Saverio Mariani – Sicuro su niente (Autoproduzione)

Rock e solo rock, intrecci di chitarre a farla da padrone e una batteria sincopata che cesella migrazioni cosmiche e solitarie, raccontando di una vita vissuta a metà e un desiderio innocuo di riscoprire la propria esistenza tra le pagine di una visione fanciullesca, dal forte impatto emotivo.

Tutto questo è Saverio Mariani, che con il suo album Sicuro su niente, estrapola in modo perentorio nove pezzi che si posizionano tra Timoria e Litfiba, con un approccio quasi poetico al desiderio di conquistare un posto d’onore tra i rockers italiani.

Musica già sentita certo, ma l’idea di fondo qui non guasta, anzi, i substrati di coscienza che creano legami sono così fondamentali da essere parti vitali di un qualcosa di più ampio respiro che rende l’ascolto in parte affascinante.

Il viaggio inizia con la potenza di Slancio per passare alla bellezza di Eclissi e Di Notte fino a raggiungere il gran finale con Ascolta un poeta, quasi a voler sottolineare la forza delle parole, usate come veicolo prezioso per trasportarci verso ciò che ancora non conosciamo.

Un cantautore quindi dall’animo rock, con un’esigenza di rinascere e riscoprire parti essenziali del proprio io da poter dare al mondo, da poter consegnare a chi un giorno verrà.

I Casablanca – Bombyx Mori (Phonarchia dischi)

Rino Gaetano che parla a Little Tony di come va il tempo, asciugando le lacrime di pioggia e collocando la deriva vicino al boom economico degli anni 60′ per ridestare pavoneggiamenti alla Vianello e via via intersecando parole di onestà e sincerità racchiuse da groove nudi e crudi per un disco d’esordio, questo dei Casablanca, che ancora allo stato larvale concede competenza ed esigenza di esprimersi; un Kerouac d’annata lungo la sua strada solitaria, tra spaghetti western e un Morricone che pretenzioso lancia fulmini e saette al nuovo giorno.

Sei tracce apprezzabilissime e in parte malinconiche, spezzate dalla quotidianità da una chitarra che lascia il tempo al tempo e si concede in semiacustici arpeggi rivelatori di un bel secolo andato.

Sei canzoni che inneggiano alla Rivoluzione, ma verso l’impotenza, con gli occhi di chi guarda davanti con un po’ di nostalgia, un amarcord acceso ad est con svogliata aria romantica e piglio sbarazzino da conquistatori d’oltreoceano.

Elpris- Elpris (Libellula/Audioglobe)

Elpris è un violino scordato che intreccia le consuetudini divincolate con un’elettrica che ama a dismisura una fisarmonica lontana a cui piace cambiare il tempo, Elpris è la circostanza che si evolve e sogna, sogna un futuro diverso per noi piccoli esseri di un giorno che verrà; un piccolo uomo lampadina e un’idea, l’evolversi di un’intensa stratosfera di colori pop che intrecciano in modo graduale e mai in modo conclamato l’atmosfera folk del nuovo millennio, fatta di improvvisazione, tanta energia, ma anche capacità di sperimentare e sperimentarsi verso ideali che perdurano e che si fanno costruire giorno dopo giorno.

I costrutti e le basi di appoggio non mancano, grazie alla produzione di Andrea Mei, già al lavoro con Gang e Nomadi, ma anche e soprattutto grazie a questo collettivo di sei musicisti che decidono un giorno di creare con strumenti tipici, un suono inusuale, portare l’eterogeneità al centro di ogni cosa per uscira dagli schemi e raccontare di giornate tra le montagne, passeggiate fumando, introspezioni pop di animi delicati che raccontano suicidi d’aria con siringhe prive di droga, verso il nulla e raccontando il nulla nell’ultima traccia a sancire l’epilogo.

Un disco che sa di pioggia e di amaro, ma che racchiude spessore per poter affondare le proprie radici e poter ricreare con le proprie mani forme vicine a chi ascolta e inusualità di pura convinzione.

Lucio Leoni – Loremipsum (Lapidarie incisioni)

Lucio Leoni prosegue la sua ricerca verso le parole suone cercando di creare e narrare con teatralità racconti di vita e pensieri più o meno filosofici che si stagliano da manuale in recisi fiori d’autunno che lasciano il tempo al sole che verrà.

Il romano cantautore e musicista cesella una prova di tensione nelle parole, un mistero racchiuso nello scrigno della mente dove la sostanza in divenire è succube del cammino dentro ad ognuno di Noi e calpestando l’erba della ragione ci troviamo a correre lungo i prati della nostra memoria, nel disordine precostituito e così voluto, fino ad arrivare all’idea di distruzione, l’idea dominante racchiusa nel caos di tutti i giorni che si fa luce.

Ecco allora che questo disco vuole mettere ordine nel disordine, vuole cercare di dare un senso al cammino o soltanto chiedersi se così possiamo permetterci ancora di andare avanti?

 Ai posteri l’ardua sentenza; resta il fatto che questo disco sa osare eccome, si osa fino a tal punto da trasformare la realtà in fantasia, la realtà in qualsivoglia forma di originalità priva di dimensione, ma benevolmente ricca di sostanza in questo eterno peregrinare.

Psychos – Dritto al cuore (VREC)

Terzo album per la band senese che amalgama energie confluite per dar sfogo e sfoggio di un’essenza vitale racchiusa in questa musica, un puro bisogno di nutrirsi di passioni primordiali, racchiuse nello scrigno della nostra memoria, ma pronte ad uscire ogni qualvolta ci sia la possibilità.

Testi in italiano che si accavallano a melodie hard rock a cavallo tra i ’70 e gli ’80 per un gusto quasi classico, dal sapore certamente usuale, ma ricco e pieno di capacità espressiva, quella capacità nascosta e celata che scorre nelle nostre vene come acqua di un fiume sempre in piena.

Ecco allora che i testi rimandano alla schiettezza già citata con un singolo Sesso e Tequila che raggiunge, mantenendo le promesse, un picco di emotività primitiva per scorrere poi e lasciare spazio ad altre e ulteriori tracce penetranti che si fanno vere fino a quella ripresa di Dritto al cuore: parte vitale, ricordo di una musica senza età.

Un disco che è anche un puzzle narrativo, un album che si mantiene in forma e calpesta la strada grazie a chitarre roboanti, affilate e di sicuro effetto, segno di un tempo che non c’è più, ma pronto a conquistare i cuori di chi quella musica, in quegli anni, l’ha vissuta in prima persona.

Nnebia – Alto tradimento (VREC)

I mantovani Nnebia debuttano con questo album che affronta il tradimento in modo inusuale: si concedono il lusso di entrare in hotel, dove le stanze richiamano i gironi danteschi e si guardano attorno relazionando in modo impeccabile ciò che vedono, denunciando i costrutti di un’Italia che non esiste e avanti così, mai non esisterà.

I testi sono carta vetrata, si fanno abrasivi quanto basta per consegnare tredici canzoni che sono il connubio tra melodia, forza e impatto musicale, stupiscono per forma e omogeneità raggiunta, con grande stile ed efficacia.

E’ un disco oscuro questo Alto tradimento, un disco che parla delle passioni più basse e istintuali, ma non solo, parla di come l’uomo sia disposto a dare via a parte di se stesso per poco o nulla, per una vita all’apparenza migliore, per una vita che vorrebbe dimostrarsi sopra le righe, ma non concede e non perdona, non regala niente, una vita dove bisogna guadagnarsi anche l’aria che respiriamo.

Canzoni che nascono con uno stampo rock ben preciso e affilato, divincolato dal sogno e atto a farci entrare in uno degli incubi peggiori della nostra esistenza.

Un concept album quindi che affronta le nostre paure con un piglio alternative di stampo americano, un disco che si illumina nell’oscurità, dando spazio nuovo nella terra che abitiamo.

DanyRusso – Reprise (Rd Audio)

Puro Rock che affonda le proprie radici nella storia, assopito a lungo e escogitato di gran carriera per assottigliare il tempo e dare un senso a tutto il mondo intorno, un disco che sa di polvere, ma quella polvere è spazzata via dalla furia completa di contrapposizioni sonore, tra ballate cosmiche in suite elaborate fino a passare senza fronzoli a qualcosa di più vero e più tangibile che si delinea lungo passaggi e fraseggi di istinto e passione, mossi inconsapevolmente dal giorno nuovo che verrà.

E questo primo nuovo disco di Dany  Russo esplode nei colori dei ’70 millimetricamente rasente la perfezione, un compendio, un’opera omnia che abbraccia i suoni dei Beatles alla psichedelia dei Pink Floyd, il soffio corallo degli Oasis in una chitarra acustica che ricorda molto i primi loro lavori fino a penetrare con forza la carne rimasta, l’unica ancora che ci fa tenere in vita.

Reprise è il riprendersi l’abbandonato, è il volere il mondo in cambiamento ancora una volta e questa volta per sempre.

Grande prova questa, che consacra chi lavora dietro ai palchi con tanta umiltà e fatica, ascoltando e ascoltandosi; quale gesto migliore per trasformare il tutto in poesia, quale gesto migliore per far rivivere dentro a 12 canzoni un pezzo di storia di musica che non verrà mai dimenticata?

Sereno Regis – Sereno Regis (LaSaletta)

Sereno Regis, forse qualcuno lo ricorderà per aver creato e dato vita alla band torinese Lisagenetica, ora in veste di cantautore solista abbandona i fasti passati per creare, dando un senso maggiore alla sua ricerca, un disco fatto di pulsazioni introspettive sentite che stupiscono per musicalità e forte capacità di affondare le proprie radici nel cantautorato italiano dei mitici ’70.

Per ampiezza di costruzione il nostro si rifà quindi ai grandi di quel periodo, toccando De Gregori, ma non solo, per linea melodica ricorda Massimo Bubola e sempre rimanendo nell’area veronese anche un altro cantautore che si muove nella scena underground, Stefano Ferro.

Un disco, quello di Sereno, che stupisce per testi che affrontano la realtà con sano senso verista e connotati dalla capacità di entrare a fondo con parole ricercate, ma allo stesso tempo dirette, testi che parlano di amori, di immigrazione, di lavoro, di pezzi di noi lasciati incolti nell’adolescenza.

Regis è un cantautore, un cantautore del popolo che per l’occasione è accompagnato dalla chitarra e dagli arrangiamenti di Fabrizio Barale, già chitarrista di Ivano Fossati e Yo Yo Mundi.

Un disco da scoprire e da non sottovalutare, perché dietro ad ogni nota esiste un mondo, un mondo fatto di sogni e speranze mai abbandonate.

Luca Faggella – Discografia: Antologia di canzoni (1998-2015) (Goodfellas)

Luca Faggella ha segnato con un solco netto e preciso la sua carriera di musicista che dura da quasi venti anni, l’ha segnata attraverso un’introspezione sonora che va oltre l’archetipo di forma congiunta e pensata, ha deciso in modo eclettico e meditato di creare un disco, raccogliendo le migliori canzoni del suo cammino musicale, intervallandole da inediti che annoverano, tra gli altri, la presenza di Giorgio Baldi e Elisa Arcamone, Max Gazzé e Cristiano Micalizzi, Gianluca Misiti, Fernando Pantini, Eugene, Pit Capasso, Er Man e Suz.

Un disco completo sotto ogni forma e sostanza, un album che abbraccia diversi stili, dove il cantautorato si trasforma in poesia elettronica per lasciar spazio a pezzi di pura matrice rock consegnata ad attimi di meditazione, dove il tutto sembra tornare al proprio posto, dove ogni cosa è illuminata e la leggera soddisfazione che si ha a fine ascolto è un attimo di serenità prima che arrivi la notte e il gioco riparte, il gioco riparte da Tempo un pezzo che racchiude quasi il senso del disco e della ragione per cui è necessario darsi dei progetti, degli obiettivi, credere e dubitare, cercare spazi dentro al proprio cuore.

Luca questo lo ha dimostrato nella sua vita da artista, un cantautore che si divincola dalla noia quotidiana, che non costruisce solo canzoni, ma vere e proprie stanze di una casa che ci appartiene e che ci vuole uniti per parlare di quello che non sappiamo ancora, di quello che verrà.

Uyuni/Ronin – SPLIT #1 (Area51 Records)

Condividere speranze, passioni, amalgamare i  diversi e fonderli per creare una sostanza senza fine e in piena espansione.

Area 51 records nasce ora, nasce con questo disco, per dare un senso maggiore al mercato della discografia indie italiana, una serie di Split per creare un laboratorio artistico in piena espansione e capace di imprime il proprio nome nell’immenso panorama delle produzioni attuali.

Questo split per l’appunto vede coinvolte due band: gli Uyuni e i Ronin, band di stampo strumentale e dilatato che convergono in un sogno ad occhi aperti che apre a fantasia post umane fino ad addentrare lungo profondità scovate con grande capacità di improvvisazione e gusto, in un continuo ricevere impressioni positive fin dai primi ascolti.

I Ronin intrecciano il Morricone d’annata con i western in dissolvenza perpetuando il tutto e sancendo ancora una volta la propria capacità; oltre ad essere ottimi musicisti, anche dotati di una forte malleabilità nelle diverse situazioni che si compongono all’ascolto.

Gli Uyuni invece intrecciano il folk-blues alle nordiche espansioni sonore, con una voce percepibile e quasi cadenzata a ricordare le migliori produzioni del passato con sguardo attento al futuro, intrecciando attimi di psichedelia allucinogena.

Lungo vita quindi a questo tipo di sfide raccolte, lunga vita alla collaborazione artistica sempre più necessaria nel mondo di squali che vivono alle spalle di chi la musica la fa ogni giorno, senza chiedersi troppo, per il gusto di far conoscere, per il gusto di sperimentare, per il desiderio e il bisogno fondamentale di stare bene.