Mab – Grungers and lovers (Autoproduzione)

Quattro tracce e la storia del grunge rielaborata con piglio indie rock e arrangiamenti mai banali che si perpetuano lungo questo EP fatto di sudore e rabbia, ma al contempo da malinconia vissuta e grande duttilità musicale, capace di perpetuare con rigore interessato gran parte degli anni ’90, confezionando un album fatto di amore per la musica e amori di un’altra epoca vissuti, inglobati e lasciati al tempo che verrà.

Disco fulmineo, ma completo, un giusto sapore rivolto a quei giorni, Weightless, Short message script, Nectarine e Rayuela compongono un quadro fatto di ricerca e ambizione, passione e profondità, mescolando le carte in tavola e concentrando le sonorità su di un piano ben definito; un album non solo per nostalgici.

The Falls – Mind the gap (AgogeRecords)

Disco ricco di rimandi alla scena Brit pop londinese con grande capacità intrinseca dei musicisti di entrare appieno nel mondo musicale spianando la strada con melodie ammiccanti e di certo non banali che conquistano fin da subito l’ascoltatore e lasciano il segno in alcuni brani, come la traccia d’apertura Superman, che meglio rappresenta il suono e il costrutto della band, grazie all’utilizzo di un’elettronica mai preponderante, ma si sicuro effetto che sancisce le basi per esperimenti futuri.

Indie rock d’oltremanica quindi, per un gruppo che sa trovare il modo per divertirsi componendo melodie, cosa che oggi come oggi non è ovvia, anzi sempre più siamo spettatori di un rock troppo ambizioso e pretenzioso nel trovare nell’alternatività una chiave di successo condivisa dai molti.

I romani The Falls invece dimostrano di sapersi destreggiare bene nel mondo musicale raccogliendo la sfida del tempo e conquistando, giorno dopo giorno, il giusto spazio di arricchimento personale.

 

Ivan Battistella – News from the moon (Resisto)

Blues sporcato di rock per elucubrazioni sonore che vanno oltre l’Atlantico e abbracciano in primis una cultura, il luogo dove tutto è nato in un continuo approcciarsi alla musica come fonte prima di ispirazione e stile di vita, mescolando le carte in proprio possesso e trasformando le sette note in energia che si libra oltre le nostre convinzioni e fa spazio nel deserto che ci circonda.

Ivan Battistella è un bluesman graffiante per eccellenza in primis poi è anche uno che viene abbagliato dal classic rock per me o per il cosiddetto hard rock per i molti, di Aerosmith e Guns con toccate alla Rolling Stones e quell’amore profondo verso un genere che ha fatto la storia della musica, almeno per come la conosciamo.

Ripiegare alle cover band da stuzzichini non fa per Ivan e il nostro riesce nell’intento di dare vita ad un disco di inediti soppesato e ben riuscito dove la formula chimica, per il pieno raggiungimento degli obiettivi, è maturata nel corso del tempo.

Le notizie dalla luna parlano di un tentativo di rielaborazione del nostro esistere, quasi fosse una filosofia di vita su cui puntare, quasi fosse unica speranza per giorni migliori.

Beltrami – Punti di vista (SuoniVisioniRecords)

Beltrami conosce il rumore del vento e lo staglia all’orizzonte cercando uno degli innumerevoli punti di vista che di specifico rendono il disco un abbaglio in pieno inverno, tra arrangiamenti che non sono mai superficiali, ma che colpiscono e trascinano l’ascoltatore lungo strade nuove e in discesa, merito di un buon background e merito anche di una preparazione non indie-fferente.

Il soffermarsi, il guardarsi attorno, il raccontare pezzi di vita su fotografie o ancora meglio su undici acquarelli tenui e allo stesso tempo eleganti, capaci di una forza interiore che può portare lontano, in una continua ricerca mossa dal cuore a sintetizzare i racconti, a sintetizzare i vissuti, a comprimere la bellezza in un album  che sa di abbandono, ma nel contempo anche di speranza; meta concreta per i giorni che verranno.

Beltrami quindi è tutto questo, è un box completo dove si nascondono i Perturbazione, ma anche le vellutate poesie di Antonio Firmani e le compressioni malinconiche nordiche tra Sigur Ros e Elbow a firmare un dipinto ricco di sfumature e traguardi da raggiungere.

Un album variegato e carico di quella nostalgia che fa pensare al passato, lo fa con stile e coraggio, alla ricerca di un qualcosa di diverso, sempre nuovo e stimolante, un punto di vista che non si ferma all’apparenza, ma si ricerca ed è esso stesso ricerca, in un vortice perpetuo di immagini oniriche.

 

Caputo – Supernova (Autoproduzione)

Una donna uscita da un altro tempo con sonorità però così moderne da portare l’ascoltatore ad un primo disorientamento, un mondo fatto di luci e ombre, passati e futuri per questo nuovo disco di Valeria Caputo che utilizza il suo alter ego elettronico Caputo nell’intento di creare un rinnovamento sonoro al substrato della cantautrice e relegando momentaneamente strumenti usuali per dare vita a qualcosa di più naif, di più immediato, la coscienza che esplode come una stella disseminando lo spazio di frammenti da sovrapporre al tempo e lasciando al proprio passaggio scie di luce confortanti e allo stesso modo complesse, tra amori che non hanno mai fine e anime che si scontrano e poi si ritrovano in una ridondante infinita ricerca di un mondo oltre al nostro.

Frammenti raccolti nel passato quindi, manifesti di una realtà che non esiste più, del giorno che va oltre, pensiamo all’apertura di Blooming o a Flower girl tanto per dare l’idea di cambiamento, passando poi per le dilatazioni di Supernova e The River; una libertà voluta e ricercata una libertà da coltivare giorno dopo giorno, attimo dopo attimo senza attese e soprattutto senza rimpianti, una sostanza che si modella con il tempo e che ci rende liberi solo se lo vogliamo.

Heathens – Alpha (IRMA Records)

Disco oscuro e ottenebrato, onirico e richiedente spazi dove poter essere analizzato tra le vertigini e le necessità di una costanza che riempie il pentagramma e lo fa con beat elettronici, lo fa con tanta classe e una voce che riesce subito nell’intento di farti partecipe di un qualcosa di più grande, vissuto e sentito, quel qualcosa che scava nelle profondità e riesce nell’intento di dare inizio alla scoperta del pensiero critico, al pensiero privo di dogmi, esorcizzando l’abuso dei mass media come internet, troppo conclamati per essere ancora piazza di scambio di opinioni ragionate.

A livello musicale c’è una riscoperta dei Radiohead e dei Massive Attack su tutti, passando per aspirazioni trip hop alla Tricky e un gusto per le rappresentazioni visive di Von Trier di The Kingdom e le allucinazioni di Lynch di Strade perdute.

Ecco allora che la perdita si fa complemento per la riuscita di questo disco, la perdita come punto di partenza e tutti quegli uomini in cerchio a rincorrersi senza alzare la testa, senza essere se stessi sono parti di questa società malata.

Prodotto e registrato da Tommaso Mantelli il disco vede la partecipazione di Nicola Manzan, Anna Carazzai e George Koulermos; un album che ha come unico scopo quello di farci vedere la luce in un mondo così grigio.

Frei – Evolution (SRI Prod’s)

La trilogia del cantautore Frei si chiude e con questa si chiude anche un’idea di mondo fatto di passione per la natura nella salvaguardia umana della nostra evoluzione, dove noi occupiamo una parte infinitesimale di una terra che non è nostra, arrogandoci però il diritto di essere principali protagonisti dello sfacelo di ciò che vediamo.

Frei sottolinea tutto questo, lo fa con cura dei particolari e con un attento e spiccato gusto per il nonsense che però ha i suoi risvolti positivi e argutamente tende a consolidare quel cantautorato caratteristico dei giorni nostri, sicuramente ispirato, in un concept che mira alla divulgazione e alle alte aspirazioni che lo muovono.

La produzione artistica è affidata a Beatrice Antolini e la si sente soprattutto in chiave arrangiamenti elettronici, la nostra Bjork dona profondità di campo alle canzoni, otto in totale, ma ricche di quelle figure portatrici di un’atmosfera rara e ispirata.

Le macchine poi è il singolo portante dell’intero disco, con la presenza di Dimartino, Frei apre i suoni e le parole, lo fa con convinzione tanto da poter trovare nel testo l’intera filosofia dell’album: Gli animali muoiono, sotto le macchine, guidate male dall’uomo: e come non dargli ragione.

Guignol – Abile Labile (Atelier Sonique/Macramè)

La canzone poesia che vibra di suoni e vive di luce propria si staglia con forza nell’immaginario dei Guignol che con questo loro nuovo disco si lasciano andare a elucubrazioni degne della maledizione del poeta cara nella ricerca di un beffardo e qualsivoglia nuovo destino da rincorrere, sussurrare, gridare.

Racconti di vita troppo realisti per essere veri e le coscienze che irrompono come un fiume ad ottenebrare la scena per un disco cupo, dal sapore amaro, a tratti acido nella sua complessa distorsione tesa alla ricerca di un mondo non ancora pronto ad accoglierci, non ancora pronto a sovvertire la scena, ma in grado di narrazioni che fanno da ispirazioni a testi di sicuro impatto che aprono e chiudono il cerchio in un post punk a tratti surreale a tratti ancora troppo vero.

Si omaggia Piero Ciampi, con Il merlo, e si lasciare passare tempo tra un pezzo e l’altro il tempo per la sedimentazione; ora mi manca l’ispirazione insegnami tu merlo una canzone nuova da incidere in sala, fammi tu entrare o animale nel mondo della solitudine del talk show e dell’essere famosi; tutto questo è mai più di quanto attuale possa esserci.

 Undici brani che si sorreggono grazie ad una forte impalcatura non solo sonora, ma anche verbale, che affronta le difficoltà a testa alta e da la possibilità ai Guignol di guadagnare punti a loro favore in un vortice concentrico di pura voracità sonora.

Massimiliano Martines – Ciclo di lavaggio (Dry-Art Record)

Suoni che ipnotizzano e si stagliano oltre l’oscurità tra un sali scendi di parole non sempre rassicuranti, ma che affrescano in modo egregio spaccati di vita in decomposizione e non sono altro che passi nella nebbia del nostro tempo, raccontati con maestria in queste terzo disco da Massimiliano Martines, un cantautore proveniente prima di tutto dal teatro e dalla poesia e che conquista l’ascoltatore con attimi di riflessione pungente raccontando la solitudine, raccontando degli ultimi, quei sentimenti che si fanno strada tentando di lasciarsi qualcosa alle spalle senza però riuscirci.

Il nostro è un cantore non dell’apparenza, pensiamo solo alla stupefacente La guerra dei fiori rossi, che si sposta dall’educazione cinese, passando per Auschwitz fino agli esperimenti americani in Francia sugli effetti dell’LSD.

I suoni ricordano il divagare nordico, l’accento posto su quell’etereo che fa da sfondo, ma nello stesso tempo è anche parte integrante del tutto, è parte viva e partecipe di noi, di quello che proviamo e sentiamo ogni giorno, nel nostro incedere nel nostro non volere morire; ecco allora che il cantautorato prende il sopravvento, il senso delle parole, per vederci più chiaro in questo mondo sempre meno ospitale.

Blueriver – Waiting for the Sunshine (Autoproduzione)

Waiting for the Sunshine è disco di sole quattro tracce, ma che bastano per incasellare una prima prova di debutto fatta di sonorità care negli ascolti di fine ’90 e inizio nuovo millennio, in bilico soppesato tra Pearl Jam e Nickelback e dalla capacità nonché dalla voglia di emozionare partendo da delle semplici composizioni con di base un’acustica e via via sormontando il tutto con sferzate chitarristiche in divenire che segnano la strada, un disco fatto di sogni e materializzazioni e di attesa, quell’attesa che si apre a nuove speranze e un augurio a questo progetto che possa continuare a creare un ponte tra passato e futuro, tra gli anni ’70 e oggi, trovando sempre una dimensione di esemplificazione anche in chiave live.