Il sistema di Mel – Felida X (Longrail Records/Dischi del minollo)

Quattro pezzi che sono il proseguimento di B aprendo la strada a sonorità ancora più taglienti, di un distorto vissuto e compattante, quasi in chiave live che dona maggiori certezze rispetto alla prova precedente e sa smarcarsi in modo esemplare in un rock che strizza l’occhio al post e concede pochi spazi, ma tanta sostanza, una sostanza ben rappresentata dalla forza non scontata dei quattro pezzi che si lasciano ascoltare attentamente in una lisergica idea di Come non Volevi per passare alle concezioni introspettive di Marta nella stanza fino alle possibilità ineluttabili di Litio e alla monumentale Spacecake.

Una prova di getto che non chiede nulla, una prova che è pura ambientazione sonora cupa e oscura a ricreare geometrie esistenziali e trovando spazio in un mondo obliquo che corre assieme a noi, spazi riempiti con le nostre malinconie, mai state così attuali come ora, in questo momento.

Suite Solaire – Rideremo (Autoproduzione)

Fuggire lontani oltre i nostri destini, oltre il nostro pensare e oltre anche a un’idea di realtà che ci siamo fatti andare bene per tutto questo tempo, un rincorrere con un salto il mondo che è sparito alle nostre spalle in cerca di nuovi appigli per poter andare avanti.

La band novarese Suite Solaire da alla luce un primo disco che parla del viaggio e parla delle mete da raggiungere come vie di fuga, è un album sul camminare lenti e osservare il paesaggio, un vivere le nostre coscienze in modo diverso, più sentito e forse reale, abbracciando un indie pop/rock che sa di Velvet e di cantautorato, tanto caro alla canzone italiana, piccoli racconti che si fanno poesia lungo gli undici brani che aprono il cammino con Un mondo di ghiaccio per arrivare al Il meglio è già passato a sancire un ulteriore sguardo verso la realtà da vivere fino in fondo, mostrando le nostre capacità e la nostra caparbietà.

Brani senza effetti sorpresa, ma lasciati cullare dalla melodia e dalle parole, sempre più essenziali in un’epoca come questa, sempre più esigenti nei confronti di chi la musica non la vive come un gioco, ma sa trarre da essa ancora spunti per ridere ancora.

Il terzo istante – La fine giustifica i mezzi (Autoproduzione)

Alternative rock in trio direttamente da Torino che apprende la lezione del tempo per rendere in modo egregio ed essenziale un affresco di questa società fatte di sogni infranti e accomunata dall’idea di fine, qui intesa come parte costruttiva del nostro vivere; i nostri ci dicono che noi abbiamo paura di qualcosa, abbiamo paura che qualcosa finisca, senza magari pensare al presente, al vivere di ogni giorno, noi essere umani ci preoccupiamo di cosa ci sarà un domani senza lottare oggi, in questo momento, senza vivere appieno le occasioni che la vita ci porta.

E’ un disco che si fa ascoltare questo e che sa costruire attorno a un disagio un vero e proprio concept su di un costrutto inusuale senza dimenticare le apparizioni di Paolo Parpaglione dei Bluebeaters degli Africa Unite al sax in Il blues del latto versato e Lucido e la voce di Sabino Pace già nei Belli cosi e Titor, nel pezzo Fenice,  un brano tiratissimo e coinvolgente tra venature hardcore e introspezione che ci richiede ascolto e attenzione in un sol fiato.

La fine giustifica i mezzi rilancia notevolmente la qualità della proposta e confeziona un disco che sa di anni ’90, di muri da abbattere e di periferie solitarie, dove ai margini c’è sempre qualcuno che vuole gridare al mondo la propria esistenza.

The Black Animals – Samurai (Stormy Weather)

Disco d’esordio per i The Black Animals, band nata da un progetto del cantante Alberto Fabi già presente nei Cardio e ne il Testimone, un disco che raccoglie un’idea non più collettiva, ma uno spazio preponderante per le divagazioni sonore e testuali dello stesso front man che per l’occasione si fanno corrosive e danno la possibilità di esplodere la rabbia repressa, capace di convincere fin dal primo ascolto, in un continuo divagare tra sonorità che fanno da ponte agli anni ’90, tra Nirvana e Foo Fighters per passare alla concretezza ultima di band come gli Artic Monkeys in dieci brani che sono il racconto quotidiano di un giovane in bilico tra un rock elettrico sostenuto e potente e l’eterno divenire in testi che aiutano a capire e ad entrare nell’immaginario di questa band, tra distorsioni e bassi ben presenti che si mescolano ad una batteria altrettanto precisa e roboante.

Un album senza fronzoli e orpelli, capace di penetrare in profondità e dare un senso alle giornate che stiamo vivendo, una prova d’esordio sicuramente vincente e capace di conquistare già dalla prima canzone; questo non è poco.