Rigo – Water Hole (Rivertale Productions)

I più lo consoceranno come il bassista di Ligabue, ma in questo disco del tutto acustico e vibrante di polvere sulle sei corde il nostro conferisce al cantautorato un nuovo modo di approcciarsi, lontano dai riflettori, vero ed essenziale, portatore di un suono puro e per nulla compresso, ma arioso; un vento caldo che accarezza, tra un Cat Stevens d’annata e tutta la produzione del post beat anni ’60 per abbracciare un modo genuino e del tutto essenziale, ma ricco di emozioni, che ci porta a conoscere lande deserte attraverso nuovi occhi e nuove direzioni.

E’ un disco registrato in chiave live, in presa diretta, attimi che non torneranno mi viene da definirli, otto pezzi che sono un ricordo lontano, un ricordo di un bambino, i rimpianti della gioventù e soprattutto l’immaginifico costruito, le luci che si spengono e che davanti a tutta questa bravura risultano inutili ripieghi per facciate odierne; un cantautore vecchio stampo che racconta  i bisogni di una società che sta per cambiare e proprio qui sta la differenza con tutto ciò che ci gira attorno: Rigo porta con sé le vibrazioni dell’anima, le vibrazioni del tempo che è stato e di quello che verrà, un mistero giace nascosto nel suolo o nel fondo del mare e noi continueremo, con lui, a cercarlo.

The black beat movement – Love Manifesto (Grande Onda)

Album ricco di sfumature e registrato egregiamente, disco che non sfigurerebbe accanto a qualsiasi e qualsivoglia produzione internazionale di rispetto, inglese eccellente e classe da regalare a migliaia di gruppi conterranei, loro sono i Black Beat Movement e dopo un anno e mezzo circa dall’uscita del loro ultimo lavoro ID-LEAKS fanno dei suoni un vestito elegante da indossare e per l’occasione il cambio d’abito dal titolo Love Manifesto è un concentrato di hip hop calato nel quotidiano , inframmezzato da soul e r’n’b con sprazzi nel jazz; si avete capito proprio bene, i nostri di larghe vedute incasellano una prova che in sé è priva di genere, ma si assiepa tranquillamente tra quelle produzioni che non devono per forza essere  etichettate, ma che vive, questo Love Manifesto, di luce propria e si alimenta attraverso la voce incisiva e suadente di Naima Faraò che per l’occasione è accompagnata dalla chitarra di Jacopo Boschi, dal basso di Luca Bologna, dalla batteria di Nico Roccamo, dal sax di Luca Specchio e dal giradischi bello scratchato di Dj Agly.

Un disco multiculturale e internazionale, con featuring di alto livello come quello di M1 voce dei Dead Prez, la voce di Raphael e quella di Tormento, tredici tracce che sono anche immagini e soprattutto pure sensazioni e vibrazioni a disegnare nel cielo, probabilmente un manifesto d’amore sperato, tra forza generatrice e qualcosa che portiamo dentro, qualcosa che nessuno al mondo ci toglierà.

Il geometra Mangoni – L’anticiclone delle Azzorre (Qui base luna)

Canzoni siderali che parlano d’amore senza usare la parola amore, quel sentimento abbracciato alla vita e alla natura che sottilmente pervade l’atmosfera di codici velati e di parole che si susseguono, cantate magistralmente in italiano e composte per creare una poesia post crepuscolare e accesa da qualche bagliore di luce, da qualche sottigliezza che esagerando si inabissa nel nostro profondo, dentro a mete ricercate, vissute e composte.

Maurizio Mangoni con i suoi fidi collaboratori intasca una prova di puro indie pop internazionale condito da un’elettronica efficace e mai banale che evidenza le stratificazioni del pezzo e divincola il passato, lasciando posto ad un presente ben incasellato e immaginifico; un’immaginazione coinvolta e sorpresa, sentita e ricondotta al nostro essere come non mai.

Un curriculum di tutto rispetto, che porta appresso la svolta, una svolta dal sapore di neve e colori tenui, tinte pastello che non si stancano di raccontare e raccontarsi, aria di quiete e solitudine nel frastuono quotidiano, unica via di salvezza e lontano quella fiamma, la fiamma del cantautorato che oggi ha un nuovo esponente, fuori dai cantautori degli anni zero, questo geometra che misura parola per parola nel dare un senso necessario alla nostra vita.

Vale & The Varlet – Believer (A Buzz Supreme)

Suoni insonni dalla cameretta, trasformati per l’occasione da boleri affascinanti e incursioni classicheggianti a citare aforismi e parole prese in prestito dalla discografia storica mondiale per dare vita ad un disco a tratti cupo e oscuro, vibrante di quella capacità che solo l’incontro può sperimentare e socchiudere, attendere e sperare, elargire da un pianoforte il suono del futuro che verrà, tra sperimentazione e disincanto.

Il primo disco di Valentina Paggio e Valeria Sturba in arte Vale & The Varlet è una ricca composizione di suoni lunari che non ammiccano alla canzoncina pop, ma si stringono nell’attimo per concedere il volo sperato, dalle porte di una camera fanciullesca fino ai confini del centro della terra; i martelli e i giocattoli non sono mai stati così vicini.

Presenza e partecipazione anche dell’istrionico Vincenzo Vasi e Luca Savorani, che intensificano i rapporti e creano una sorta di moto perpetuo alle canzoni che già di per sé hanno una propria vita, un cammino penetrante da seguire e costeggiare, su cui credere e su cui sperare.

Un disco imprevedibile, che ad ogni ascolto si cala sul palco della vita e da una visione del tutto soggettiva e surreale del contesto in cui ci troviamo, una musica che va oltre il concetto spaziale e si concentra, in modo prodigioso, sulle immagini del nostro tempo.

Vilma – Primo (Oh!Dear Recordings)

Primo è un incontro sul ring della vita, è il bisogno di dare un pugno al mondo intorno, Primo è la montagna che cammina, quell’enormità fatta persona che racchiude al proprio interno un sogno; combattere per non cadere, combattere fino all’ultimo soffio vitale.

I Vilma sono tutto questo e confezionano un disco fatto di rimpianti e tanta rabbia racchiusa nelle note delle sette canzoni che attraversano il loro percorso, piccole citazioni, grandi conquiste, sette pezzi che si domandano se l’io poteva essere diverso, se si poteva fare qualcosa di diverso per essere migliori per cambiare.

Ecco allora il ring, metafora della vita, dove tutto accade e i colpi mancini sono all’ordine del giorno, i nostri però ci insegnano a rialzarci, tra un emo punk italiano intriso di screamo e hardcore a farla da padrone, a segnare il cammino, a consegnarci un disco di solitudine e abbandono, ricco di quella forza che sa di lotta, che sa di fierezza e di complicità, passione e bellezza da far rinascere dietro alle maschere quotidiane.

I Fiori di Hiroshima – Nabuk (Phonarchia Dischi/Audioglobe/The Orchard)

Pulsanti di energia giovanile e vibrante attesa i nostri Fiori di Hiroshima, ventenni e essenzialmente energici si stagliano all’orizzonte della musica italiana con questo loro primo disco di cinque piccoli racconti dal sapore dolce amaro e atteggiati da spirito di appartenenza nei confronti di sodalizi cosmici e chiaro scuri luccicanti e vibranti, un piglio deciso e desiderio di stupire, tra distorti non celati e quella classe che tende ad uscire allo scoperto, fresca energia di puro indie rock nostrano, quello che va di moda oggi, quello che si sente ai concerti, quello che la gente vuole sentire.

Nociva apre le danze elettro acustiche fino alla compressione finale della title track Nabuk, un soffio di vento e poi la tempesta, un soffio di vento ancora per sperare, passando per quella storpiatura malata di Datemi un martello e poi via via a rincorrere un’internazionalità ambita e ricercata.

Solo cinque pezzi, ma che in qualche modo denotano le potenzialità della band, potenzialità da affinare con il tempo, ma intrise di quell’odore di gioventù che fa così bene, tanto da poter essere aria fresca in piena estate.

The Chanfrughen – Shah Mat (Molecole produzioni)

Disco pluridecorato con vezzo di un’elettronica barocca che si staglia oltre l’orizzonte, unendo in modo quasi univoco civiltà e popoli che da Oriente a Occidente comunicano a fasi alterne, un album in grado di concepire le sfumature delle terre lontane, qualunque esse siano e capace di connettere la nostra abitudine di cambiare in un qualcosa di naturale e sommamente appagante.

I The Chanfrughen sono tornati con questa manciata di pezzi colorati da sferzate blues e rock che incontrano il funky e creano una commistione sonora ben congegnata e sentita, dove l’improvvisazione e il riff facile ha la stessa valenza e caratura artistica di una compressa eleganza mai celata, ma esposta in modo del tutto sensato e rapita dal ragionamento, rapita dall’intelletto, rapita da qualsivoglia forma di comunicazione che attraverso la musica incanala energie nascoste per librarle lungo le tracce che si dipanano: dall’apertura di Voodoo Belmopan fino a Limonov; Russia e Cina non sono mai state così vicine.

Ecco allora che questo disco si colloca all’interno di una loro ricerca, di un loro essere che va oltre il falso mito di una musica eterna, ma si impossessa dell’attimo per rigettarlo al suolo come fosse l’ultima nota del mondo, come fosse una sostanza da dover incanalare per respingerla nell’immediato, ad effetto sorpresa, sostanziale ricerca di un proprio mondo quotidiano.

Babylonia – Multidimensional (Smilax/Universal Music)

Universi paralleli da scoprire e lasciare poi alle spalle direzionando la ricerca verso mondi lontanissimi e ancora inesplorati dove la musica si protrae ancora senza fine.

I Babylonia sono tutto questo e al loro quarto album Multidimensional si appropriano del concetto di plurisfaccettatura per comporre una piccola opera sul concetto di spazio, che parla di amori e abbandoni, costrutti di vita e maggiore capacità intrinseca di essere noi stessi ancora e sempre.

Musicalmente i Babylonia sanno esplorare la musica elettronica di fine anni ’80 con echi primordiali agli italiani La Crus del decennio successivo non disdegnando quella capacità di coinvolgere l’ascoltatore con arrangiamenti ben calibrati e studiati a tavolino, dove il prodotto finale è emblema della ricerca precostituita; un disco che già in partenza si dedica, in tutto il suo splendore, alla prematura scomparsa di un membro fondamentale del duo: Robbie Rox; una perfetta sintesi tra musica elettronica e sperimentazione sonora, dove a farla da padrone non sono semplicemente le musiche, che solo quelle basterebbero, ma i veri e vissuti di vita che si stagliano nelle penombra del nostro divenire.

Ecco allora che il disco si svolge in tutta la sua ampiezza e dove il singolo Love is healing è caposaldo nonché giro di boa per le nostre vite e il nostro raccontarsi, quel raccontarsi la dove i pensieri si stagliano all’orizzonte alla ricerca di una terra sperata, di una terra dove poter mettere radici.

Silence, Exile & Cunning – On (Autoproduzione)

Stoner rock commistionato al folk, distorti stoppati e batteria in levare, attese che si fanno sentire e lunghi abbracci che ci fanno tornare a casa, questo debutto rinnova le speranze e si fa portatore di un suono ricco e calibrato, capace di smuovere e allo stesso tempo dare un segno di immediatezza comprensibile e orientativamente percepita.

Loro sono i SEC, si muovono tra Treviglio e Crema e fanno della loro musica un’unione invincibile di più generi, addomesticando facilmente le loro parti più introspettive fino a ridare un senso di energia al tutto che costringe l’ascoltatore a non staccare mai l’orecchio da quello che ascolta, entrando in una parte ben definita, ma elaborata, capace di voli pindarici e atterraggi lunari comprensivi.

Un disco che è aperto a numerose interpretazioni, un disco sull’odio, sul sesso, , sull’apertura nei confronti di un concetto e allo stesso tempo un disco sulla vita, fatta da innumerevoli contraccolpi, esigenze e speranze, un album fatto anche di ricordi e da ricordi; un significato che solo ognuno di noi può apertamente dare.

Split, split, split è canzone inno fino alla chiusura con Clip 22, 12 tracce dal sapore ’90 con occhio lungo al futuro che sta arrivando.

The Smuggler Brothers – The Smuggler Brothers (Tone Deaf Records)

Strumentale colorato fatto da una tavolozza infinita dove l’argento del copricapo montuoso si staglia sul dorato mare che accoglie questi pittori della musica in grande stile e grande capacità disinvolta di creare, maturando, una forma sottile d’arte che è molto più del risultato finale in quanto ogni singolo pezzo, ogni singolo frammento è un’opportunità nascosta e incontrata, una possibilità in più di dare un risvolto autentico a quello che possiamo definire musica.

Una musica che parte dai grandi maestri delle colonne sonore, toccando il prog dei fasti italiani degli anni ’70 fino ad arrivare ai Calibro 35 dei giorni nostri passando per tutti quei compositori che hanno fatto importante il nostro cinema e non, su tutti Umiliani, Micalizzi, Piccioni, Morricone, i fratelli De Angelis, Cipriani e Frizzi.

Un disco immaginifico e da scoprire, ricco di finestre da aprire e da cercare, tra spazi infiniti dove tutto è concesso, dove la creatività è di casa e dove la forma canzone destrutturata è commistione ed esigenza, passato e futuro pronto ad incantare ancora una volta.