Miss Mog – Federer (Dischi Soviet Studio)

Synth pop intriso di vintage per l’ennesima prova dei Miss Mog che intascano racconti di pianura padana affacciata sul mare, tra quintali di slot machine periferiche e pomeriggi passati a convincersi che il mondo marcio in cui viviamo è effettivamente bello, rigoglioso e florido.

La balena bianca è stata quasi del tutto surclassata per lasciare spazio ai disastri che anche questa, nel tempo, ha contribuito a creare, nell’immediatezza della sua fame e nell’assurda convinzione di imprenditori facoltosi arricchitisi sulle spalle delle giovani generazioni del passato e ora pronti a creare stati di crisi in un mondo voluto e cercato da loro stessi.

I Miss Mog raccontano di un cane che si morde la coda, raccontano delle contraddizioni della ricca regione, raccontano di un passato non voluto e di una speranza ancora oltre l’orizzonte, sperimentando i bagliori di un’epoca che raccoglie il pianto di intere generazioni e poi lui il campione Federer a ricucire, come fosse una partita, il tempo perduto, la vittoria sudata.

Qui però in Veneto si perde in partenza, le generazioni che verranno saranno ancora figlie dei nostri genitori, perlopiù raccolti attorno a piccole soddisfazioni quotidiane, attorno alla domenica calcistica, la bottiglia di vino e la montagna di chiacchiere da bar, imprenditori di noi stessi si diceva un tempo, imprenditori per gli altri, spero, si dirà un domani.

Andrea Fardella – Le derive della Rai (Contro Records/Macramè)

Il disco dell’emarginazione per eccellenza; siamo abituati a pensare che tutto quello che vediamo è sorto per qualche strano meccanismo che non possiamo comprendere, un album che parla della realtà in cui ci troviamo, una realtà fatta di sogni infranti, di possibilità che si tramutano in sogni e la ricerca costante di un pertugio sul muro è solo pura sensazione di vita, non quella vera, semplicemente un’idea che ci siamo fatti del nostro domani sempre più oscuro, sempre meno vero, ma purtroppo sempre più reale.

Andrea in queste tracce racconta il peso della vita, lo fa con introspezione delicata, lo fa attraverso tracce verbose alternate ad uno strumentale che si divincola dalle produzioni moderne per cercare una propria via di fuga e di rilascio costante di una nuova idea di sviluppo personale, un cantautore che ricerca la propria essenza nelle quotidianità e soprattutto nelle illusioni che la vita costantemente ci riserva.

Attore, musicista, ma anche cantautore aggiungerei, di quelli con l’anima cupa e nera, di quelli che sanno costruire impalcature sonore raccontando di un’Italia che non c’è più, partendo con La deriva della Rai fino a comprendersi in Piccino, monumentale attesa di un futuro sperato, fuori dai vincoli della tv, fuori da costrutti indegnamente precostituiti.

Arturocontromano – Pastis (Libellula/Audioglobe)

Stili diversi di musica che abbattono le barriere culturali per trasformarsi in una danza infinita incrociando cantautorato e jazz, fino a toccare la musica d’autore italiana del tempo che fu, passando per un Buscaglione modernizzato e spolverato per l’occasione, come fosse un vestito tornato di moda e incorniciato da testi taglienti e irriverenti, capaci di sfondare; pezzi per ballare si, ma pezzi che al contempo fanno pensare, perché sono essi stessi filo conduttore verso mondi di immagini che ci portiamo dentro, come ricordi lontani che affiorano e sentono il bisogno di affermarsi al pari della musica.

Loro sono gli Arturocontromano, sono di Torino e suonano dal lontano 1999, costruendo un proprio stile ricercato, partendo dal reggae fino a comprendere sonorità più folk e manouche, passando per lo swing in una ricerca estetica dal piglio alquanto sicuro e deciso.

Il loro Pastis quindi è l’incrocio di più stili, è il sudare energia, è il mondo dietro l’angolo e la voglia di partire, la valigia di cartone in mano e il bisogno, quel bisogno di emozionare sempre e comunque in un’alternativa all’alternativa; un’istantanea sfocata del tempo andato a riempire cuori, a ripercorre la via.

Calavera – Funerali alle Hawaii (Libellula/Audioglobe)

C’è qualcosa di raffinato in questa oscurità malata e al contempo ironica, c’è qualcosa di nascosto e celato, di vissuto e un po’ sofferto e nello stesso tempo affascinante e completo di una compiutezza elegante, mai preponderante o subalterna, ma un circolo di rinascita e vita, in uno stato d’animo di perenne racconto formativo e di poesia, partendo da un fatto certamente non lieto, lo scorrere delle stagioni e la ripartenza verso qualcosa di diverso.

Calavera ci racconta i suoi funerali alle Hawaii, funerali di resurrezione, funerali di gioia e festa verso un mondo migliore; le ceneri in mare, la gioia e l’allegria, la luce che abbatte l’oscurità e gli ossimori che prendono piede a sfidare la cultura occidentale in un momento di riappacificazione con se stessi.

Penso a Kamakawiwo e alla polvere trasportata dal vento in una danza colorata e cantata dove gli ibisco riempiono di colore ciò che da noi sarebbe dipinto da ben altre sfaccettature; otto brani  per Calavera e una cover di Luca Carboni  a raccontare le tenerezze e le amarezze della pre adolescenza, un disco che parla di se partendo da un punto di vista del tutto personale fino a comprendere immagini di più ampio respiro, un racconto di sensazioni tra i flutti di un oceano baciato dal sole dove la vita non ha mai smesso di parlare.

Noir Project – Saved (Mervilton Records)

Salvateci con la musica, unica luce di un faro sempre più lontano, unica capacità intrinseca di dare un senso alle nostre vite, alle nostre dannate vite grigie, fatte di poche soddisfazioni e distanti da tutto ciò che la televisione vuole farci percepire.

Il titolo Saved, il disco d’esordio dei giovanissimi Noir Project, sembra parlare chiaro, racchiude un pensiero importante e sentito, racchiude l’esigenza della giovane età adulta di far parte di un mondo diverso, rompere gli schemi con il passato per affezionarci maggiormente al futuro che avanza, un futuro non calato dall’alto, ma strettamente scelto, dopo anni passati ad osservare il tempo che scorreva davanti ai nostri occhi.

Dentro a questo album c’è la rabbia dell’abbandono, c’è la forza dello stoner e dell’alternative rock targato Tool e A perfect Circle per passare ad un’elettronica ricercata a toccare l’elettro rock dei Vicentini Phinx fino ad esplodere con incursioni oniriche in testi che lasciano scie di luce e sorrisi sulle labbra.

Dieci pezzi, si parte con una title track carica di adrenalina per chiudere il cerchio con la rinascita di W, un album per certi versi che raccoglie i dolori del tempo vissuto per scaricarli al suolo come fossero scosse di elettricità.