M.A.Y.A. – A (GhostRecordLabel)

Rock alternativo e post punk miscelato a dovere con un suono lo-fi che colpisce per riff sonori che si stagliano elettrici come non mai e lasciano a se un impalcatura alquanto scarna, ma allo stesso tempo efficace, un meraviglioso modo di approcciarsi, partendo da un’essenzialità di base che si sperimenta e si apprezza già in copertina, un’essenzialità ingabbiata dalle onde del mare e come schiuma perenne si rinforza traccia dopo traccia, con costante vibrazione che si affaccia prepotente agli anni ’80 dei Joy Division per toccare le attualità dei Three Second Kiss in un vortice che ingloba il gioco di parole di Two you, passando per l’esistenziale Because, l’ira di Decembler  e il finale di Sven.

Un punto di partenza per sperare, senza compromessi e mirando a punti focali netti e decisi, calibrati a doveri in una prova che sa di futuro imminente e meritato.

Niente – Mete (LaFameDischi)

Vagare per terre sconosciute e prive di sapore, dove la steppa e la vegetazione brulla si estende a dismisura, lungo strade polverose e assenza di umanità e dove l’inquietudine dell’animo va a braccio con la bellezza della natura, tanto selvaggia quanto amorevole in un continuo subbuglio di sentimenti e di stati d’animo che a fatica si riesce a comprendere.

I fallimenti sono dietro l’angolo e le mete da raggiungere sono fatte soprattutto di sogni che ci costruiamo dentro giorno dopo giorno;  Mirko Paggetti in arte Niente, con il suo disco d’esordio ci racconta proprio questo, ci racconta il bisogno essenziale di essere partecipi di un qualcosa di più grande e condiviso, anche se siamo respinti, anche se a correre in cerca di nuovi traguardi siamo solo Noi, un bisogno che si esprime nel solitario incedere verso l’ignoto.

Un album che parla dell’animo umano quindi, con testi diretti, privi di fronzoli e un substrato musicale dal piglio indie rock d’oltremanica, senza misure e sudato a dovere, tra luci e ombre, tra passato e futuro, in cerca di una nuova via da aprire che forse non è poi così lontana, che forse e solo forse risiede dentro di noi.

Marazzita – Formule (LaFameDischi)

marazzita_cover201Sotto i cieli di Marazzita potremmo dire per questo esordio completo del cantautore calabrese che costruisce racconti di vita avendo appreso la formula del Gaetano passato e incanalando le storie di chi ha sudato per conquistare la propria esistenza, tra una resistenza mentale e fisica, dando un senso e un valore giorno dopo giorno, tra formule che non sono altro che piccoli anelli da incastonare uno per uno per dare vita all’essere umano complesso per come lo conosciamo.

Le canzoni ambiscono ad un’aurea rilassante, gli arrangiamenti trovano posto per un’elettronica non troppo invadente, ma che identifica e conquista, dando quel tocco in più, utile per definire un proprio stile e distaccandosi, non in maniera netta, ma sicuramente efficace, da altre produzioni odierne.

Ci sono i grandi maestri quindi, ma c’è anche molto di personale in questo disco, forse un’esigenza costruttiva di lasciar posto ad otto pezzi non tropo verbosi, ma sicuramente riflessivi, partendo con Formule e via via finendo con Tutto ci scorre addosso, tra intemperie e lotte, per non rimanere sopraffatti, per dimostrare ancora una volta che la parola, in fin dei conti, vale molto di più di qualsiasi altra cosa.

Stanley Rubik – Kurtz sta bene (INRI)

Un disco sull’abbandono e la paura di vivere, la cupezza dell’anima che ci fa perdere le tracce di noi stessi e non sa dove condurci, verso stili di vita inusuali e passaggi marini d’introspezione sonora che cavalcano il momento e concedono una riflessione sull’essere umano statico, privo di vita, manovrato da fili invisibili e allo stesso tempo colpevole di non fare abbastanza per sopravvivere, per gridare la propria esistenza, per contendersi fino all’ultimo per dichiarare la propria libertà.

Gli Stanlet Rubik confezionano un disco arrangiato magistralmente con un’elettronica che sa di innovativo e sperimentale in bilico tra un James Blake e il Trent Reznor per come lo conosciamo; un concentrato di cupezza sonora che elargisce nuovi spazi d’approdo, tra testi impegnati, passaggi surreali e capacità distensive di tessere trame sonore partendo con il pezzo d’atmosfera Cado e finendo con Bocca vuota, passando per la meravigliosa Prognosi che fa da spartiacque all’intero disco.

Dieci pezzi che si fanno poesia sonora e concentrano la loro storia in una ricerca che sa di bisogno di scoprire, oltre le apparenze e oltre ogni aspettativa, tendendo la mano verso un qualcosa di inarrivabile, ma ben visibile e voluto.

Deluded by lesbians – Fotoromanzi (New Model Label)

Questo disco è stata una delle cose più divertenti che ho mai ascoltato negli ultimi anni, riarrangiare pezzi di epoche storiche passate, che hanno fatto la storia della musica leggera italiana, e soprattutto in questo modo, mi ha fatto pensare che effettivamente basta poco per stupire, ci vuole l’idea.

I nostri Deluded by lesbians hanno tutte le carte in regola per riuscire nell’intento di far divertire l’ascoltatore, con spruzzate di punk e sano rock and roll che fanno da cornice a testi italianissimi e inglobati in un immaginario collettivo ancorato al tempo e alla sostanza.

Canzoni quindi rimesse a nuovo, frutto di questi giorni, frutto di una costante ricerca sbarazzina nel trovare nel complesso una chiave ironica, dal sapore di polvere, che a dovere lucidata prende l’aspetto di un vetro limpido e cristallino.

C’è Gino Paoli cavolo e anche Modugno, Albano e Antonella Ruggiero, passando per Jovanotti e la Nannini; pezzi sparati a mille da una vecchia radio marcia abbandonata al suolo per suoni carichi di attualità, in testi che segnano la malinconia dei tempi andati; se poi tutto questo è rivisto in chiave ironica e onirica, allora sognare è diventata l’unica cosa che possiamo e sappiamo fare meglio.

Boj & Good People – Playboj (TdEproductionZ)

Bojana Krunic ritorna con  i suoi fedelissimi e lo fa con stile ed eleganza soul, incamerando le lezioni del passato e gettando sul tavolo da poker gli assi nascosti nella manica che compongono 12 pezzi di r & b inglobate al funk che trascinano l’ascoltatore verso ritmi quasi ancestrali, che scuotono dentro e fanno apprezzare la vertigine; una prova che fa ballare, fatta di voci suadenti e sessioni ritmiche precise, step by step, in un flusso continuo che porta l’ascoltatore alla scoperta di un mondo diverso, a cui le produzioni nostrane generalmente sono allergiche, salvo alcuni egregi casi di stile come i Black beat movement di Naima Faraò.

Ecco allora il fattore sorpresa, una band italiana che fa dell’ottimo soul incastonato ad altri stili e fusioni, mai banale, ma generoso e originale, capace di prenderti per mano e portarti dentro l’anima, tra suoni caldi e avvolgenti compressi e futuri, dando tempo al tempo e lasciando da parte per un po’ l’inquietudine.

Ci troviamo così allora, a sorvolare città immaginarie, lasciandoci alle spalle i brutti ricordi, pronti per essere accompagnati in una nuova avventura, oltre ciò che di tangibile la vita sa offrirci, oltre tutto ciò che conosciamo, alla ricerca di qualcosa di veramente fantastico.

Never Trust – The line (VREC)

Secondo album per la band milanese che intasca l’autoproduzione del 2013 per dare vita ad un album maggiormente introspettivo e sentito, capitanati del resto, dalla carismatica voce di Elisa Galli, i nostri se ne escono con 12 pezzi rock dall’attitudine ’90 e primi 2000, inglobando le lezioni del tempo perduto e provando a dare un senso positivo al marasma che gira intorno, parlando di amicizie, amori, passando per le invidie e i sogni ad occhi aperti.

I Never trust non disdegnano riferimenti ambiziosi, Led Zeppelin fra tutti, anche se il suono è molto più moderno toccando i Paramore e gli Halestorm dei fratelli Hale, in un vortice di ossessione continua verso un mondo che via via si disgrega attorno a noi e attraverso la musica, attraverso un concetto così astratto, si tenta di ricomporlo.

Ambiziose proposte quindi che partono con il rock and roll riuscitissimo di Cut you out fino al grande finale di Heavier, passando per il singolo Turmoil e la trascinante Time is up, tracce che creano un quadro uniforme capace di dare emozioni perpetue in continuo divenire, grazie anche all’affiatamento della band e grazie anche alla loro capacità musicale.

Seddy Mellory – Urban Cream Empire (Kandinsky Records)

Gusto eccentrico per gli anni ’70 e le produzioni a venire, che si divincola in modo quasi acido e dirompente  pronto a destrutturare la capacità di dar voce al ghetto, canzoni che partono dal basso, con vena di protesta e quasi malinconiche con piglio autoironico, ma efficaci in grado di conglobare un’internazionalità alquanto spinta e catapultarci proprio in quegli anni tra New York Dolls passando per la sgangheratezza raffinata targata Clash e il genio folle di Rotten e compagni.

Un insieme quindi di 14 pezzi veloci, ben suonati e sotto i tre minuti, per sganciarsi da ogni forma di copia spudorata in musica, alla ricerca della canzone perfetta, alla ricerca di una sostanza, quella crema urbana che forma un sistema, un approccio, un mondo terreno dove vivere, tra le preoccupazioni di ogni giorno e i mondi che conquistiamo.

Nel loro terzo disco i nostri sanno con certezza che cosa vogliono e riescono anche a raccontarcelo; potrebbe essere la colonna sonora di GTA, sapete, quando si cambia stazione della radio, ecco trovare queste canzoni e sentirle dentro regala un senso di libertà che a fatica si riesce a spiegare.

Arianna Antinori – ariannAntinori (K1REC)

Arianna Antinori è il blues maledetto della coscienza che riempie gli spazi grigi e trasforma ondate di fuoco in un qualcosa che ci attraversa con sostanza e digressione sonora, portandoci ai tempi di Woodstock, ai palchi impolverati, dove piedi nudi grondavano sudore, tesi verso qualcosa di indefinito, ma sentito, un concentrato di energia che da forza e vigore alle interpretazioni che verranno negli anni a venire verso sodalizi musicali che hanno fatto la storia del rock.

Arianna è tutto questo, nella sua musica c’è Janis Joplin, ma nel contempo anche tanta voglia di sperimentare, non a caso in questo album troviamo lo zampino del folle genteliano Fasolo che per l’occasione si cimenta in un polistrumentismo alquanto accurato e immedesimato nel tempo, tralasciando le componenti leziose e connotando le canzoni con fare apertamente blues psichedelico e concentrato a rendere attimi di ’70 proiettati ai giorni nostri.

Un disco ricco di citazioni e rimandi, con testi schietti e diretti, una piccola opera che resterà nel tempo, tanto coinvolgente quanto inusuale, in un mix che fa propria un’eredità dei tempi passati e si conferma come inclusione per i tempi che verranno.

Fase 39 – Elettroscopia (Cosecomuni)

Elettropop convincente e ambizioso che si staglia contro i decibel degli anfratti chitarristici per dare un senso ad un’elettronica del nuovo futuro che avanza, intascando gli insegnamenti dei metà 2000 e cesellando canzone dopo canzone un sound che deve, per esigenza, farsi il più possibile penetrante e convincente, lavoro che i nostri Fase 39 compiono già da un po’, intascando questa Elettroscopia che sa di analisi del materiale posseduto fino ad ora e che è stato prontamente scomposto per essere poi assemblato in maniera del tutto sincera e al contempo originale, con cantato in italiano e approccio d’oltremanica.

Un disco completo e maturo quindi, anche se l’importanza qui data alla musica è preponderante, non ci troviamo davanti ad un cantautorato sopraffino, ma a battiti e suoni che fanno ballare, che fanno alzare in aria le mani e colpire a fondo gli ultimi fasci di luce prima dell’oscurità.

Si parte con Equilibrio dell’anima per arrivare ad Apocalittica passando per la riuscita title track d’artista in continuo viaggio verso territori inesplorati e sicuramente ricchi di soddisfazioni.