Silence, Exile & Cunning – On (Autoproduzione)

Stoner rock commistionato al folk, distorti stoppati e batteria in levare, attese che si fanno sentire e lunghi abbracci che ci fanno tornare a casa, questo debutto rinnova le speranze e si fa portatore di un suono ricco e calibrato, capace di smuovere e allo stesso tempo dare un segno di immediatezza comprensibile e orientativamente percepita.

Loro sono i SEC, si muovono tra Treviglio e Crema e fanno della loro musica un’unione invincibile di più generi, addomesticando facilmente le loro parti più introspettive fino a ridare un senso di energia al tutto che costringe l’ascoltatore a non staccare mai l’orecchio da quello che ascolta, entrando in una parte ben definita, ma elaborata, capace di voli pindarici e atterraggi lunari comprensivi.

Un disco che è aperto a numerose interpretazioni, un disco sull’odio, sul sesso, , sull’apertura nei confronti di un concetto e allo stesso tempo un disco sulla vita, fatta da innumerevoli contraccolpi, esigenze e speranze, un album fatto anche di ricordi e da ricordi; un significato che solo ognuno di noi può apertamente dare.

Split, split, split è canzone inno fino alla chiusura con Clip 22, 12 tracce dal sapore ’90 con occhio lungo al futuro che sta arrivando.

The Smuggler Brothers – The Smuggler Brothers (Tone Deaf Records)

Strumentale colorato fatto da una tavolozza infinita dove l’argento del copricapo montuoso si staglia sul dorato mare che accoglie questi pittori della musica in grande stile e grande capacità disinvolta di creare, maturando, una forma sottile d’arte che è molto più del risultato finale in quanto ogni singolo pezzo, ogni singolo frammento è un’opportunità nascosta e incontrata, una possibilità in più di dare un risvolto autentico a quello che possiamo definire musica.

Una musica che parte dai grandi maestri delle colonne sonore, toccando il prog dei fasti italiani degli anni ’70 fino ad arrivare ai Calibro 35 dei giorni nostri passando per tutti quei compositori che hanno fatto importante il nostro cinema e non, su tutti Umiliani, Micalizzi, Piccioni, Morricone, i fratelli De Angelis, Cipriani e Frizzi.

Un disco immaginifico e da scoprire, ricco di finestre da aprire e da cercare, tra spazi infiniti dove tutto è concesso, dove la creatività è di casa e dove la forma canzone destrutturata è commistione ed esigenza, passato e futuro pronto ad incantare ancora una volta.

We are waves – Promixes (MeatBeat Records)

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Non è un disco remix, questo è un disco risuonato da capo, dove la coda diviene spaventoso e ipnotico inizio e dove le canzoni si fanno lasciapassare verso mondi che intercedono e non classificano, mondi che tendono a recuperare il tempo perduto, anche se qui il tempo riprende forma e sostanza e si caratterizza per lasciare spazio a versioni che marcano la loro importanza nella forma canzone precedentemente accolta, qui ancora scoperta e non più fragile, ma martellante sonorità cupa, martellante compressione di sogni inesauribili per un EP che abbandona i ricordi e abbonda, affondando le promesse in tetri antri fatti di pioggia e solitudine esistenziale, abbandono e declino; ricercata forma di poesia applicata all’era moderna.

Chi preferisce il primo chi questa rovesciata mescolanza di suoni quasi live, sta di fatto che il carattere della band è ben marcato e se si permettono il lusso di accedere a questa forma di promozione, il materiale proposto è materiale scottante, portante nuova luce.

Nero – Lust Soul (Autoproduzione)

Viaggio negli abissi di sola andata, viaggio senza ritorno, anime nere che si scuotono e tentano di ricucire il tempo perduto, in stato di grazie e rumorose presenze si dipanano all’orizzonte, concentrando il divincolato giorno verso un sogno che può e che appare lontano, che contrasta l’esigenza di volere ottimizzare il nostro tempo, anche se il tempo non conosce forma e inghiotte ogni nostra speranza, ogni tacito accordo, ogni lieta notizia che ora come ora intravede poche possibilità nel domani.

Anni ’80, anni ’90, il piacere della scoperta e il calarsi dentro a mondi lontanissimi, distorti e compressi, mai lasciati al caso, alla ricerca di quelle anime perdute che fanno tanto coscienza e che si insidiano in sostanze multiforme devastanti, rock  and roll, molto più rock del dovuto e meno roll, intrecciato ad un punk atomico di inizio millennio che sa di nero tossico, di nero crepuscolare.

Ecco allora che il disco omogeneo è un anfratto di quella oscurità che ci appartiene e ci rende partecipi di una vita incompresa e governata da altri, di una vita al limite che ha bisogno di essere riscoperta.

E la notte lo inghiotte inesorabile.

Black Tail – Springtime (MiaCamerettaRecords/VDSS Records)

Un disco delicato lo vedi subito, fin dall’inizio, lo respiri, forse non ti serve nemmeno inserire il disco nel lettore, la copertina, il cosiddetto packaging si presenta in tutta la sua bellezza e naturalezza, un fiore rosso su sfondo bianco, qualcosa di semplice, che solo girando la nostra confezione, quel fiore che abbiamo tra le mani si trasforma in qualcosa che brucia, si trasforma in sangue, una doppia faccia, un doppio senso dato alle cose, una cristallizzazione che si schiude a primavera e con il vento caldo dell’arrivo inghiotte tutto ciò che abbiamo di più caro, tutto ciò che ci fa paura, tutto ciò che ci appartiene.

Un progetto di Cristiano Pizzuti che sa di terre lontane, conosce il rumore di qualsivoglia forma di vita e incanalando speranze  e ambizioni disegna in modo maniacalmente perfetto e in stato di grazia una sorta di sentimento e di paura verso un domani, delineando con la forma canzone attimi di presa di coscienza e spontaneità in bilico tra i Wilco e i Pavement, passando per tutto il soft rock internazionale degli anni ’90 con spruzzatine di Low e atmosfera alla Portishead.

Un album meraviglia, composto da nove canzoni pronte a stupire e fatte di quell’amore incondizionato versò ciò che non c’è più, un album fatto con il cuore, ricco di perle da riscoprire giorno dopo giorno.

Josh Beech – Fight Strong (RBL Music Italia)

Disco ep non troppo corto e non troppo lungo, capace di ammaliare per capacità espressiva e vivacità nel raccontare storie che non hanno fine e che si rifanno prontamente alla tradizione britannica, un canzoniere munito di chitarra e qualche orpello di strumenti base che ci consegnano una prova di sicuro impatto, non frugale, ma capace di concedersi tra cinque pezzi ben suonati e una bonus track dal sapore meditativo.

Arrangiamenti strutturati che rendono la voce del nostro sempre pronta a regalare l’emozione al punto giusto, l’emozione da prendere al volo per non rimanere sopraffatti da ciò che verrà, in un vortice che si estende lungo l’uniformità delle canzoni proposte.

Lui è Josh Beech, conosciuto come modello di fama internazionale, spogliatosi degli abiti firmati e costosi per mettere a nudo la propria anima con sentimento, quasi poeta nascosto fra gli alberi che convince, un toccare il fondo con la speranza che un giorno tutto tornerà come prima.

Influenze di rock anni ’90 con occhiolino rivolto all’introspezione di Bon Iver per questo disco che è un invito a non mollare, un invito a lottare sempre e comunque, contro ciò che ci rende schiavi del giorno che deve ancora arrivare.