggiore alla luce che avanza.

Matrioska – Occhi Mossi (Maninalto!)

Festeggiare venti anni di attività non è da tutti, soprattutto se parliamo del contesto nazionale, soprattutto se parliamo di un’Italia così eterogenea come non mai, sia nel mondo musicale che in tutte le arti possibili e conosciute.

Sarà evoluzione, sarà un movimento che ci spinge ad essere sempre rinnovabili certo che averne di gruppi come i Matrioska che dopo questo enorme lasso di tempo, sanno ancora raccontare con energia e in modo diretto i contesti della vita che li inglobano e li fanno diventare essi stessi materie in grado di restituire al punk e al rock spruzzato di ska, la giusta dignità, in un modo del tutto naturale, da chi, in questo lavoro, ne ha maturato l’esperienza.

Occhi mossi è ciò che non ha forma, ma è anche e soprattutto una realtà che si nasconde, che ha passato troppo tempo al buio e che ora inesorabile compie il proprio destino, in una fame di ricerca diretta che commuove fino al midollo e dà speranza in un mondo dove la speranza non esiste.

Il singolo Luca è respiro ad occhi aperti, quell’andare e venire sospeso, in un’eterna gioventù che ritorna, essere nati nel 1996 e sentirsi ancora vivi e reali, così freschi per un compleanno che non è un arrivo, ma spero eterna partenza.

Siciliano sono – Mundo malo (Autoproduzione)

Contaminazioni sonore che fanno del destino della nostra società un punto da cui partire, un punto di sospensione che ci incanala verso mondi lontani e ci rendi forti per affrontare le sfide del tempo che verranno; una musica che trasporta e disorienta, ci fa apprezzare le culture lontane e ci rende partecipi costantemente di qualcosa di più grande e finalmente condiviso.

I Siciliano sono nel loro secondo disco Mundo malo, sembrano racchiudere al proprio interno una musica che parla al mondo in una Torre di Babele ricostruita e pronta a denunciare i mali della società, l’oppressione del più ricco nei confronti del più povero, l’eterna lotta tra chi conosce la fame e chi l’ha solo vista per televisione: undici tracce che parlano della società moderna in un mondo sottomesso dal vivere nell’ingordigia di pochi.

Ecco allora che l’occasione di riscatto arriva a ritmo di patchanka, di ska, di rumba e di reggae con un tocco di musica balcanica ad insaporire una ricetta certamente riuscita e di sicuro impatto sonoro, che si esprime al meglio in pezzi come La terra, il sole e il mare, Balla, Raccomandazioni e la scintillante di speranza title track.

Un album che analizza il nostro tempo, lo fa in modo che questo raccontarsi sia godibile innanzitutto e ballabile, un concentrato di energia che si fa canzone per le generazioni future, pronte a sperare in un quadro futuro di rispetto e condivisione tra i popoli.

OH!EH? – Non di Amore (JAP)

Lontani da qualsivoglia forma di pop riconoscibile e lontani anche dal parlare di cose scontate, di cose banali, in un flusso continuo di introspezione nel ricercare una forma canzone diversa, che si immedesima nel particolare, nel senso dovuto del momento, nell’immortalare la nuova creatura di Emanuele Principi, conosciuto con i Lilith, che attraverso questo album, si riappropria del tempo passato per consegnare un disco di una meraviglia che tende all’arte, un album disegnato assieme ai compagni d’avventura Giacomo Troianiello, Andrea Mattiucci, Daniele Caprini e Francesco Miceli.

Ci sono sonorità tipiche degli anni ’90 certo, ma c’è la anche la consapevolezza di essere in grado di mantenere un costante equilibrio tra suonato e raccontato, attraverso un disco che raccoglie il quotidiano e lo fa proprio in racconti che sanno di vissuto, in racconti che vedono il gruppo in uno stato di grazia, tra parentesi indie rock d’oltreoceano amalgamate per l’occasione e abbigliate in un contesto italiano che di certo non sfigura, ma risulta essere naturale prosecuzione del percorso delle cose.

Questo non è pop!D’altro canto spero tanto che sentiremo ancora parlare di loro, di questa band cha ha saputo rinunciare all’estetica per fare dell’estetica stessa un punto a proprio favore, una punto quasi irraggiungibile.